Papa Francesco: il Convegno di Firenze.
Il Convegno di Firenze
di don Giulio Cirignano-biblista
Ero in duomo a Firenze il giorno in cui Papa Francesco ha portato il suo contributo ai lavori del convegno della Chiesa italiana sull’umanesimo secondo il Vangelo. E’ stata una mattinata stupenda. Poche volte nella vita mi è capitato di ascoltare una voce profetica così alta e incisiva. Ma procediamo con ordine.
La prima osservazione che mi viene spontaneo fare è questa: Papa Francesco aveva colto l’occasione del convegno per parlare alla Chiesa italiana. Dalle sue parole si poteva intuire, man mano che il discorso andava avanti, che intendeva levarsi un peso dal cuore. Il peso derivante da una certa indifferenza, una sorta di peccaminosa distrazione rispetto alla spinta innovativa che fin dal suo primo apparire aveva voluto imprimere al cammino della Chiesa. Si era reso conto che lo straordinario progetto indicato nella “Evangelii Gaudium” poco era stato compreso, poco era stato assimilato soprattutto da quanti avrebbero dovuto esultare, i Vescovi cioè, poco si era fatto, di conseguenza, per introdurre il popolo di Dio nello spirito e nel cuore di quel testo.
Dobbiamo riconoscere che la bellezza e soprattutto il coraggio espresso in quel primo documento erano veramente inaspettati e sorprendenti. Tutto ciò non è una scusante, ma serve per far comprendere un certo malcelato imbarazzo in alcuni settori dell’episcopato italiano. Anche se fin dal numero uno del documento di doveva comprendere che quella del Papa non era affatto una pia esortazione da prendere piò meno sul serio ma un vero progetto di vita nuova: “In questa esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli ad una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”. Forse era il riferimento alla gioia ciò che aveva potuto far pensare ad una devota esortazione. Ma lo scopo del documento era chiarissimo. Indicare vie per il cammino nei prossimi anni.
Dunque Papa Francesco aveva questo peso nel cuore che doveva essere definitivamente rimosso. E’ riuscito nel suo intento? Penso proprio di si. Sono certo che al momento di congedarsi da Firenze deve aver provato la sensazione di riportarsi a Roma la Chiesa italiana. Il discorso era stato fortemente avvincente e dopo il primo applauso l’assemblea è stata coinvolta in un entusiasmo tanto palpabile quanto appassionato. Ci aveva steso tutti. Quel discorso ha valore di inizio. Nessuno, di qui in avanti può far finta di non accorgersi del grande dono che lo Spirito ha fatto alla sua Chiesa. Solo alla televisione, durante uno dei tanti dibattiti sul Papa si è potuto sentire una bufala colossale. Citando il cantante Battiato, uno degli intervenuti al dibattito ha affermato che Papa Francesco non parla mai di Dio. Opinione, peraltro, pericolosissima perché contornata dall’idea che è un papa che fa politica, che piace soprattutto ai non credenti, e poco risponde al bisogno del sacro oggi quanto mai da coltivare. Il bisogno del sacro che nel pensiero di quel signore, probabilmente, si riduce ad una religione sentimentale e intimistica, che non si sporca le mani con il dolore e la fatica di vivere. Certo quel signore niente sapeva della “Evangelii Gaudium”, niente della bolla “Misericordiae vultus” e della indizione dell’anno Santo, niente del Sinodo sulla famiglia concluso con un discorso elevatissimo di Papa Francesco, niente del suo percorso ecumenico, niente della “Laudato sì”. Pazienza.
L’indignazione cede al sorriso e soprattutto alla consolante certezza che, almeno per quanto riguarda la Chiesa italiana, la presenza a Firenze ha chiuso definitivamente la fase iniziale del pontificato di Papa Bergoglio ed ha iniziato quella di un forte, corale coinvolgimento. Finalmente si è iniziato a comprendere cosa significa esercitare il ministero petrino secondo il pensiero di Gesù ( Cfr. Ev.G. n32). Di qui in avanti, si comprenderà con sempre maggiore chiarezza che il passare delle stagioni di Dio è da addebitarsi in primo luogo alla azione della Grazia e che in questo passaggio non è in gioco la verità del Vangelo ma solo una modalità di attualizzarlo. Certo, ogni passaggio è come una specie di esodo che richiede responsabilità e fantasia. Soprattutto disponibilità a rivedere il nostro modo di pensare e parlare di Dio.
Ma ora è venuto il momento di entrare nel vivo della riflessione che il Papa ha fatto. E’ molto difficile farne una sintesi. Ho riletto con calma il testo del discorso. L’ho fatto con l’intento di sottolineare le espressioni più belle e significative. Ne è venuta fuori una continua sottolineatura! Invito a procurarsi in internet quel testo e farne personale lettura. MI provo a riportare qualcosa
L’inizio del discorso è da meditare con attenzione. Non volendo disegnare in astratto un nuovo umanesimo,(era il tema del convegno) ne ha indicato i tratti essenziali: umiltà, disinteresse, beatitudine. Particolarmente interessante è il fatto che dentro parole consuete del nostro linguaggio religioso il Papa ha messo un significato fortemente sovversivo. Tanto per fare un esempio, a proposito dell’umiltà ha affermato:” L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti”. Riguardo al disinteresse ha precisato: “Più che il disinteresse dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale…. Evitiamo, per favore, di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli…Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi”. Riguardo alla beatitudine ha precisato: “ Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo….è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede “.
Nel riportare affermazioni del suo discorso mi rendo conto che non è seducente solo ciò che ha detto, ma come lo ha detto. Da questo punto di vista il Papa è inimitabile. In fondo non solo dice cose diverse, ma le dice diversamente. Le parole sembrano emergere da una interiorità innamorata della vita, appassionata della concretezza delle situazioni, sedotta da Dio e dal Vangelo. Tutto ciò significa che leggere ed ascoltare sono due esperienze diverse. Ambedue utili ma diverse. Quando leggi sei stimolato a pensare, quando ascolti avverti l’invito a cambiare. Tutte e due le esperienze meritano di essere fatte. Ma riprendiamo l’analisi della provocante proposta del Papa.
Dopo averle enunciate le tre parole, umiltà disinteresse, beatitudine, il Papa le ha esplicitate: “ Questi tratti dicono qualche cosa anche alla Chiesa italiana”. Si, Papa Francesco intendeva parlare a tutta la Chiesa italiana. Infatti, ha continuato:” Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal ‘potere’ anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa”. Parole di Papa assolutamente inedite oltre che di grande preziosità. Ancora: “ I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a se stessa e ai propri interessi sarebbe triste”. Poi: “Le beatitudini sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente”.
E’ a questo punto che ha ribadito un concetto a lui molto caro e che ha suscitato l’applauso di cui abbiamo detto e che non si è più fermato” Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze (cfr Ev.G n49).
Il discorso del Papa si è fermato, poi, ad indicare le tentazioni che il cristiano può incontrare: la tentazione pelagiana, “che spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata”. Il Papa ha avuto parole di sferzante attualità: ”Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi o fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana…..ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.”.
Facendo riferimento allo Spirito ha detto :” La Chiesa italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo, a volte, inquietante… Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa”.
La seconda tentazione da sconfiggere è quella dello gnosticismo. Ancora una volta, con questo discorso sulle tentazioni da superare, il Papa ha fatto indiretto ma preciso riferimento alla esortazione “Evangelii Gaudium”(Cfr. Ev.G.n.94), per suggerire l’invito ad assumerla, finalmente, senza esitazione come guida per il cammino. Riguardo alla tentazione dello gnosticismo ha precisato:” Essa porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello”. E’ chiaro: il Papa non è contro la logica, ma diffida della logica che perde di vista la realtà o come lui la chiama, la tenerezza della carne del fratello”. Poco dopo :” Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi che non danno frutto”.
Dopo aver fatto cenno alle tentazioni il Papa ha indicato la strada da seguire:” Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto.” Cosa significa ciò in concreto? “ Che cosa dobbiamo fare, padre? Cosa ci sta chiedendo il Papa?” A questa domanda ha così risposto: “ Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l ’ecce homo’ che abbiamo sulle nostre teste….Che cosa ci dice Gesù? A questo proposito il Papa ha posizionato come due pilastri da non dimenticare mai: le beatitudini e le parole del giudizio finale riportate nella solenne pagina di Matteo (25,41-43).
Per dare plasticità al suo discorso è ricorso poi a due immagini, sia per indicare lo stile del pastore sia per ricordare il dovere della carità. Per quanto attiene i pastori l’immagine del vescovo in un tram affollato che, per non cadere, si appoggia agli altri passeggeri:” Ai vescovi chiedo di essere pastori. Niente di più, pastori…Che niente e nessuno vi tolga la gioia di essere sostenuti dal vostro popolo……Ma sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori intendo”. Ancora una volta, poi, ha ricordato la esortazione apostolica, che evidentemente gli considera un punto di riferimento di assoluta importanza: “Ho espresso questa mia preoccupazione pastorale nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium (cfr.nn 111-113).
Per richiamare la carità ha usato l’immagine della medaglia spezzata che le mamme lasciavano all’Ospedale degli innocenti, nel cuore della città, nella speranza di poter in seguito ricongiungersi con il figlio. In proposito ha detto: ”Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati”. La Chiesa italiana ancora chiamata in causa non potrà più dimenticare quella mattinata.
In mezzo alla descrizione delle due immagini il Papa ha fatto una affermazione che non possiamo dimenticare: “Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza”. Questa espressione chiude definitivamente la lunga parentesi postconciliare, nella Chiesa italiana e nella Chiesa universale.
L’ultima parte del discorso è stata destinata ad affermare la importanza del dialogo e della necessità, da parte dei credenti di contribuire alla costruzione della società comune. Anche in questa parte non è mancata una serie impressionante di affermazioni tanto forti quanto consolanti. Ne ricordo qualcuna fra le tante:” Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca”. Con buona pace dei cultori della continuità. Poco sotto:” Dovunque siate non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo”.
Per finire :”Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”. L’invito a riprendere in mano l’esortazione Evangelii Gaudium ha chiuso il discorso: una specie di compito a casa. Speriamo che la tendenza a dimenticare, tipicamente italiana, non abbia a prevalere.
Napoli, 23 novembre 2015