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L’uomo: un essere per sognare
di Giulia Di Nola

In “Essere e tempo”, opera magna del filosofo contemporaneo tedesco M. Heidegger, ritroviamo soventemente la frase, dissacrante e triste, “l’uomo è un essere per la morte”.

L’individuo, “gettato” suo malgrado nel mondo, avverte il senso dell’abbandono essendo la morte la sola certezza e il suicidio l’unica inquietante alternativa.

Ma un’accurata lettura, anche se impegnativa, del suo capolavoro, ci invita ad andare ben oltre le fosche prospettive. Di contro al sistema filosofico di Hegel, totalizzante e svilente la storia dei soggetti umani, Heidegger ripropone, con furore, quella del singolo, quella dell’esser-ci: l’individuo “solo” nell’essere e in vista del suo unico, certo e finale destino ha, invece, modo di realizzarsi e di vivere la propria esistenza nei suoi molteplici contenuti antropologici, nelle sue innumerevoli risorse, nel nel suo originario legame con l’altro da sé.

La morte, come il dolore umano, duro, aspro e terribile, costituisce, invece, la presa di coscienza e l’occasione mediante la quale l’essere umano ha la possibilità di vivere in modo autentico e sincero.

Troppo frequentemente oggi si sente parlare di suicidio; una tremenda realtà che colpisce gli adulti ma sempre più interessa la fragile categoria adolescenziale che fatica a integrarsi in un sociale dai tetri connotati e dalle scarse o inesistenti opportunità: siano esse lavorative che ricreative.

La mancanza di sani modelli politici, le disgregazioni familiari e le insufficienti attenzioni affettive che ne derivano, l’uso sempre più massiccio di sostanze allucinogene, la scarsa sensibilità di alcune istituzioni, come quella chiesastica, il moltiplicarsi di inverosimili realtà propinate dai social network, le condizioni alimentari sempre meno ecologiche, tutto influisce in modo esasperato ed esasperante sulla vita del soggetto che avvertendo il peso del fardello, esanime, si accascia.

Partendo, però, dal presupposto che i primi centri d’ascolto sono i nostri timpani, quelli di noi genitori, è importante e urgente ripristinare il contatto anche visivo coi propri figli: uno sguardo pregno d’amore, un abbraccio carico di affetto, non sono affatto gesti obsoleti ma fanno parte di quei bisogni primari, chimico-fisici, dei quali nessuno può e sa farne a meno.

Come nessuno può fare a meno di sognare ma questo pare che i nostri giovani, segnati da condizioni sociali avverse e a dir poco labili, lo abbiano dimenticato. Ricordiamo loro, invece, che il potere dei sogni è incommensurabile; la capacità immaginativa di arricchire, riprogettare, abbellire, ripopolare di idee il mondo, pur se sghembo e povero di luce, è la vera alternativa.

Napoli, 8 novembre 2016