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La Rabbia e la Speranza
di Luigi Antonio Gambuti

L’Italia è un paese “incurvato che guarda, assiste, subisce. Dovrebbe non giocare più, non a queste condizioni. Invece si volta dall’altra parte, fa passare la nottata e il giorno dopo piange e si lamenta.”
L’incipit della nostra riflessione prende a prestito questa bella inquadratura del nostro Paese da un intervento di Emanuela Audisio, pubblicato su la Repubblica di qualche giorno fa.
Plasticamente quasi a toccarla con mano, viene fuori in tutta la sua complessità la realtà che ci stiamo giocando, generata e indotta dal nostro modo di essere persone e cittadini. Noi, nel concreto delle nostre vicende quotidiane, con i nostri punti di vista e le nostre convizioni; noi facenti parte di un cerchio smagato dove da tempo s’è perso il centro di riferimento per dare misura e sostanza ai nostri comportamenti.
Ci siamo tutti “incurvati”, distorti dalle patologie del sistema, una volta definito democratico, frutto di una sanguinosa lotta per l’affermazione dei diritti universali di ogni cittadino.
La democrazia nata dalla guerra sta scontando il suo “invecchiamento”, è diventata paludosa e i segni che la tracciano sulla pelle della gente sono sempre più incerti e faticosi.
Passi disorientati, esausti, sfiduciati, senza voglia di reagire, quasi sottomessi al sistema che li muove. Ci giriamo dall’altra parte, scrive l’Audisio, in attesa che passi la nottata di eduardiana memoria e che qualcuno, qualcuno chissà chi, raccolga nell’alba che ne viene, le nostre lacrime e le nostre lamentazioni.
All’amarezza rassegnata di questo quadro fa riscontro, quasi da controcanto, per riportare il tutto nella dimensione del reale la metafora renziana, una delle tante, intesa a tracciare i contorni del suo compito nella campagna elettorale che lo impegna nella duplice veste di capo del governo e di segretario del partito che ha maggior peso nel paese.
Renzi parla di campo di battaglia, riferendosi alle postazioni messe in atto per la contesa elettorale, dove si scontrano gli arrabbiati da una parte e gli speranzosi dall’altra.
Se puntuale e realistica è la campitura della contesa, meno chiara e più complessa la serie delle dinamiche che muovono le pedine delle squadre scese in campo.
Se tra gli arrabbiati-e sono molti- svettano Grillo e il suo movimento , con una identità precisa e con precise richieste di cambiamento(qui si dovrebbe parlare di distruzione) del sistema, per “sopravvivere “, tra gli speranzosi, coloro che fanno capo a Renzi, il rottamatore per eccellenza, vagolano tutti quei cittadini che per cultura o per paura non riescono a prendere una decisione forte e si arroccano nella difesa dell’esistente, anche se pesante e privo di futuro, in attesa che passi la nottata e che qualcosa succeda.
Non si tratta, certo, di pavidi ed ignavi a fronte di guerrieri valorosi, si tratta della maggioranza degli italiani che pur nei sacrifici, restano fedeli all’ordine costituito dalle regole democratiche e alle garanzie che ne scaturiscono.
Per i primi torna facile dissacrare,offendere e paventare bibliche catastrofi; per i secondi il percorso si fa sempre più difficile vista la congiuntura negativa che ha messo in ginocchio il Paese.
La contesa sta contaminando centri e periferia; sta esacerbando gli animi e delineando confini sempre più definiti tra le parti in campo. Nel frattempo, nella palude in cui siamo impantanati, si muovono i soliti figuranti che recitano copioni sempre più squallidi e sempre meno rassicuranti.
L’Unto che sente dal di dentro di essere destinato a rivestire il ruolo di padre della patria (ce l’ha ripetuto quasi con le lacrime agli occhi facendoci preoccupare per la sua salute mentale; le diatribe sempre più accese tra corvi e colombe,tra gufi e sciacalli; il comizio inopportuno di Pelù; la gomorreide di Sky; la crocifissa di Firenze; la nuova tangentopoli milanese; l’arresto di Scajola; la fuga di Dell’Utri; la dismissione dello Stato nelle mani di Genny a’Carogn ( si prega di misurare…la distanza!); le tristissime vicende dei disoccupati e degli esodati alla Fornero; le trappole sul cammino di Renzi e i colpi del fuoco amico scansati con destrezza( ma fino a che punto riuscirà a resistere?); lo smantellamento dello Stato-apparato per snellire la burocrazia e ricavare denaro per fronteggiare le emergenze; i milioni di italiani che si aspettano qualcosa più degli ottanta euro per ritornare a vivere dignitosamente. E tutti coloro che si attrezzano per affrontare i disagi e dare una mano per aprire le porte ad un futuro più equo e solidale.  E per raddrizzare la schiena, finalmente.
Diceva qualcuno che quando l’incertezza del domani diventa patologia dell’esistente, scatta spontanea la riscoperta delle cose e dei valori attorno ai quali si sono formate intere generazioni.
Ancora una volta ci piace riportare un pensiero di Jacques Darrida che facciamo nostro per la sua pregnante attualità. Quando nel tempo di una crisi l’elemento più importante è la sopravvivenza ( e questo purtroppo è il tempo), bisogna valutare quanto sia essenziale riprendere e valorizzare ciò che resta di funzionante dei precedenti processi di sviluppo.
Il filosofo francese la definisce “la restanza”, questa categoria del pensiero che viene invitata a farsi azione. Nel caso nostro, vista la situazione data, pur nella aspirazione di un cambiamento che va perseguito senza sconti, vanno difesi ed esaltati quei valori – famiglia, amicizia, solidarietà, senso di appartenenza, condivisione-che hanno fatto adulta la comunità e forte la sua identità nel contesto delle nazioni più avanzate.
Nella contesa tra falchi e colombe, tra gufi e sciacalli, tra distruttori e i rottamatori, che vinca il buonsenso e non si disperda quel patrimonio comune di ideali che alimenta la speranza come unico segno di rinascenza, dopo la restanza.

Napoli, 10 maggio 2014