Come d’autunno sull’albero le foglie
Come d’autunno sull’albero le foglie
di Luigi Antonio Gambuti
L’avevamo previsto. E scritto. Dopo la tempesta referendaria, nella quale tutti si sono sentiti appassionatamente coinvolti come nella partita di calcio della squadra del cuore, regna, sia nel campo di gioco che sugli spalti poveri di spettatori, un’atmosfera strana: di vuoto, di precario, di rilassamento che non mette bene, quanto meno in vista della prossima partita. Dopo la tempesta, la calma; post nubila febo, hanno scritto coloro i quali interpretavano la speranza di risolvere questioni tristi che intristivano gli esseri umani. Se il sole si è fatto spazio tra le nubi; se la tempesta s’è dissolta nella bonaccia rassicurante, ciò che si è verificato nel presente quotidiano e permane ancora come prospettiva di futuro, non è affatto ciò che si voleva e si poteva volere per la nostra comunità.
Ci voleva una scossa; c’era stata ed era stata anche contestata come era giusto che fosse; c’è rimasto un campo morto dove tutto si è “normalizzato”, tutto fatto rientrare nei canoni dell’usurato dibattito politico (?); tutto spostato sine die, in attesa di qualcosa che qualcuno dovrà rimettere in gioco per continuare a giocare. Mi perdoni il mio cortese lettore, per questo girovagare col pensiero nelle spente contrade del nostro spazio vitale. Dopo Renzi (ecco, m’è scappato!), dopo la tempesta giovanile mossa dalla voglia di fare-forse troppa, forse anche insolente, forse anche rischiosa, non v’è dubbio!-dopo l’avvio di qualcosa di nuovo per potere uscire dallo stagno economico, politico, sociale e culturale in cui stavamo spendendo le ultime energie, siamo ritornati al punto di partenza.
Tutto si è normalizzato, la partecipazione popolare si è spenta d’improvviso, la politica del compromesso ha ritrovato la sua legittimazione, le pedine del potere si sono riassestate e tutto si è acquietato. Solo agli analisti più acuti resta valutare quanto accade; solo chi di mestiere vive e tocca di politica spariglia le carte e tra chi vince e chi perde gioca la partita.
Oggi a me, domani a te, purché nessuno si avvicini accanto a noi.
Colpa di quel maledetto fiorentino quattrovolteventi che si era messo in testa di cambiare, cambiare verso, rottamare e rottamare ancora, senza che nessuno gli avesse mai suggerito che giocare il suo destino sull’ignoranza della gente (sì, diciamolo, il suffragio universale per certi aspetti è da contestare!); che vive nel paese dei trasformisti e degli scambisti di mestiere; che la politica, quella che gli dava forza e fortuna fin da giovanissimo, era una cosa da considerare nella sua precaria stabilità, messa in crisi da interessi, camarille e presunzioni che l’hanno macchiata di disonore e di imprevedibilità.
Dopo la tempesta di partecipazione-non si era mai visto prima!-tutto, del resto, s’è riportato al punto di partenza, al niente assoluto, alla negazione di ogni possibilità di riscattare una condizione umana che viverla diventa sempre più difficile per tutti, solo “loro “esclusi.
Del resto, in questa situazione, là dove tutto dovrebbe apparire risistemato e ristabilito -non parliamo di restaurazione perché la parola richiamerebbe ben altri valori- tutto riemerge nella sua “stabile”precarietà.
Se prima vi era un obiettivo certo-le riforme, le sfide, il rischio- oggi c’è il sonno rassicurante della normale amministrazione . S’è cambiato registro di bordo, non si sono cambiati i marinai.
Solo il comandante è stato scaricato, come se fosse stato solo lui ad andare a cozzare, mettendo in atto un provvedimento punitivo degno delle migliori azioni malavitose. Noi non siamo sereni, troppe sono le questioni sul tavolo della discussione.
L’economia, il lavoro, la stabilità, la scuola, la sanità per dirne alcune, tutte affidate nelle stesse mani (non parliamo della pubblica istruzione!), tutte oggetto di riassetto e di ripartizione, tutte riportate al punto di partenza e riproposte con le stesse missioni.
Noi ci sentiamo defraudati, privati di qualcosa di cui ancora non conosciamo identità, struttura e funzione.
Questa volta non abbiamo scritto di partiti; non ci interessa la legge elettorale; ci intristisce la notizia delle morti eccellenti – l’altro giorno se n’è andato Bauman il “gigante del mondo liquido”; non ci importa del congresso del partito democratico, né di Grillo e del suo vergognoso tentativo di nominare la giuria popolare per valutare l’obiettività della stampa e delle sua declinazioni e del sonoro ripudio dei liberali europei; né riteniamo esserci spazio per riflettere sulle provocatorie esternazioni di Papa Francesco, lette ed interpretate come segno di un relativismo pericoloso quanto inusitato.
Non ci interpella la curiosità per Berlusconi e i suoi affiliati; né di Vivendi e delle sue televisioni; né della crisi delle Poste e del fallimento dei suoi investimenti; della vaccinazione contro la meningite e dello stallo del dibattito politico, ridotto nelle sentine delle segreterie dei partiti.
Ci sentiamo, ci si perdoni la citazione, come “d’autunno sull’albero le foglie”, precari e senza prospettive, nello scorrere di una realtà sempre più ordinata, sempre più scontata, dove il nuovo, l’imprevisto, il sole della rinascenza stentano a bucare le nubi del sistema per dare senso alla vita, quella vera, fatta di competizione, di sconfitte e di vittorie , nel rutilante girotondo della giostra quotidiana.
Napoli, 13 gennaio 2017