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A proposito di immigrazione

di Maria Rosaria Pugliese

Dal sondaggio effettuato da” La Repubblica” relativo alle parole maggiormente usate nel 2015, emerge che, durante lo scorso anno, i vocaboli più presenti nella stampa e nel parlare comune sono stati Migranti, Expo,e Astrosamantha.
Chissà quante volte li abbiamo usati anche noi.
Migranti e i termini a esso collegati, come scafisti, profughi, accoglienza, barconi, gommoni, delineano una tragedia umana contemporanea di proporzioni abnormi, se si pensa che solo nell’anno trascorso sono approdati sulle coste dell’Europa mediterranea più di centomila immigrati. Oltre la metà sbarcati sulle rive italiche, tenuto conto che esse sono le più vicine ai Paesi dai quali quei disperati s’imbarcano e quindi più facilmente raggiungibili. Lampedusa dista solo 120 chilometri dall’Africa. Coloro che sono in fuga dalla Nigeria, dall’Eritrea, dalla Somalia, dalla Libia e riescono ad arrivare sulla terraferma si ritengono fortunati – nonostante abbiano viaggiato in condizioni peggiori dei propri antenati schiavi deportati dall’Africa – perché molti dei loro compagni rimangono in fondo a quell’immenso cimitero che è diventato Mare Nostrum.
La prima causa di morte dei migranti in Europa è l’annegamento in mare.
Si ritengono fortunati perché hanno lasciato Paesi in guerra o devastati dalle malattie, ma ignorano il destino di strada che li attende.
Non è possibile fare confronti tra il flusso migratorio di fine ‘800 e primi decenni del ‘900 dall’Europa verso l’America, e i viaggi della speranza del ventunesimo secolo che hanno come mèta il nostro Paese.
Sono due fenomeni, a mio parere, del tutto diversi.
I nostri emigranti arrivavano a Ellis Island – l’isoletta davanti New York – dove venivano severamente controllati e registrati, con una valigia, (prima ancora con il fagotto). Per coloro che non erano

ritenuti idonei, c’era il reimbarco immediato sulla stessa nave che li aveva portati. L’America in quegli anni necessitava di mano-d’opera e
per questo il Congresso a stelle e strisce votò una delibera finalizzata ad agevolare l’immigrazione dall’Europa. I flussi, però, erano regolamentati stabilendo quote che cambiavano di anno in anno. In definitiva negli Stati Uniti c’erano tanto territorio e scarsa manovalanza, il contrario del nostro Paese.
E certamente gli italiani contribuirono in modo notevole alla crescita economica della nuova Patria.
Attualmente la questione migranti è molto controversa nell’Unione Europea: Paesi che alzano muri per difendere i propri confini, altri si dichiarano disposti ad un’accoglienza limitata, altri ancora che insistono sui rimpatri. Sostanziale resta la distinzione tra rifugiato politico (status peraltro sancito dal diritto internazionale) e il generico migrante, colui che si sposta in un altro Paese per migliorare le proprie condizioni di vita. Profughi sono coloro che scappano, in seguito a calamità naturali o eventi bellici, come i siriani che abbandonano le loro case per l’arrivo dell’Islam più radicale. Il clandestino, ovviamente è un irregolare, perché pur avendo ricevuto un provvedimento di espulsione, rimane nel Paese che l’ha allontanato.
L’impressione è di assistere a un continuo scaricabarile di un fenomeno che è in continua crescita e con il quale bisogna necessariamente fare i conti.
L’auspicio è che, nel rispetto delle regole e delle identità nazionali, si arrivi a soluzioni condivise di accoglienza e misericordia. Potrebbero essere quest’ultime due le parole più usate nel 2016? Chissà!
Ma che non restino solo parole.

Napoli, 16 febbraio 2016