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Due Grandi Congedi

di Don Giulio Cirignano*

Riflettere seriamente e serenamente sui due grandi congedi che hanno caratterizzato il cammino ecclesiale di questo ultimo mezzo secolo può aiutare a comprendere non solo lo stile pastorale e le scelte di Papa Francesco, ma, cosa ancora più importante, quanto il Signore chiede oggi al discepolo. Due grandi congedi, dunque.

Il primo è quello costituito dall’evento conciliare. I padri del Vaticano Secondo chiusero solennemente una lunga stagione e ne aprirono una nuova. Prendere congedo significò allora considerare ormai concluso il periodo che si era aperto con il lontano Concilio di Trento. Concluso, ma in che senso? Qui il discorso si fa difficile. Solo un’attente riflessione circa le molte novità inscritte nella vicenda conciliare può aiutarci a comprendere e formulare una possibile risposta. Al Vaticano Secondo cosa si concluse e cosa, invece, prese inizio?

Per la risposta, possiamo tentare una sintesi delle più significative novità: al primo posto occorre situare un nuovo modo di comprendere e valorizzare la Parola di Dio (“Dei Verbum”). Senza dubbio si apriva davanti alla appassionata coscienza ecclesiale una prateria di bellezza dopo il lungo digiuno a motivo delle note polemiche con la Riforma. Comprendere e valorizzare la Parola significa costruire un nuovo modo di pensare e parlare. E’ nel Vangelo che si incontra Gesù, è nel Vangelo che si prende consapevolezza di cosa è la vita agli occhi di Dio. E’ nella sintonia con il vangelo che nasce e rinasce la passione di amare, con cuore puro e povero.

Poi, in seconda battuta, altra concreta novità, un nuovo modo di concepire la realtà ecclesiale: al suo interno, nella sua configurazione intima di popolo di Dio, e nella sua dinamica di estroversione (“ Lumen Gentium” e “Gaudium et Spes”). Anche in questo caso, praterie di bellezza per la mente e per il cuore credente. La bellezza della comunione ecclesiale fondata sulla pari dignità di ogni battezzato, la consolazione derivante dalla comunione fraterna, profezia di un mondo nuovo: tutto ciò era inscritto nel progetto di una nuova maniera di essere Chiesa.

Continuando nella stringata analisi, come terza grande prospettiva di rinnovamento, occorre citare un nuovo modo di intendere il rapporto tra fede e vita così come è proposto con coraggio nella riforma liturgica (“Sacrosanctum Concilium”). Su questo punto, forse la novità è più percepibile: finalmente il popolo di Dio veniva sottratto ad una sterile passività per educarsi, sotto la guida dello Spirito, ad un nuovo modo di attuare la benefica interazione tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune. Praterie di bellezza! In questa interazione trovava felice soluzione il vecchio modo di pensare la funzione del sacerdozio ministeriale, liberato da tentazioni egemoniche, da ambizioni carrieristiche, per accostarsi all’ideale paolino di servizio alla gioia del credere.

Che dire poi del lento ma sicuro cammino ecumenico sotto la imprevedibile azione dello Spirito? Ancora praterie di bellezza!
Prendere congedo dalla stagione precedente non significò allora non riconoscerne i meriti ma semplicemente prendere atto che il tempo passa per tutto e per tutti, anche per le sintesi teologiche che di volta in volta la comunità cristiana è costretta a fare circa la presentazione della propria identità e azione. Solo la Parola di Dio rimane in eterno, la parola umana che l’accompagna passa e si modifica. La misericordia del Signore perdonerà, nella sua infinita pazienza le ridicole resistenze della coscienza che intende restare attaccata ad una stagione che non c’è più. Per una ragione soprattutto: è sempre molto difficile liberarsi dalle abitudini, dal modo di pensare e parlare in cui più o meno inconsapevolmente è stata strutturata la nostra mente. Dobbiamo riconoscerlo: tutti siamo stati come compaginati dalla cultura della controriforma, tutti imprigionati in una spiritualità molto individualista, tutti formati ad una religiosità piena zeppa di devozioni: non c’era la Parola e allora a qualcosa dovevamo pure attaccarci! Certamente il Signore avrà pazienza dei nostri ritardi. Ma non abusiamone.

Il secondo grande congedo che occorre considerare è quello che si è realizzato con la comparsa di Papa Francesco. Il suo magistero, i suoi gesti, le sue scelte ne sono una vera e propria attuazione. Congedo: da che cosa? Da questi ultimi cinquanta anni, vissuti spesso, per le ragioni che dicevamo prima, quasi come una mesta elaborazione di un lutto. Il perché dei ritardi di questi decenni è assai difficile da spiegare. Di fatto le cose sono andate così. Si è per molti aspetti continuato a fare e pensare come se il Concilio non fosse avvenuto. Si è tentato di prolungare e far sopravvivere una stagione definitivamente tramontata: abitudini, pratiche, modalità di pensiero e azione, tutto come sempre. Il mondo era cambiato intorno a noi, ma immutate restavano le nostre abitudini religiose, il nostro linguaggio. Eppure la ricerca teologico-biblica, una certa prassi pastorale innovativa se pur limitata riproponevano la necessità di un adeguamento. Ma molto sembrava arrestarsi davanti alla coscienza di molti troppo affezionati al criterio del “si è sempre fatto così”.

La esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, con limpida tenacia, è il manifesto ufficiale di tale congedo. Lì è già detto tutto quanto serve alla Chiesa per riprendere il cammino entusiasmante delle consegne conciliari. Indietro non sarà possibile ritornare. La sveglia è stata data. Le campane a festa suonano a distesa per impedire di riprendere a dormire.

Anche in riferimento a questo secondo congedo non mancano, come è noto, tristissimi mal di pancia. Nella Chiesa italiana, soprattutto, pare non si muova gran ché. Ma, forse, non è vero. Qualcosa si comincia a vedere. L’accorato, sereno, discorso di Papa Francesco alla chiesa italiana in occasione del convegno di Firenze sta silenziosamente lievitando. I cambiamenti, per quanto riguarda la mentalità, il modo di parlare ed agire sono certamente molto lenti. La nostra voglia di Vangelo ha delle impazienze che sono difficili da controllare. Per fortuna Papa Francesco ha una sapienza che guarda lontano. Mentre ci balocchiamo con vecchi arnesi e inutili iniziative di presenza ecclesiale, Papa Francesco pensa già a Cuba e all’incontro con il patriarca di Mosca, poi al prossimo strepitoso appuntamento in Svezia, con il mondo luterano, in coincidenza con il quinto centenario della Riforma. Poi sarà la volta dell’incontro con gli Anglicani, senza contare che già da subito si possono godere i frutti di una feconda amicizia con ampi spazi della tradizione Ortodossa. Il Papa pensa, vulcanicamente, in grande.

Appuntamenti e percorso ecumenico non facili, ma il sole è alto nel cielo della speranza. A noi, semplici credenti di complemento non resta che gioire e pregare. Lo facciamo con grande fiducia, tanto più che ora il gaudio evangelico è stato messo al centro della nostra vita e nel cuore del cammino ecclesiale.

Concludiamo dando la parola a Papa Francesco ai giovani intervenuti in America del sud al grande convegno dell’anno scorso: “Ragazzi e ragazze non mettetevi in coda nella storia. Siate protagonisti. Giocate in attacco! Costruite un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di amore, di pace, di solidarietà. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! ….Attraverso di voi entra il futuro. A voi chiedo di essere protagonisti di questo cambiamento”.

*Biblista

Napoli, 16 febbraio 2016