Resistere, perché non accada più.
Resistere, perché non accada più.
di Luigi Antonio Gambuti
Se ne vedranno e sentiranno tante in queste ore. E tante ancora se ne scriveranno.
Tanto per celebrare l’anniversario della Resistenza consacrata dalla Storia da parte di coloro i quali quotidianamente vivono l’esperienza della resistenza oggetto della cronaca.
Non v’è dubbio che il 25 Aprile rappresenta la pietra miliare che segna un crocevia significativo della storia della comunità nazionale.
Esso rappresenta il punto di riferimento essenziale per recuperare-rinforzare i motivi che hanno reso possibile la nascita e il consolidamento del nostro sistema democratico, riportandoci alla memoria dei fatti e delle persone che hanno contribuito, anche con la vita, a che fosse definitivamente sconfitta la tragedia autoritaria indotta e praticata dalla politica nazifascista.
Se la Resistenza “storica” ha versato il sangue dei suoi martiri per la liberazione delle persone dai tentacoli razzisti e autoritari imposti dal regime dittatoriale, non del tutto sono stati cancellati i motivi e le ragioni che furono a fondamento degli stessi.
La violenza, la sopraffazione, la corruzione, l’ingiuria alla vita, il mito del superomismo, la violazione sistematica della legge, tutte categorie negative che furono a supporto della filosofia cui faceva riferì mento il regime fascista, sono ancora oggi presenti nel nostro universo esistenziale ed interpellano le coscienze perché non sottovalutino e non rischino la riproduzione di quel quadro di eventi che fu il diorama complessivo della seconda guerra mondiale.
Oggi, più di ieri, fatte salve le condizioni antropologico-culturali diversissime dagli anni del dopoguerra, serve riattivare e allertare l’attenzione sulla pericolosità di alcune derive che, se pur larvatamente autoritarie, minano il sistema democratico-repubblicano.
Non si tratta, certo, di scendere in campo armati di fucili e di pistole; se allora il conflitto nazionale si risolse con la guerra partigiana, oggi si tratta di mettere in campo la valorizzazione, se non il recupero,delle garanzie costituzionali che, se solo applicate nella loro autentica lettura valoriale, possono realizzare le condizioni per mettere in sicurezza il sistema democratico.
Bisogna convincersi che fare memoria delle privazioni, dei sacrifici e delle lotte per sopravvivere serve a capire,specialmente da parte delle nuove generazioni, da quale frontiera di violenza siamo partitie dove siamo arrivati;come vivevamo la cittadinanza ieri e come la viviamo oggi. Tanto per prendere coscienza delle responsabilità in capo ad ognuno di noi,là dove è necessario non abbassare mai la guardia, per evitare di cadere nel baratro dal quale milioni di morti reclamano giustizia. E memoria, appunto, chè per chi va via, rappresenta il registro dell’illusione di foscoliana memoria.
Specialmente oggi, tempi difficili e controversi, là dove si è in presenza di un canagliume sempre più diffuso ed invadente, serve ritrovare, per recuperarne il significatopiù profondo, quei motivi ideali che furono la spinta ispiratrice e la forza dell’impresa partigiana di cui oggi si celebra significativamente la ricorrenza.
Il 25 aprile, quindi, come segno e impegno di riscatto da una condizione di barbarie politica,di eversione morale e di follìa istituzionale.
Serve, allora ripetere tre volte, come fece Francesco Saverio Borrelli, nel discorso d’inaugurazione dell’anno giudiziario al tribunale di Milano, coincidente col suo ultimo anno di servizio.
Quasi un testamento: resistere, resistere, resistere. Resistere alla tentazione di fare soldi con la corruzione sistematica praticata dai cosiddetti servitori dello Stato e dagli apparati periferici e centrali della pubblica amministrazione; dai politici di ogni livello e di ogni cordata che ancora si ostinano a definire politica; resistere alla violenza del mercato che fa dell’uomo merce di scambio e delle sue cose fonte di sfruttamento e di oppressione.
Ecco, allora ,che diventa salutare, almeno una volta all’anno, riaffermare la forza di quei valori attorno ai quali si aggregarono migliaia di persone: partigiani armati, partigiani silenziosi, popolazioni inermi divenute improvvisamente battagliere: il rispetto della persona umana, nel senso più significativo del termine, quello mariteniano.
Nel ricordarle, quelle persone, e per onorare i loro sacrifici, bisogna riprogettare il percorso formativo per una rinnovata coscienza democratica, partendo dalle scuole,anzitutto,per arrivare alle istituzioni, attraverso l’imprescindibile calore familiare, come sede fondativa della coscienza individuale e collettiva.
Si scriverà e si parlerà tanto delle Fosse Ardeatine e di Bellona; di Sant’Anna di Stazzema e delle Quattro Giornate napoletane; di tanti martiri e di tante distruzioni; si eleverà alto grido di dolore dei sopravvissuti , noi per primi, e si farà a gara a chi più d’ogni altro manifesterà senso di giustizia e di dolore. Ma ciò non basta in un tempo di stragi di migranti, di incertezze del diritto,di messa in mora dei valori fondativi della nostra comunità. Non li elenchiamo questi disvalori, perché sono sotto gli occhi di tutti con le loro devastanti conseguenze. Cogliamo l’occasione per ricordare la medaglia d’argento al valore di cui si fregiò l’avvocato Armando Izzo di Afragola, eroe nostrano che combatté da resistente sulle montagne della Liguria Occidentale, in quel d’Imperia, riconosciuto come capo partigiano col nome di battaglia Fragola-Doria, per onorare la città natale e il territorio delle sue operazioni.
Con questo nome, al comando della V brigata Garibaldi, compì azioni coraggiose, vinse le battaglie e fu ferito.
Ebbe la cittadinanza onoraria di Castelvittorio in Valle Nervia, là dove si rifugiò da ferito e fu curato. Tornato ad Afragola vi fu sindaco e consigliere provinciale, uomo di partito e di servizio alla sua comunità , là dove costruì scuole,strade, piazze e centri di servizi, lasciando segno indelebile per il suo carattere severo, quantopaziente e disponibile all’ascolto, deciso nelle sue convinzioni.
Afragola, la sua Città, non ha fatto niente per questo cittadino, storicamente inserito nella leggenda partigiana.
Per colui il quale amava dire: mai più, nella speranza di un futuro più giusto, umano e solidale, non sarebbe il caso di mettere in campo qualcosa che ne trasmetta ai posteri la memoria in maniera significativa, duratura e condivisa?
Afragola, 25 aprile 2015