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Le sfide pastorali sulla famiglia al Sinodo dei Vescovi
di Don Giulio Cirignano *

Il Sinodo sulla famiglia nella sua prima tappa (2014) prenderà visione delle risposte all’inchiesta voluta dal Papa, ordinate nell’instrumentum laboris e svolgerà una riflessione a tutto campo sui problemi della istituzione familiare. In questo quadro, una certa importanza assume la questione della ammissione alla eucarestia dei divorziati e risposati o passati ad una nuova convivenza. Certo, questo non è l’unico problema ed occorre evitare che tutta la riflessione si concentri solo su questo aspetto. Ma data l’ampiezza del fenomeno, questo è un problema che dovrà trovare una soluzione soddisfacente.
La prospettiva proposta dal Card. Kasper è di grande interesse: occorre distinguere i principi dalla prassi. I principi sono immutabili, la prassi può cambiare.
Allo stato attuale tuttavia si ha la netta sensazione che la riflessione debba ancora approfondirsi, per approdare ad una visione più solida della questione. Quella distinzione è importante ma non basta. Non si è ancora giunti al cuore del problema. Sarà dura, ma non possiamo evitare di tentare una nuova radicale visione della questione.
Le parole di Gesù sul divorzio e quindi sulla possibilità di nuove nozze riportate nei vangeli (Mt. 5,31-32; 19,3-9; Mc. 10, 2-11; Lc. 16,18) necessitano di una nuova ermeneutica. Il terreno è delicatissimo, mai osato attraversare prima. E’ il mistero dell’Incarnazione, della irruzione dell’eterno nel tempo che ci spinge in questa direzione.
Quelle parole vanno collocate, allora, nel contesto della situazione di Gesù. Egli intese correggere una deformazione inaccettabile del disegno di Dio sul matrimonio. La durezza del cuore, che si era spinta a ipotizzare la possibilità del divorzio per ragioni perfino ridicole e solo a vantaggio dell’uomo, aveva suggerito la possibilità di concedere il libello del ripudio. Le parole di Gesù al riguardo sono note e non c’è bisogno di insistervi, anche se non sfugge a nessuno la dimensione culturale(il discorso sembra occuparsi solo dell’uomo) e quindi transitoria delle affermazioni.
Per duemila anni, a differenza della tradizione della chiesa orientale e delle Chiese della Riforma, la Chiesa cattolica ha, per così dire, eternizzato quelle parole. Le ha come congelate in una comprensione immutabile. E’ venuto il momento di chiedersi con coraggio: è giusto tutto ciò? Dobbiamo riconoscere che le Parole che Gesù disse per liberare la donna da una situazione inaccettabile sono diventate, talvolta, una gabbia ferrea per l’uomo e la donna! Gabbia ferrea: un divorziato e risposato per sempre in condizione di peccato mortale irrimediabile se non attraverso la astensione dalla gestualità sessuale. In peccato mortale a meno di vivere come fratello e sorella!
Forse vale la pena indicare i fattori che aiutano a comprendere quanto la situazione in cui l’uomo vive oggi sia diversa da quella in cui Gesù affrontò la spinosa questione, in polemica con i capi religiosi del suo tempo. Così diversa da spingerci a chiederci se Gesù userebbe ancora le stesse parole. Questa domanda non intende sminuire il valore delle parole del Signore, ma piuttosto salvarle e renderle nuovamente creative, veramente creative sia per La donna che per l’uomo e, in ultima analisi per la stessa esperienza sponsale. Certo, userebbe le stesse parole per indicare la bellezza del disegno di Dio ma lo farebbe anche nella consapevolezza della attuale condizione dell’uomo, che molti sembrano non aver ben compreso e che rendono incomprensibile la soluzione finora adottata.
Dunque i fattori di diversità. La semplice indicazione, forse, non rende giustizia appieno al loro peso. Ma un po’ di riflessione può farne scorgere tutta la vastità.
Al primo posto metterei la organizzazione della convivenza e della vita quotidiana. Siamo davvero in un altro mondo: penso alla organizzazione del lavoro, ai ritmi della vita, alle relazioni sociali, al clima culturale di questa complessa postmodernità, e così via.
Altro fattore di profonda diversità è il ruolo e la figura della donna, nella vita sociale e politica, nella vita domestica, sul piano dell’impegno professionale e lavorativo. Forse proprio questo fattore ha determinato il tramonto della forma tradizionale della famiglia.
Altro elemento di fondamentale importanza è il percorso della ricerca scientifica sull’uomo e i suoi interiori, complicati dinamismi legati alla affettività ed alla sessualità. Il riferimento a Freud e alla psicologia è d’obbligo. Non c’è bisogno di insistere su ciò. La pansessualità è caratteristica di questi ultimi cento anni di studi sull’uomo. In ogni angolo della vita il sesso la fa da padrone: nel cinema, nella televisione, nella pubblicità.
Non possiamo dimenticare e sottovalutare in questa rapida rassegna la nuova situazione che si è determinata, per la persona, a livello planetario: incontri di culture e religioni diverse, pluralità di visioni della vita, universi mentali che si incontrano e scontrano. Dalla tribù al villaggio globale la distanza è davvero grande.
L’influenza della scienza e della tecnica, ultimo importante fattore destabilizzante: il loro influsso sulla vita ed il pensiero, la loro determinante azione circa la transizione epocale che stiamo vivendo caratterizzata da un alto tasso di fragilità che rende problematica l’assunzione di qualsiasi impegno.
Come è ovvio non si tratta di prediligere una visione negativa, ma di affermarne una semplicemente realistica dell’uomo. Si può anche far finta che tutto ciò, ed altro ancora, non esista ma le cose non cambiano.
Gesù fu uomo del suo tempo. Se parlasse ora, uomo di questo tempo, conoscerebbe l’uomo di oggi, vivrebbe come un uomo di oggi. Anche lui vestirebbe in maniera diversa da duemila anni fa, parlerebbe una lingua diversa, avrebbe gusti diversi. Solo il cuore sarebbe lo stesso. Un cuore pieno d’amore. i
Gesù ci fa grandi, proponendoci anche oggi un grande ideale di realizzazione umana e sapendoci deboli ci garantisce anche la grazia per realizzarlo. Misteriosamente ma realmente. Ma conoscendo bene anche il nostro fragile cuore darebbe anche il perdono per il possibile fallimento. Un perdono per rimetterci in moto, per una nuova opportunità. Così ha fatto con tutti i perdenti che ha incontrato. Con la peccatrice anonima, con Zaccheo, con Pietro. Probabilmente ci ha provato anche con Giuda. Lo ha fatto con il ladrone, dall’alto della croce.
Le sue parole sul divorzio erano contro una situazione di ingiustizia nei riguardi della donna e noi, poi, questa bontà verso la donna l’abbiamo trasformata in durezza sia verso la donna che verso l’uomo.
Due persone che fanno esperienza del fallimento circa l’ideale matrimoniale dovranno forse trovare un Dio incapace di comprendere e una Chiesa che, anziché prendere atto della realtà, aggiunge peso a peso? Il mancato raggiungimento dell’ideale contiene già in sé una severa punizione per le persone che lo vivono.
Ma lo Spirito non si spegne. E’ gonfio di vita, per tutti. Soprattutto per tutti quelli che riconoscono il proprio fallimento, la propria sconfitta, me che non accettano né di morire avanti tempo né di restare fermi per sempre.
Sulla base di una sincera adesione al Vangelo ed alla sua logica, attraverso una sentenza non generalizzata ma personalizzata, possiamo tornare ad essere testimoni di un Dio della pace. Allo sposo e alla sposa che hanno fallito il bersaglio deve, allora, essere offerta la possibilità di un nuovo ricominciamento. Non è un gioco, ma un progetto di vita. All’uno e all’altra non possono essere vietati gli aiuti per onorare questa nuova ripartenza.
In ultima analisi, riconoscere la dimensione storica delle parole di Gesù, come già detto, non significa sconfessarle. Quanti si appellano a quelle parole per prolungare un atteggiamento di inscalfibile sicurezza, non hanno mai pensato che Gesù, nella cena di addio dette il pane e il vino anche a Giuda? Dunque non si tratta di sconfessare le parole di Gesù ma di renderle capaci di portare la pace quando è stata compromessa per una pluralità di ragioni che, spesso, non è neppure agli stessi sposi possibile rintracciare . Parole creative perché capaci di ricostruire l’alleanza con un Dio che ha un cuore ed una mente più grandi delle nostre paure e ossessioni.
Come cristiani siamo discepoli di uno che non era il capo del Sinedrio, ma di uno “scartato” dal Sinedrio e per questo capace di comprendere e ridare dignità a tutti gli scartati della terra. Gli scartati non solo dal potere, ma anche gli scartati dallo loro stessa miseria e povertà.

Napoli, 14 ottobre 2014

*biblista