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Ricominciare da Gerusalemme
di don Giulio Cirignano –biblista-

Il pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa merita di essere ricordato e commentato non solo per l’alto valore che ha in sé, ma anche perché contiene una preziosa lezione per ognuno. Di questo evento molto ne hanno parlato i mezzi di comunicazione. Ma proprio perché dopo tutto il gran parlare l’evento non sfumi nella nostra distratta memoria è opportuno indicarne gli aspetti più preziosi e, nello stesso tempo più impegnativi anche per noi che vi abbiamo assistito a distanza. Due sono le grandi consegne di questa storia appassionante.
La prima è quella costituita dal forte impulso al sogno ecumenico. L’abbraccio fraterno tra il Papa e il patriarca di Costantinopoli è stato solo il segno esteriore di un valore grande, tutto racchiuso nella preghiera dell’ultima sera di Gesù, costantemente tradita dalla grettezza del cuore umano, troppo fragile per un progetto di comunione così ardito: “che siano una cosa sola”.
In quell’abbraccio si specchiava certamente la nostra debolezza ma anche la nostalgia di un approdo che sarà possibile solo per la forza delle Spirito e secondo tappe che lui solo può dettare. Ma intanto in quell’abbraccio era all’operala Grazia di Dio a suggerire parole e pensieri coraggiosi.Il cammino sarà lungo. Ma averne fatto intuire la bellezza è già un grande risultato.
Si è affacciata alla nostra mente l’immagine di Paolo VI, l’intelligenza delle sue parole e dei suoi dolci e arguti sorrisi. Poi l’immagine vigorosa di Giovanni Paolo, la sua fede trascinante. Ma ha un senso dire tutto questo se ognuno si sente coinvolto e partecipe di un progetto che spesso appare lontano dalla esperienza dei semplici fedeli. Ma non è così. Come accompagnare l’azione dello Spirito in un a impresa tanto complessa? Ecco la grande lezione che si posa nel nostro animo. Imparare la lezione del sorriso e della affabilità. Ma questo è solo l’inizio. Viene poi la progressiva educazione a cogliere la bellezza della pluralità e diversità delle tradizioni religiose. Ad essa segue il salutare distacco dai nostri punti di vista, dalle nostre gelose presunzioni di verità, distacco che nulla a ache fare con il relativismo. Dio non si offende se riconosciamo la sua inarrivabile grandezza e definiamo il nostro cammino verso di Lui come cammino sempre provvisorio e parziale. Si, Dio è più grande delle nostre pur raffinate sintesi teologiche circa il suo mistero che Egli ha voluto comunicarci. L’unità, allora, delle diverse tradizioni religiose è come un lento sbocciare di un fiore a primavera, con il profumo di nuova, sorprendente creazione dello Spirito. Questa è la lezione che ci interpella dai fatti di Gerusalemme, in un misto di lieta speranza e serio impegno.
La seconda consegna del pellegrinaggio del Papa ha un nome altrettanto chiaro e preciso: pace. Al riguardo, quattro sono stati i momenti particolarmente toccanti: la delicata carezza al muro che separa i due popoli in lotta, quello di Israele e quello palestinese, la consegna del “padre nostro” al muro del pianto, la sofferta sosta al monumento che ricorda gli orrori e i dolori della persecuzione nazista, l’invito rivolto ai due presidenti di un incontro in Vaticano, per pregare e parlare di pace.
Anche da tutto ciò, una forte lezione per ognuno: ”beati i costruttori di pace”. Come farlo nella trama apparentemente insignificante della nostra esistenza quotidiana? Come farci sentinelle di pace nella povertà della nostra condizione feriale? Tra le molte strade che si aprono davanti alla responsabilità mi piace richiamarne una, semplice e formidabile insieme: tenere desta, dentro la coscienza, la vocazione originaria che ci contraddistingue come persone, quella dellaamicalità.
So bene che essa è come imprigionata nel groviglio delle passioni e degli egoismi molteplici. Si è perfino tentato di legittimare tale condizione come ineluttabile: “homo homini lupus” si dice. Ma questa è una menzogna, una comoda menzogna che possiamo smentireattraverso la continua fiducia nei confronti della fecondità e bellezza della amicalità e della simpatia verso noi stessi, gli altri, il creato. Amicalità è qualcosa di diverso da amicizia. Quest’ultima e un dato di fatto, l’amicalità è una tensione continuamente rinnovabile.
Con queste consegne possiamo accompagnare il cammino di Papa Francesco, aspettando anche noi con fiducia e nella preghiera lo Spirito della Pentecoste.
Non posso chiudere queste note senza aver prima fatto cenno alla intelligente difesa di PapaBergoglio condotta da Dario Fo, che molti avranno sentito, nel quadro della trasmissione di un magnifico concerto dall’arena di Verona. Un ateo, un marxista convinto e altri titoli simili che Fo ha voluto inanellare per sottolineare la paradossalità della sua difesa. Il premio Nobel ha fatto riferimento ad un recente dibattito con un intellettuale moderato, molto moderato, che ha avuto la delicatezza di non nominare, il quale tentava di sminuire il carisma sorprendente di Papa Francesco.
Dario Fo ne ha fatto una difesa asciutta, fuori di ogni inutile enfasi richiamando due discorsi, quello ai politici e quello ai vescovi italiani. Ognuno dei due discorsi meriterebbe un prolungato commento che non possiamo permetterci in questa sede. Voglio solo accennare alla profonda amarezza nel constatare come anche una persona ed una storia così sorprendente come quella di Papa Bergoglio possano trovare resistenze. Ma, forse, è bene così: “guai quando tutti diranno bene di voi” dice il Signore. Ma ciò non può non preoccuparci.
Comprendiamo anche l’imbarazzo, in basso e in alto, che tale carisma può suscitare. Ma dobbiamo affermare con forza che l’entusiasmo che genera non è né trionfalistico né celebrativo; è solo segno della gratitudine al Signore per averlo donato alla sua Chiesa.

8 giugno 2014