gio 28 NOVEMBRE 2024 ore 20.57
Home Politica Rileggendo Ventotene

RILEGGENDO VENTOTENE
di Luigi Antonio Gambuti

Domenica si metterà mano, ancora una volta, al cantiere dei sogni. Si voterà, e tutti dovremmo andare a votare, per rinnovare il Parlamento Europeo che per i prossimi anni dovrà dettare la linea politica –economico finanziaria agli stati membri, per realizzare quel sogno che nell’agosto del 1941, nel pieno del secondo conflitto mondiale , due italiani sognarono nelle celle disadorne e fredde del penitenziario di Ventotene.
Relegati nell’isola per il loro dissenso dal regime fascista, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi scrissero quel documento-analisi che ancor oggi merita di essere ricordato,specialmente a coloro che votano per la prima volta per il Parlamento Europeo, quant’anche a coloro che risultano candidati e che, nei loro comizi, non fanno altro che limitarsi alla funzione dell’euro, dei patti di stabilità, alla destinazione delle risorse comunitarie e alla promessa di recuperarne quante anche altre possibili.
Non un accenno alle ragioni dell’europeismo come cultura comune,come senso di appartenenza,come visione di un destino indissolubilmente legato alle“ fortune” comunitarie.
Di tutto si è parlato e si è scritto in questi giorni; di tutto s’è detto nel dibattito politico e s’è trattato delle vicende negative della politica europea nel campo della stabilità economico-finanziaria e poco di quei valori e di quelle conseguenti determinazioni che costituirono il fondamento della formazione della Comunità Europea prima e dell’Unione Europea dopo.
Dei veri valori, delle criticità e delle proposte messi in luce da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi poco si è discusso.
Sarebbe stato, a nostro avviso, opportuno ripartire dal manifesto del 1941, studiarne le proposte e le attese e da lì ripartire, con la lettura delle difficoltà che ne hanno determinato la loro irrealizzazione.
Niente si è fatto; il tutto s’è ridotto alla condanna dell’euro, del fiscal compact, del pareggio di bilancio, del tre per cento e delle questioni attinenti alle concertazioni monetarie ed ai flussi finanziari.
Questioni serie, queste, che comunque non devono essere considerate l’unico blocco di problemi per il quale impegnarsi per la richiesta del consenso elettorale.
Verrebbe, quindi, da chiedersi- al netto delle questioni di cui sopra, quali sono stati i punti chiave del Manifesto che hanno sostanziato le proposte degli esuli antifascisti prima richiamati?
Si può mai ridurre al mero dibattito economico-finanziario la questione europea e la crisi che ne è stata ragione e conseguenza, senza fare riferimento a quei valori che furono alla base della costruzione dell’idea comunitaria?
Si era nell’agosto del 1941, nel pieno del secondo conflitto mondiale, là dove gli stati nazionalisti e totalitari si contendevano il dominio non solo sul vecchio continente, quand’anche sulle terre dei paesi extraeuropei.
Per i candidati al seggio parlamentar e per i loro elettori, ma anche per noi stessi, per non restare impaludati in una visione economicistico-finanziaria della scommessa spinelliana, abbiamo letto e qui in breve riportiamo, alcuni punti chiave che furono alla base delle proposte del rinnovamento degli stati in senso comunitario e democratico. Anche se “datati”, riteniamo che una loro lettura possa essere utile a comprendere la distanza da quanto si era proposto a quanto,allo stato , si è realizzato.
Ed a quanto, ancora, resta da fare.
Primo punto: la nazionalizzazione delle imprese. Non si possono lasciare ai privati le imprese che, svolgendo una attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei conservatori e ricattare gli organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa…oggi, dopo il fallimento delle cosiddette nazionalizzazioni, ridotte a mangiatoia per i politici affamati e raramente costretti ad alzare il muso dalla mangiatoia, si è arrivati alle privatizzazioni, alla vendita dei pezzi dello Stato, visto che lo stato è stato incapace di governarne la gestione.
Solo le banche resistono alla crisi, lucrandone gli effetti e determinando le politiche finanziarie di riferimento.
Secondo punto.
Bisogna ripensare la distribuzione delle ricchezze, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassiti.
Pensiamo ad una riforma agraria ed industriale che estenda ai lavoratori la proprietà, con l’azionariato operaio e le gestioni cooperative. Guardandoci attorno, possiamo constatare il fallimento di queste proposte, determinato dalla crisi indotta dalla globalizzazione dei mercati e dalle incapacità dei governanti di gestire il processo.
Terzo punto.
I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze tra le posizioni di partenza nella lotta per la vita… In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi..e dovrà preparare un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato. S’è visto.
Il cosiddetto ascensore sociale da tempo si è bloccato e il tempo dei figli di papà s’è riproposto più forte ancora e la disoccupazione giovanile è assurta a tragedia del paese.
Specialmente quella delle classi intellettuali, cacciate dal mercato per la crisi delle aziende ad alta tecnologia manifatturiera.
Quarto punto.
Si dovrà assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio ed il vestiario(?) ed il minimo conforto necessario per conservare la dignità umana.
La solidarietà sociale dovrà manifestarsi non con le forme caritative sempre avvilenti,ma con una serie di provvidenze che garantiscano, incondizionatamente, a tutti, un tenore di vita decente senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio.
Così nessuno sarà costretto ad accettare, costretto dalla miseria, contratti di lavoro iugulatori..Straordinario questo punto di riflessione. Attualissimo, come se fosse stato scritto oggi, quando gli ottanta euro promessi dovrebbero..” garantire un tenore di vita recente.” Tanto per dire.
Questi appena descritti, sono i cambiamenti necessari per creare, attorno al nuovo ordine, un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impegnata in un forte senso di solidarietà sociale.
Il documento, trattando di cosa fare nel dopoguerra per la riforma della società, dice che un’Europa libera e unita è premessa necessaria al potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà il riprendere immediatamente e in pieno il processo storico contro le diseguaglianze e i privilegi sociali.
Questi, alcuni cenni del Manifesto di Ventotene, risalente al 1941 , quindi, abbastanza datato.
Resta attuale per tanti motivi, fra tutti la questione sociale che con tanta lungimiranza aveva aperto e che ancora oggi stenta a trovare una sua giusta collocazione.
Questo è quanto in premessa avevamo detto del sogno degli europeisti di tanto tempo fa.
Oggi, a distanza di più di settanta anni, cosa ci offre la politica in merito alle irrisolte questioni, nel momento in cui ci accingiamo ad entrare nella cabina elettorale?
Dalle piazze reali e dalle piazze mediatiche risuonano le parole e gli strilli dei soloni dell’attuale ceto politico. Nel chiederci se avranno ami letto il manifesto di Ventotene e di averne colto lo spirito profetico e le sue possibili implicazioni nella realtà contemporanea, invitiamo tutti coloro che si pongono domande sulla situazione sociale che stiamo vivendo di ben altra gravitò di quella descritta da Altiero Spinelli e dai suoi sodali di sventura, a considerare la distanza che separa quei coraggiosi intellettuali dai protagonisti politici di oggi. Senza troppi giri di parole ci limitiamo a riportare il solito menu di “pensieri e progetti” di carattere politico,tralasciando di far cenno alle vicende giudiziarie,perché riempirebbero tutto il giornale.
In primis spicca l’eterno innovatore del mantenimento del sistema, l’Unto del Signore che s’aggrappa ad ogni scoglio pur di restare a galla. Senza preoccuparsi del ridicolo, ha detto, bontà sua, che Francesco sta facendo il papa proprio come l’avrebbe fatto lui. Dai diversamente berlusconiani rigurgita l’arroganza di essere gli acceleratori del cambiamento, l’avantreno delle riforme (sembra di essere in un’officina meccanica), il tutto con “determinazione gentile”(?); dalle paure per la vittoria di Grillo (che ne sarà dopo solo Dio lo sa) alla lotta tra chi vuole restarci in Europa e chi vuole uscirne; tra i conflitti interni alla sinistra europea -di cui il PD fa parte- che non riesce a liberarsi dei vecchi schemi conservatori – Schulz che trascina Renzi il rottamatore- e dei privilegi tutti italiani; dalla Lega che naviga nel solito mare di opportunismo demolitore alle vagolanti pretese dei cespugli che ad ogni tornata elettorale s’affacciano nel deserto affollati di idee e di progetti.
Questo è quanto, tanto per tenere sveglie le coscienze.

23 maggio 2014