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Un occhio alla Nazionale
di Giovanni Della Pietra

2La Nazionale Italiana di calcio attraversa una fase critica della sua storia caratterizzata da progetti mai completati – vedi Mancini e Spalletti – o peggio finiti male – come ad esempio il percorso di Ventura – dalle mancate qualificazioni ai Mondiali del 2018 in Russia e del 2022 in Qatar, intervallate solo dalla vittoria dell’Europeo, eccezionalmente giocato nel 2021 in maniera itinerante, che sembrava un’illusoria luce in fondo al tunnel.
Anche l’ultimo ciclo, quello di Luciano Spalletti, termina nel peggiore dei modi possibili dopo un percorso tutt’altro che esaltante, con una sconfitta umiliante e desolante contro la Norvegia, che ha compromesso in maniera pesante la qualificazione ai Mondiali del 2026 in USA, Canada e Messico.

La sconfitta in Norvegia
La sfida tra Norvegia ed Italia si inserisce nel gruppo I di qualificazione in vista del Mondiale allargato a 48 squadre del 2026 a cui prendono parte oltre agli Azzurri e alla Nazionale scandinava, anche Estonia, Moldova ed Israele (geograficamente in Medio Oriente, ma calcisticamente legato alla UEFA).
La nazionale di Håland ha già raccolto due trionfi, mentre l’Italia esordisce nella terra dei Fiordi dopo essere stata impegnata in Nations League, in una gara che potrebbe già orientare la qualificazione, giacché solo la prima del girone si qualificherebbe direttamente ai Mondiali, evitando loSPALLETTI spauracchio play-off. Gara da azzannare con il rischio di chi tra trionfi e delusioni potrebbe avere la testa altrove, ed infatti pronti via e la Norvegia è avanti dopo 14′ sfruttando una disattenzione della linea difensiva; poi il talento, quello sì puro, di Nusa raddoppia sfruttando gli interventi scomposti di Di Lorenzo e Rovella.
A fine primo tempo, i padroni di casa conducono già 3-0 con l’immancabile firma di Håland. Un’Italia spenta rischia anche l’imbarcata nella ripresa, trovando una sola conclusione nello specchio – utile solo per le statistiche ma per nulla pericolosa.
Tale sconfitta è grave per atteggiamento e per risultato perché pregiudica in maniera importante la qualificazione e costringe i nostri a vincere tutte le gare, compresa quella di ritorno, dare sempre un occhio anche alle reti segnate – che storicamente non sono il pane degli Azzurri – e pregare divinità cattoliche e nordiche sperando in un inciampo dei norvegesi che agevolerebbe il tutto.
È la sconfitta figlia di un movimento stantio e fermo, marcio dalle basi, e che non accenna a cambiare come si evince dalle mancate qualificazioni alla Coppa del Mondo del 2018 e del 2022: mancare un terzo mondiale sarebbe un evento catastrofico perché significherebbe saltare tutta una generazione di eventuali tifosi che si avvicinerebbero al calcio tramite i grandi eventi. Pensate che chi ha 11 anni non ha mai visto un’Italia ai Mondiali, ma anche chi ne ha 16 non può averne un ricordo così limpido.

La scelta
italia_norvegiaOvviamente, questi calcoli sono stati fatti anche tra i vertici della FIGC, ma la scelta è, a mio avviso, quella più – eufemisticamente parlando – furba possibile: via Spalletti, passato per unico colpevole della terza (possibile) debacle mondiale al momento, dentro un uomo che dovrà provare a compiere un miracolo che in caso positivo passerà in sordina, ma in caso negativo lo renderà il catalizzatore della rabbia popolare, quando il disastro si manifesterà nella dura realtà.
La Nazionale, nella figura di Gravina, sonda diversi profili tra cui Claudio Ranieri, Stefano Pioli e Gennaro Gattuso tra tutti.
Il primo tentativo viene fatto per Ranieri, allenatore che nella scorsa stagione ha consolidato il suo status di tecnico di assoluto e altissimo livello, che però aveva annunciato dopo l’annata in corsa alla Roma di voler smettere di praticare il ruolo di allenatore: diviene così il Senior Advisor della società AS Roma.
La richiesta del tecnico di Testaccio è quindi la possibilità di ricoprire il doppio ruolo, ma un po’ l’insoddisfazione delle due parti che avrebbero dovuto condividere il Sir, un po’ la consapevolezza di avere una posizione scomoda in cui gli si chiedeva l’ennesimo miracolo con il rischio che, in caso negativo, potesse intaccare il suo rango, fa saltare ogni trattativa.
Altro nome sul taccuino della Federazione è Stefano Pioli, con cui però risulta complicato imbastire ogni tipo di trattativa sia perché legato contrattualmente all’Al-Nassr, dove non è visto di buonissimo occhio ma alle prese con un accordo vincolante, sia perché promesso sposo della Fiorentina al giungere della scadenza del suddetto legame lavorativo.
Quindi, la scelta cade su quello che a mio avviso, anche in partenza, era il nome più accreditato: Gennaro Gattuso, che di situazioni facili da allenatore ancora ne deve vivere nonostante una carriera già decennale. Sembra l’uomo ad hoc per questa parte di vita della Federazione, ma purtroppo sembra anche una figura con le spalle sufficientemente larghe da prendersi le colpe di un eventuale terzo mancato Mondiale.

Rino allenatore
GATTUSO ITALIA HDIl calciatore Gennaro Gattuso era sinonimo di grinta, cattiveria, resistenza atletica e palloni recuperati, con la tecnica che non era il punto cardine del suo repertorio, come testimoniano i Mondiali vinti del 2006, dove “Rino” era il recupera-palloni al servizio del centrocampo azzurro. Ma attribuire solo queste caratteristiche al Gattuso allenatore è sminuire il percorso da tecnico del neo-CT della Nazionale Italiana.
Sicuramente, nel suo cammino da guida tecnica lascia intravedere doti umane importanti chiamato sempre in condizioni catastrofiche, come Creta, Pisa e Hadjuk Spalato, dove deve convivere con le condizioni economiche della società tutt’altro che prospere. Qualche segnale positivo lo lancia nelle parentesi di Milan e Napoli: alla guida dei rossoneri sfiora la qualificazione alla Champions League all’ultima giornata in un momento della storia del Diavolo in cui navigava tra 10° e 6° posto. Con i partenopei, raccoglie uno spogliatoio in subbuglio dopo l’ammutinamento nella gestione Ancelotti e conduce il Napoli alla vittoria della Coppa Italia, sfiorando nell’anno successivo la qualificazione alla Champions League.
In un calcio fatto di fasi di possesso, ma arcigna difesa di squadra, lascia intravedere anche spunti tattici interessanti come la posizione di Di Lorenzo da finto centrocampista che poi sarà un elemento chiave degli scudetti sia di Spalletti che di Conte, consentendo sia l’inserimento dell’attuale capitano dei napoletani sia un fraseggio più fluido grazie allo spostamento laterale del centrocampista di turno, all’epoca incarnato da Fabián Ruiz. Ma si sa, la vita da CT è molto diversa e per informazioni, chiedere a Spalletti: fenomeno nel lavoro quotidiano, deludente nella vita da selezionatore.

Nola, 17 giugno 2025