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Arancia Meccanica al Teatro Bellini

di Valeria Paglionico

Occhiali Nerd, abito elegante, pantalone alla caviglia e snekers: sono i tre drughi contemporanei, protagonisti di Arancia Meccanica, lo spettacolo con la regia di Gabriele Russo, in scena al Teatro Bellini di Napoli dall’1 aprile. A 51 anni dalla pubblicazione di Anthony Burgess e a 43 anni dal film di Kubrick, attualizzare e rielaborare in chiave teatrale un’opera complessa e controversa come Arancia Meccanica sembra quasi una sfida. Con la storia di Alex e dei suoi drughi, Burgess negli anni ’60 aveva saputo guardare oltre, presagendo una società sempre più sottomessa al volere dello Stato, capace di ribellarsi solo in apparenza con uno slang alternativo e con l’ultraviolenza sui più deboli.
La versione teatrale di Arancia Meccanica descrive un mondo rarefatto e onirico, che rimanda al mondo reale. Da un lato, la rabbia, la ribellione e l’ambiguità di una gioventù allo sbando diventano moda, diventano un tratto distintivo di una generazione, che attraverso fanatismo, droghe e indecisione sessuale vuole essere ‘alternativa’ e fuori dagli schemi a tutti i costi, ma che si dimostra poi incapace di capire che non esiste differenza tra gruppi etichettati come radical chic, emo, hypster o cyber punk. Dall’altro lato, uno Stato cinico e cieco, fatto di figure che richiamano non solo la cultura pop in stile Lady Gaga, ma anche il regime nazista nei movimenti e nella disciplina, non a caso la guardia carceraria è chiamato/a Adolf. Sarà proprio il governo, con le sue personalità grottesche e polverose, a controllare le coscienze e la libertà di scelta, nascondendo dei principi totalitari dietro un falso populismo.
Una protagonista ingombrante dell’opera Arancia Meccanica, in tutte le sue versioni, è la musica: nella trasposizione teatrale di Gabriele Russo è stato naturale pensare ad un musicista originale, prorompente come Morgan per riscrivere in chiave moderna, quasi elettronica, la musica di Ludovico Van Beethoven. E’ una deformazione della musica classica, così come la intende il protagonista Alex, che simboleggia la forza e la dirompenza della violenza. La scena è una scatola nera, in cui si materializzano, come in un incubo, le visioni di Alex attraverso delle installazioni di arte contemporanea e attraverso delle futuristiche luci a led. Esplicativo per descrivere la risoluzione dell’eterna lotta tra bene e male, tra vittima e carnefice è il finale: un fantoccio di Alex che, dopo i vari tentativi statali di essere curato, precipita violentemente dall’alto, spappolandosi.

Napoli, 8 aprile 2014

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