da Il Fatto Quotidiano del 07/03/2022
Trent’anni di errori ci hanno portato sull’orlo del baratro
di Domenico De Masi
Almeno quattro cose sono certe: il continente europeo sta subendo una guerra che rischia di diventare nucleare; solo un pazzo può avere scatenato un tipo di guerra che rasenta la possibilità di distruggere l’intero pianeta; i rapporti geopolitici impostati negli ultimi anni tra l’Europa, questo pazzo e il popolo che egli rappresenta non sono riusciti a scongiurare un esito così catastrofico; dunque, questi rapporti vanno profondamente modificati e non possono essere ridisegnati dagli stessi soggetti che li hanno concepiti e gestiti finora.
Se nel nostro mondo fosse pazzo solo Putin, tutti gli altri se ne sarebbero già disfatti e avrebbero smantellato l’intero arsenale atomico, anzi non lo avrebbero mai creato. Ma i pazzi rappresentano una percentuale ragguardevole del genere umano, cui va a sommarsi quella non meno cospicua degli imbecilli. Dunque occorre pianificare fin da subito nuovi rapporti geopolitici dell’Europa, tali da metterci a riparo costante dalla soluzione finale che stiamo costeggiando in questi giorni. I rapporti geopolitici intrattenuti finora partivano dal presupposto che il nostro continente è stato liberato dal nazi-fascismo grazie agli americani; che l’America rappresenta il modello da imitare perché il più avanzato in democrazia; che la Russia rappresenta un corpo strutturalmente, storicamente, culturalmente, economicamente, politicamente estraneo all’Europa e, quindi, da osteggiare o almeno da isolare. In Italia, durante tutta la guerra fredda (12 marzo 1947-3 dicembre 1989), questa ostilità è stata leggermente mitigata dal fatto che il PCI era il più grande partito comunista d’Occidente. Fino alla caduta degli zar la Russia si sentiva intimamente europea e le interazioni erano intense: basti pensare che la costruzione del Cremlino è stata avviata dall’architetto bolognese Aristotele Fioravanti e i palazzi più belli di San Pietroburgo sono opera di due grandi architetti italiani come Domenico Trezzini e Bartolomeo Rastrelli. Le élites russe hanno sempre parlato francese; Lenin e Gogol hanno soggiornato a Capri; Chaikovskij a Roma e a Firenze; Stravinskij a Venezia, dove ora è sepolto. In Italia Dostoevskij, Tolstoj, Cechov e Nabokov sono noti non meno di Manzoni o di Moravia.
Poi, dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, gli atteggiamenti degli europei si sono polarizzati tra simpatia verso l’Unione Sovietica da parte delle sinistre, e ostilità da parte delle destre. Dopo la Seconda guerra mondiale è calato il grande freddo e tutta la scena è stata occupata dagli Stati Uniti per cui abbiamo considerato nostro dovere sentirci in sintonia più con Carson City, capitale del Nevada, a 9.787 chilometri da Roma, che con San Pietroburgo a 2.926 chilometri. E l’alleanza atlantica ha obbligato l’Europa a fare proprie le geopolitiche decise unilateralmente dagli Stati Uniti, per suo preminente interesse.
Con la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, l’Europa avrebbe potuto profittare del periodo di evidente debolezza russa per porre fine ai rapporti bipolari e sostanzialmente ostili sostituendoli con rapporti multipolari e tendenzialmente collaborativi. Un nuovo atteggiamento culturale avrebbe dovuto tenere conto che la Russia ha dato un contributo determinante alla sconfitta del nazi-fascismo; che il modello americano presenta pregi da mutuare ma anche difetti da evitare (imperialismo, neoliberismo, consumismo, disuguaglianze); che la Russia rappresenta storicamente un paese organico all’Europa; che alla lacerazione avvenuta con la rivoluzione d’ottobre e poi con la guerra fredda possono seguire solo due sbocchi: o una ricomposizione sinergica o un conflitto senza fondo. Avere scelto questa seconda alternativa ci ha portato inevitabilmente alle soglie del baratro che l’umanità non aveva mai sfiorato prima. Continuiamo a ripetere che Putin è pazzo ma resta il fatto che gli uomini e gli strumenti da noi mobilitati per neutralizzarlo sono falliti benché la spesa militare della Nato sia quasi 17 volte superiore a quella russa e i suoi membri siano passati dai 12 del 1989 ai 30 attuali. Questa infame tempesta che si è abbattuta sull’Ucraina ha trasformato il popolo russo in incubo per tutti gli altri popoli. Ma quando questa follia cederà lo spazio politico necessario per impostare un nuovo rapporto tra Europa e Russia, allora occorrerà intraprendere una lunga marcia perché queste due grandi aree del mondo riconoscano gradualmente le proprie affinità, smussino pazientemente le proprie divergenze, uniscano generosamente le proprie risorse a cominciare da quelle culturali, confluiscano sinergicamente in un grande soggetto sovranazionale capace di porsi come mediatore e pacificatore tra Usa e Cina, che covano in seno i germi di un potenziale conflitto nucleare ancora più sciagurato di questo.
Il Fatto Quotidiano 07/03/2022