mar 8 LUGLIO 2025 ore 18.17
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Napul3 – Era davvero in carrozza?
di Giovanni Della Pietra

 

Durante la conferenza stampa post-gara della 37^ giornata, che ha visto il Napoli pareggiare 0-0 con il Parma in terra ducale, il mister attuale del Napoli, Antonio Conte, si lancia in un forte paragone con la squadra partenopea che dominò la Serie A 2022/23: “Due anni fa lo scudetto è stato vinto in carrozza, con un’altra squadra e un’altra situazione”.

È vero la storia, la scrive chi vince, ma anche per leggerla bisogna avere una chiave di lettura diversa.

E quindi mi chiedo “Quel Napoli era davvero in carrozza? Era davvero un’altra squadra?”

Certo, la narrazione di Antonio Conte ha dalla sua un decimo posto dell’anno precedente e il logorio mentale e fisico che può portare un testa a testa tirato come quello condotto da Napoli ed Inter.

Ma anche l’armata spallettiana ha dovuto gestire le sue incognite: il Mondiale del Qatar in mezzo alla stagione che aveva diversificato preparazione e calendari, una cavalcata europea che resterà nella storia della SSC Napoli, e un braccino finale pesantissimo per chi non gioiva da 33 anni e, precedentemente, c’era andato così vicino da sentirne l’odore.

È vero, il Napoli 2022/23 ha potuto amministrare nelle situazioni di calo fisiologico un vantaggio importante, che però era stato costruito nelle giornate precedenti: così si è potuti andare in carrozza.
Ma davvero c’è stata così tanta disparità tra le due squadre?

Ritornando con la mente all’estate 2022, nessun opinionista o tifoso azzurro sano di mente avrebbe auspicato la vittoria del Tricolore, anzi le griglie vedevano i partenopei battagliare a cavallo tra la Champions League e l’Europa League.

Le previsioni invece di quest’anno vedevano la squadra di Conte battagliare per il vertice – non necessariamente vincere, sia chiaro – proprio per il plus dato dall’allenatore salentino e l’assenza di competizioni europee; con la rinuncia plateale alla Coppa Italia questo sentimento si è acuito.
Infatti, quel Napoli, sotto l’egida di Spalletti, aveva visto smembrare la rosa nei suoi punti forti: via Ospina, Koulibaly, Fabian Ruiz, Insigne e Mertens.

Arrivano all’ombra del Vesuvio: un difensore coreano semi-sconosciuto al grande pubblico del nostro Paese, Kim Min-Jae, che al Fenerbahçe aveva lasciato intravedere grandi doti conquistando complimenti da mezza Europa, ma per cui sostituire un totem come Koulibaly sembrava essere un’impresa ardua; una giovane promessa georgiana dal nome impronunciabile, che con le sue gesta ha insegnato all’Europa a gridare il suo nome, Khvicha Kvaratskhelia.

Quest’ultimo, però, non è riuscito all’ombra del Vesuvio a ripetersi nei ritmi e la bellezza di gioco espressa in quell’anno con un calcio di dominio e possesso, ritrovato poi sotto la Torre Eiffel. Il nome più rinomato è Tanguy Ndombelè, ex promessa non mantenuta del calcio europeo in cerca di rilancio.

Accanto a questi nomi, giungono calciatori utili a puntellare una rosa che l’anno prima si era mostrata densa in alcuni reparti e scoperta in altri. Già in quella rosa erano presenti calciatori divenuti poi fondamentali in quell’annata: Lobotka, ancora oggi cervello del gioco azzurro; Meret, a cui dopo la partenza di Ospina erano state affidate le chiavi della porta azzurra; Elmas, 12° uomo per eccellenza dell’annata Tricolore, ma fino ad allora diamante grezzo, dalle infinite qualità tecniche ma che ancora non aveva trovato una sua vita calcistica; e infine Victor Osimhen, attaccante dal potenziale esplosivo, ma che fino ad allora aveva dato poche garanzie fisiche e tecniche, ma quell’anno sembrava essere stato baciato da un’entità divina con i capelli ricci e la 10 sulle spalle che da poco aveva lasciato le spoglie terrene.

Anche quell’anno però qualche gara la salta, e la differenza sta tutta qui: nella gestione delle riserve, come Raspadori e Simeone – nomi che ancora oggi figurano nella rosa azzurra – che qualche scampolo di gara lo hanno sempre e quando la squadra necessita di loro, si fanno trovare pronti con prestazioni e gol.

Nulla a che vedere con il mercato faraonico imposto dal potere contrattuale di Conte, e da una società doverosa e vogliosa di riprendersi dopo il nefasto 10° posto della scorsa stagione.

Certo, partono tutti gli acquisti scriteriati del mercato estivo precedente e una figura storica come Zielinski, ma arrivano anche calciatori del calibro di Buongiorno, difensore già affermato in Serie A; David Neres, che ha sfiorato una finale di Champions League ai tempi dell’Ajax; McTominay, calciatore di caratura internazionale; Billy Gilmour, centrocampista caldeggiato dal mister salentino, e Rafa Marin, scommessa proveniente dal vivaio del Real Madrid. La partenza di Kvaratskhelia dà quell’alone mistico di impresa alla squadra contiana, ma un rossore meno acceso al bilancio.

Quindi: davvero ad inizio stagione, Kim dava più sicurezze di un Buongiorno, già affermato in Serie A?

Siamo sicuri che Mazzocchi, con tutti i suoi limiti tecnici, sia inferiore ad un Bereszyński, bocciato dopo una prestazione e che al termine della regular season era retrocesso in Serie C con la Sampdoria?

Siamo proprio convinti che Billy Gilmour possa essere meno incisivo di Diego Demme?

Siamo sicuri che Billing sia meno pronto e funzionale di un Ndombelè da rimettere in sesto e rilanciare?

È giusto che Okafor abbia solo pochi minuti in più di Ounas, adesso disperso nei deserti arabi?
Siamo certi che Romelu Lukaku, usato come boa pallanuotistica, ma comunque autore di 23 partecipazioni a rete, abbia fatto così tanto rimpiangere un Victor Osimhen, in una stagione irripetibile e con un gioco volta a creare occasioni da rete a ripetizione?

A completezza di analisi, l’unico dismatch in favore del Napul3 è l’accoppiata Lozano-Ngonge con il messicano che ha saputo dare il suo contributo decisivo, mentre l’ex Verona ha visto il suo minutaggio ridotto all’osso.

Insomma, vincere a Napoli non è mai facile e dalle parti del Vesuvio, alzare un trofeo equivale a scrivere la storia in differenti modi: gli eroi dell’Ag4in hanno regalato emozioni tuonanti dello Scudetto all’ultima giornata, mentre il Napoli 2022/23 ha chiuso con 16 punti sulla seconda.

Non per questo, il cammino degli spallettiani perde i canoni dell’impresa in una Serie A dominata sempre dalle tre solite potenze e il lavoro del fenomeno di Certaldo – dirlo dopo il percorso daCT è un parere abbastanza forte – deve essere ridotto a mera conseguenza di un percorso straordinario.

 Nola, 7 luglio 2025