L’auto elettrica è solo per ricchi? Matteo Tafuro. Nola
L’auto elettrica è solo per ricchi?
di Matteo Tafuro
Mobilità economica semplice e piacevole addio
Il Parlamento europeo, nel febbraio del 2023 decise lo stop alla circolazione delle auto termiche nel 2035. Poco più di un anno dopo ci ritroviamo a discutere su tenuta occupazionale, sopravvivenza della filiera e della stessa industria manifatturiera europea. Ci ritroviamo a lanciare allarmi e a evidenziare le difficoltà industriali economiche e sociali sorte. Eppure, Luca de Meo capo di Renault, in veste di presidente della Acea nella lettera alla Ue dell’ anno scoro scrive: “In Europa costi troppo alti sull’auto elettrica”.
Ma, cosa è successo? Abbiamo, forse, scelto di seguire le richieste di lobby ambientaliste estremizzate? Oppure, c’era chi nell’industria automobilistica aveva bisogno di rifarsi il look dopo il dieselgate? Vedi alla voce Volskwagen.
Amatissimi esperti, per capire che l’auto elettrica a batteria, imposta per legge, è il cavallo di Troia per distruggere l’intera filiera di industrie coinvolte nella produzione automobilistica europea, bastava ricordarsi cosa è successo quando tutti abbandonarono i telefonini con i tasti per comprare gli smartphone touch?
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In Europa non ci sono abbastanza modelli elettrici accessibili per superare la soglia dei primi utilizzatori e dei ricchi, mentre la riduzione degli incentivi governativi ha ulteriormente minato l’interesse dei clienti (i due fattori che sono stati i driver del biennio d’oro finito nel 2023). I produttori europei non sono per ora riusciti a produrre un veicolo elettrico di massa. Modelli di fascia alta come la Porsche Taycan da 107.000 € e la BMW i7 da 116.000 € si rivolgono a consumatori d’élite, ma le alternative economiche sono scarse. La versione elettrica della Fiat 500, tradizionalmente simbolo di mobilità accessibile per famiglie normali con redditi normali, costa quasi 35.000 €, il doppio del prezzo della sua controparte con motore a combustione.
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Forse è il momento di chiarire che il mercato è fatto di gente comune, con problemi comuni che desidera una mobilità economica semplice e piacevole.
Tenete presente anche che l’anno prossimo entreranno in vigore le nuove regole sulle multe per le emissioni CO2, tanto più che con le quote minime di elettriche, le case automobilistiche saranno costrette a tagliare modelli tradizionali e ridurre la produzione, che significherà migliaia di licenziamenti.
Nel frattempo gli amministratori delle industrie automobilistiche dove stavano dormendo? Senza riflettere che a pagarne le conseguenze saranno solo quelli che devono muoversi per vivere e lavorare, ma non abitano nei boschi verticali a pochi metri dall’ufficio.
Alcuni punti chiavi che hanno determinato il destino industriale dell’auro nel Vecchio Continente, possono essere identificati.
Negli anni 70’ l’industria dell’auto europea è, parimenti distribuita, tra quella tedesca, francese e italiana, laddove ogni singolo stato ha più di un produttore e una filiera della componentistica che produce anzitutto per i produttori nazionali.
Poi avviene lo stravolgimento: l’industria tedesca inizia a sviluppare e a imporre sul mercato l’alimentazione a gasolio, dal 1975 un’auto su tre è alimentata a diesel. In pratica i costruttori tedeschi costruiscono un’industria nell’industria; tra gli anni Ottanta e Novanta Berlino prende il sopravvento su Roma e Parigi in termini di leadership funzionale. Le imprese automobilistiche tedesche fanno incetta di tecnologie, i famosissimi dirigenti Fiat espertissimi in insipienza strategica e incompetenza industriale cedono il common rail, inventato a Bari nel centro di ricerca della Fiat, alla tedesca Bosch che ne fa uno modello internazionale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la leadership comunitaria accetta la regolazione del mercato dall’alto con ricette ultra-green. Diesel addio, finanza di impresa sotto pressione, licenziamenti di massa e sovranità tecnologica alla Cina.
Nola, 23 settembre 2024