Finalmente! Ho la possibilità di ripassare dalle parti del cuore. Andrea Tafuro. Nola
Finalmente! Ho la possibilità di ripassare dalle parti del cuore
di Andrea Tafuro
“Tornerò al mio cuore e vedrò se sono in grado di capire”
Guigo II, priore della Grande Certosa nel XII secolo
Il cammino è una delle più belle metafore che la vita mette a disposizione per parlare della vita di un popolo.
Prima di partire, la testa è affollata da diverse domande: “Mi divertirò?”…“ Chissà se la compagnia sarà ok”… “Vale al pena lasciare tutto?”.
Arriva poi il momento in cui bisogna mettere a tacere le ansie e dedicarsi alla valigia e qui alcuni oggetti possono offrire qualche punto di riferimento importante per questa esperienza.
Per prima cosa la voglio fare difficile e distinguere: non sono mai stato turista, ma sempre e da sempre pellegrino… è il mio vivere per e con San Francesco, forse.
In tutto ciò come faccio a salvaguardare i miei affetti dalla corruzione?
Sono consapevole che essi sono beni tanto preziosi quanto deperibili.
Il legame è sicuramente ciò che di più garantisce la durata degli affetti, permette di superare le continue crisi che ne provocano la dissoluzione.
Ma allora perché per ogni pur minima relazione da instaurare si ha paura e ci si affida al periodo di prova?
Cos’è cambiato? Innanzitutto il modo di intendere la propria identità e di giocarla nelle relazioni sociali, per non toccare il solito tema, della relazione affettiva stabile tra uomo e donna.
Le nostre vite individuali sono frammentate in un susseguirsi di episodi mal collegati fra loro, si volta pagina di continuo, in cerca di nuove emozioni e avventure, l’eroe è colui che con disinvoltura, passa da un’esperienza all’altra in cerca di gratificazione istantanea. Spesso da un lontano passato, sento riecheggiare parole antiche come servizio, ospitalità. Con queste parole osava esprimersi la giovane defunta, scomparsa prematuramente: la gentilezza.
La cara estinta non richiedeva sacrifici particolarmente eroici, solo un poco di umanità, insomma una pennellata di grasso lubrificante sugli ingranaggi esistenziali.
Ahimè! Non c’e più niente da fare, sono solo segnali provenienti dall’aldilà.
Si vocifera che nelle relazioni sentimentali si rammentano forme occasionali di gentilezza e tenerezza, almeno nella prima fase.
Addirittura dei pellegrini narrano che residue tracce si ravvisano in un piccolo gruppo che si appresta a viaggiare zigzagando verso Assisi, non c’è di che preoccuparsi, sono quelle realtà non ancora ingurgitate dall’individualismo dei sospettosi e dei miserabili.
L’idea che nelle relazioni umane sia ancora possibile mettersi nei panni degli altri è considerata bizzarra.
La totipotenza, la proprietà di una singola cellula staminale di svilupparsi in un intero organismo e persino in tessuti extra-embrionali, si è impadronita delle loro esistenze.
Ecco il punto! Vedo sempre più persone in giro, che si sentono obbligate a vivere da totipotenti come fossero esseri staminali.
Io, piccolo ominide dalle dita opponibili, incurante di tutto ciò sono riuscito a realizzare il mio sogno sognato, lasciandomi abitare dalla vita della sorellanza di Francesco e Chiara, ponendomi semplicemente accanto alle persone, agli affetti e alle cose, senza totipotenza, anche se… sono bello, alto, religiosissimo e ricco.
Per mostrarvi quello che mi sta succedendo mi servo di otto parole… percorribili.
Circumvallazione, intesa come la strada che gira tutto intorno a… una piccola chiesetta umbra e la delimita, penso a un raccordo anulare fatto per evitare di passare per il centro, mettendo in contatto il tutto con il tutto in un movimento senza sosta che non conosce barriere o nicchie.
E’ il luogo delle intersezioni e degli intrecci che diventano fusioni e trasfusioni.
Insomma, nel punto zero ho assaporato l’utopia della fusione, costruendo un ponte con voi, io che vivevo nel fossato.
Transito. Con lo Zingarelli tra i denti, vi dico che etimologicamente transito significa attraversare un certo territorio più o meno velocemente, raccomandando a limite una breve, sottolineo breve, sosta.
Invece, ho capito che il transito, il passaggio, il sostare si sono insinuati nel tessuto del mio corpo, ne hanno impregnato i filamenti facilitando quell’ibridazione nella quale inzupperò i miei giorni passati con voi.
Varco. E’ questo il luogo eletto per il passaggio, è apertura, è spaccatura.
In tutti e due i casi mi ha rimandato al superamento del mio limite, l’ho fatto tuttavia con fatica, poiché è stretto, mi avete dato le forze per farlo.
Incrocio. A un incrocio si può anche non incontrare nessuno, ma ci si deve fermare prima di attraversarlo. Sono stato costretto a fermarmi, mi sono guardato intorno, ho visto voi, l’ho dovuto attraversare e non sono più quello di prima.
Frontiera. La frontiera chiude, ma al contempo ti proietta verso il limite al fine di superarlo, è il luogo delle avanguardie, c’e vero scambio. Mi sono posto al limite su questo senso unico, l’ho superato per incontrarvi.
Ponte. Su un ponte, percorribile nelle due direzioni, ci si può incontrare, senza nemmeno vedersi o non ci si incontra affatto, ma ognuno va comunque in direzione del territorio dell’altro.
Un ponte è qualcosa di più di un varco, perché possiamo attraversarlo liberamente senza avere in mente di fuggire da qualcosa o da qualcuno.
Un ponte è il luogo privilegiato di incontro fra identità.
È il primo passo per superare il fossato, abbattendo i muri delle categorie e delle certezze e costruire un mondo di differenze allacciate.
Recinto. Al di là di un recinto, come al di qua, c’è della terra da calpestare.
Se non superiamo l’ostacolo, anche in presenza di qualcuno che ci impedisca di farlo, è perché in molti casi non vogliamo farlo. Ma da un recinto possiamo uscire.
Centro. La sua immagine più perfetta è la Porziuncola, con il vostro donarsi avete scritto nel grande libro della mia vita che siamo delle penisole piuttosto che isole, perché le penisole sono per metà attaccate alla terraferma e per metà, invece, scrutano l’infinito modo di donarsi.
In questo contesto, il concetto a cui faccio riferimento è quello che ha origine dalla parola latina munus, cioè un dono che obbliga a uno scambio.
L’aggettivo derivato è communis e sta ad indicare chi ha in comune dei munia, cioè dei doni da scambiarsi.
Communis significa quindi: essere legati insieme, collegati dall’essersi scambiati un dono. Il continuo scambiarsi crea un sistema di compensazione, che quando gioca all’interno di uno stesso ambiente determina una comunità, cioè un insieme di uomini e donne uniti da questo legame di reciprocità.
La categoria fondativa del circuito del dono, quindi, non è la gratuita, ma la reciprocità.
Ma… c’e sempre un ma, la difficoltà di relazione ripropone il dilemma: battersi o venire a patti?
Qui entra in gioco la redistribuzione.
Nella relazione di reciprocità c’è l’accettazione del rischio, che si può dare e non ricevere quando si chiede.
Ma è un rischio che si può annullare solo con la fiducia nell’altro, per inaugurare un mondo che ridistribuisce futuro, nella misura in cui i nostri doni riescono a dare reale sostanza alla speranza.
Vi lascio con un ultimo sermone, Stanislas Breton in un saggio intitolato “L’Autre et l’Ailleurs” (L’altro e l’altrove), ha scritto: “Esistere non vuol dire forse uscire continuamente da se stessi e ritornare?”.
Ecco la prima dimensione del cammino. La seconda è: “l’altro e l’altrove”.
Buon viaggio Pis!
Nola, 12 luglio 2023