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E lo Stadio dove lo metto? Non si sa!
di Carlo Gimmelli

De Laurentiis rilancia l’idea dello Stadio nuovo: “Non rifaccio il Maradona, troppo costoso! Ne faccio uno nuovo a Bagnoli!

Parafrasando il successo di Domenico Modugno che non sapeva dove collocare il nonnetto scomodo, come ogni ricorrenza che si rispetti torna la sceneggiata Stadio e lo stancante ring a distanza tra il fumantino De Laurentiis e il Richelieu accademico Manfredi.

Oggetto della periodica tenzone lo “sgarrupato” stadio Maradona, il santuario pagano della tifoseria azzurra che dalla metà degli anni ’80 vide lo scugnizzo della favela Villa Fiorito issare Napoli ai vertici del calcio internazionale.

Il vecchio catino di Fuorigrotta, inaugurato nel 1959 è al centro di una ventennale disputa tra il padrone del giocattolo Napoli e l’amministratore della città che si chiami Jervolino, De Magistris o Manfredi: ADL da sempre avrebbe voluto rilevare lo stadio, di fatto gratis, per 99 anni, ristrutturarlo e trasformarlo in un centro polifunzionale, privato, stile Juventus e si trincera dietro le condizioni precarie dell’impianto per pagare un canone irrisorio di 850.000 euro annui fino al 2028 ( per il Meazza Milan e Inter pagano circa 5 milioni annui a testa) e accumulare periodicamente ritardi nei pagamenti.

Ora l’ennesimo colpo di teatro: ADL non sarebbe più interessato a rilevare lo stadio, nemmeno gratis; a suo dire il progettista Zavanella (capo progetto dello Juventus stadium) gli avrebbe sconsigliato l’operazione restyling Maradona, troppo costosa e lunga, che lo costringerebbe a portare la squadra a giocare altrove per almeno tre anni.

Da qui l’annuncio roboante: “Lo faccio a Bagnoli insieme ad un modernissimo centro sportivo, tutto vicino modello Manchester, tra diciotto mesi termina la bonifica (?) e poniamo la prima pietra, sarà pronto in 12 mesi”.

Insomma, tutto pianificato e deciso: via dal Maradona e in tre anni il Napoli avrà la sua casa di proprietà in una delle zone più turistiche e appetibili della Napoli futura. Peccato che il sindaco professore abbia subito stemperato gli entusiasmi di Don Aurelio premettendo che la bonifica eterna sarebbe molto più lunga e che esistono vincoli amministrativi e di destinazione d’uso che rendono lungo e complicato il progetto.

E’ fin troppo solare che l’annuncio del Presidente abbia allarmato il compassato Richelieu che vorrebbe evitare di restare col cerino in mano di una struttura vuota da gestire senza risorse.

Di certo i due da tempo stanno giocando una monotona partita a scacchi fatta di annunci roboanti del primo che ogni due per tre minaccia di portare la squadra cittadina a giocare altrove e laconici inviti alla fattualità del secondo alle prese con la complicata gestione dello stadio: da gioiello a fardello.

Castelvolturno, Caserta, Afragola, Secondigliano, Acerra, Melito, Napoli Est e, in ultimo, Bagnoli, area ex Italsider, uno scempio di cui ci siamo già occupati, che da oltre trenta anni, tra bonifiche mancate, fondi sperperati e progetti mai realizzati è la rappresentazione plastica della inettitudine della classe politica locale e nazionale.

Terreni visionati ovunque, strette di mano, amministrazioni locali disposte a baciare la pantofola di Don Aurelio pur di portare il carrozzone entro le mura comunali, ma di fatto dopo venti anni di gestione ADL continua ad alternare progetti fantasiosi di stadi 3.0 al sogno di prendere il Maradona a costo zero per le prossime tre generazioni.

A sentire gli annunci del visionario, fin troppo, Don Aurelio oggi la squadra della città potrebbe giocare ogni domenica in uno stadio diverso, ultramoderno, facilmente raggiungibile, arricchito di centri commerciali e polifunzionali.

Tutto molto bello, direbbe l’immarcescibile Bruno Pizzul, se non fosse che ad oggi la SSC Napoli non ha neanche un centro sportivo di proprietà anzi, entro due anni, dovrebbe lasciare il centro tecnico di Castelvolturno per fine locazione.

Il Maradona stadium, dunque, è ritornato al centro del dibattito cittadino perché Napoli rischia concretamente di perdere l’appuntamento con gli Europei del 2032 che saranno condivisi con la Turchia e non rientrare negli slot delle cinque città italiane ospitanti.

Nonostante il restyling last minute del 2019 per le Universiadi con i fondi della Regione, il Maradona non gode delle prerogative U.E.F.A per ospitare una vetrina mondiale: troppe le criticità a partire dalla orrenda e malandata copertura che non copre, allo scandaloso terzo anello chiuso dopo pochi anni per problemi di staticità, ai parcheggi sotterranei mai entrati in funzione e ridotti a pubblico letamaio con i ratti che periodicamente fanno la loro passerella tre le quinte della scenografica Tribuna autorità.

Del resto la storia è arcinota, nel desolante panorama italico della gestione pubblica delle arene calcistiche quella dell’ex San Paolo oggi Maradona è quella più rappresentativa di un coacervo di incapacità gestionale, spreco di danaro pubblico, esibizione di potere e tesoretto di consenso elettorale.

Cominciò Ferlaino negli anni ’70, agli albori della sua trentennale presidenza a utilizzare il tempio del calcio napoletano “dimenticando” di pagare il canone di affitto per venti anni con la benevola distrazione dei famelici inquilini di Palazzo S. Giacomo che usavano il catino di Fuorigrotta come il Salotto di casa dove ricevere amici potenti e parenti.

Erano gli anni della “guerra” sociale, dei picchetti alle (poche) fabbriche che divoravano i fondi per il Mezzogiorno, degli scontri di piazza ma il Palazzo spendeva centinaia di milioni di lire per comprare le mitiche poltroncine di velluto blu per rendere confortevole la agognata Tribuna Autorità” (dove lo scrivente ha indegnamente prestato servizio per venticinque anni!), quasi interamente destinata alle preziose terga di consiglieri, assessori e portaborse dell’indebitatissimo comune.

L’ingegnere Corrado più volte denuncerà la battaglia persa dei preziosi biglietti omaggio, circa diecimila a partita, pretesi dall’Amministrazione e rivendicherà il diritto di usare gratuitamente la struttura pubblica per il prestigio e il movimento turistico che il malmesso ciuccio di quegli anni donava alla città.

Fu Don Aurelio che, negli anni immediatamente successivi al ritorno in seria A, mise la tagliola sul bengodi dello Status symbol della Napoli che conta, tagliando drasticamente omaggi e inviti e dando il là ai periodici duelli mediatici con il consiglio comunale.

Dal canto suo Palazzo San Giacomo, al netto della provvista di biglietti omaggio richiesti al Napoli per titillare i palati dei suoi inquilini, preferisce rinviare sine die la patata bollente alla successiva sindacatura in un eterno dilemma tra il disfarsi di una onerosa gestione con le casse perennemente vuote e l’impopolarità derivante dal privatizzare una delle pochissime strutture pubbliche dedicate all’atletica e altre discipline, senza contare la probabile scure della Corte dei Conti se dalla cessione improvvida all’imprenditore romano ne derivasse un danno economico per la collettività.

Che poi De Laurentiis da scafato uomo di cinema giochi periodicamente a recitare il ruolo del Personaggio scassa sistema con le sue intemerate visionarie che vorrebbero trasformare il giuoco in un videogame planetario è il prezzo da pagare a un imprenditore che, comunque, ha internazionalizzato il brand Napoli e ottenuto risultati sportivi che da queste parti non si vedevano dai tempi del più forte di tutti ma in un contesto economico molto più complesso e globalizzato.

Resta lo sconcerto di una città che da decenni aspetta uno stadio con servizi decenti e magari privo dell’anacronistica pista di atletica che priva gli spettatori, specialmente quelli dei settori inferiori, di una visibilità adeguata ai salati biglietti imposti da De Laurentiis.

A breve pare sia programmato un incontro tra i contendenti per deporre le armi (mediatiche) e tentare una pax armata che ponga fine alla estenuante liturgia.

Insomma, alle solite, la faccenda è grave ma non è seria!

Napoli, 11 marzo 2024

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