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Serve una metamorfosi dell’umanità per superare la dittatura dello Stato-Nazione

di Andrea Tafuro

 

Siamo la prima generazione che
ha un’idea chiara dell’impatto
dei cambiamenti climatici, ma
siamo anche l’ultima che può
agire per salvare il pianeta!

 

Come ogni anno dal 1970, a fine marzo, si celebra l’ora della Terra.

L’iniziativa è promossa dal WWF e ha come obiettivo principale la mobilitazione collettiva contro il cambiamento climatico.

La più grande organizzazione mondiale per la conservazione di natura, habitat e specie in pericolo si prefigge di coinvolgere cittadini, imprese, istituzioni e governi di tutto il mondo.

Ritroviamoci tutti, sabato 28 marzo alle 20:30, a spegnere simbolicamente le luci per un’ora.

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Ma qual’ è il nostro rapporto con la Terra?

L’immagine che abbiamo del nostro pianeta, nel corso della millenaria storia dell’umanità, ha assunto differenti significati: la Terra natale è simbolo di identità forte, sono le radici da rivendicare e difendere.

Il pianeta Terra, visto dalle politiche dominanti spesso è il corpo celeste che include alcuni ed esclude altri.

La Terra quando è la fonte di sussistenza scatena appetiti e interessi.

La Terra-terrestre incita alla fuga mundi, per i pavidi e gli asceti, anziché all’ assunzione di responsabilità.

Ma quando l’essere umano ha avuto modo di riconoscersi, sempre più, come cittadino di un unico pianeta?

Quando Cristoforo Colombo ha raggiunto le Americhe, convinto di dirigersi verso l’India, e Magellano, pochi anni dopo, ha confermato la sua intuizione completando il giro del mondo.

Siamo agli inizi del 16° secolo, la Terra, improvvisamente, dopo più di un millennio di immobilismo geografico e culturale non è più al centro dell’universo, non è più piatta, non è ferma su sé stessa.

L’homo scemens europeo scopre altre civiltà e diventa cosciente di vivere nella provincialità dell’area giudaico-islamico-cristiana.

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Si creano i primi ceppi meticci con l’importazione di manodopera dall’Africa.

Verdura, frutta, cereali… virus, vengono importati da una parte all’altra del globo, è un’era caratterizzata da immigrazione, violenza, schiavitù.

Scusate, ma non è l’era in cui siamo ancora immersi?

Il colonialismo, lo sviluppo economico, l’espansione delle comunicazioni, il movimento di popolazioni, la crescita demografica, ha generato la mondializzazione dell’economia, delle idee, delle utopie e delle illusioni.

Con l’umanesimo illuminista si afferma l’uguaglianza di diritti per tutti.

La teoria evoluzionista fa discendere tutti dallo stesso primate e infine, cosa importante, il socialismo internazionalista lotta e aspira all’unità pacifica e fraterna dell’umanità.

Poi l’umanità è divenuta consapevole della potenzialità di autoannientamento, l’allarme ecologico ha portato l’attenzione su fenomeni non più locali, ma globali e l’interdipendenza diventa il principio su cui tutto si basa.

Cresce la disuguaglianza tra paesi sviluppati e sottosviluppati, un problema che richiama soluzioni rispetto a questioni importanti e ineludibili.

Le diverse realtà sono costrette ad incontrarsi e ne scaturisce l’arricchimento culturale, la partecipazione, che soprattutto attraverso il web permette di essere presenti nei punti più disparati del globo, in tempo reale.

Nella società connessa sempre al resto del mondo, l’essere umano deve essere sempre pronto a fare cose nuove, abbiamo l’opportunità di sviluppare un nuovo dialogo uomo-mondo.

In questa ricerca Edgar Morin, sociologo francese, ci propone prima di ogni altra cosa di compiere un passo iniziale: la distinzione tra civilizzazione e cultura.

La cultura è l’insieme delle credenze e dei valori caratteristici di una determinata comunità.

La civilizzazione è invece il processo attraverso il quale si trasmettono da una comunità all’altra le tecniche, i saperi, le scienze.

In “Terra-Patria”, sostiene che non si può pretendere di concepire il globale attraverso un sapere specialistico e settorializzato, che avrebbe lo scopo di semplificare l’universo tenendolo perciò sotto controllo, ma invece attraverso una rivoluzione culturale che conduca dal pensiero del semplice al pensiero del complesso.

In altri termini non è attraverso la razionalizzazione, che riusciamo a comprendere i problemi attuali.

È sotto gli occhi di tutti che, più aumenta il modello razionalizzatore, più aumenta l’incoscienza, cioè l’incapacità di cogliere il contesto planetario in tutte le sue urgenti problematiche.

Morin scrive: “Dobbiamo imparare a essere qui sul pianeta. Imparare a essere, cioè abituarci a vivere, a condividere, a comunicare, a restare in comunione in quanto umani del pianeta Terra”.

Mi viene spontanea una critica al modello di sviluppo sostenibile, così come enunciato nel 1990 da John Elkington, nel Triple Bottom Line, cioè essere economicamente praticabile, socialmente giusto e ambientalmente corretto.

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La mondializzazione mi fa credere che viviamo in una comunità di destino di tutti gli uomini e donne, abbiamo gli stessi problemi e subiamo le stesse minacce “… una patria è una comunità di destini, quindi la Terra è la patria comune che dobbiamo cercare di salvare in una situazione dove sembra non esserci più futuro e quindi prevalgono l’incertezza, la paura e le logiche regressive…”.

L’uomo, è chiamato a lottare per un mondo migliore.

Il pianeta Terra diventa l’unica possibile bandiera per unificare obiettivi e strategie, senza privilegiare una cultura piuttosto che un’altra, nel rispetto della diversità di ognuna.

È vero che la molteplicità delle culture e gli adattamenti meravigliosi alle condizioni ed ai problemi locali oggi impediscono l’accesso al livello planetario. Ma non si può estrarre da ogni cultura e generalizzare ciò che ognuna ha portato come suo contributo più ricco? Allora come integrare i valori e i tesori culturali delle culture che si disintegrano? Non è troppo tardi? Dobbiamo quindi affrontare le due ingiunzioni contraddittorie: salvare la straordinaria diversità culturale creata dalla diaspora dell’umanità e alimentare una cultura planetaria comune a tutti.

È questa la sfida lanciata da Edgar Morin.

Io sono disposto a seguirlo.

Napoli, 25 marzo 2020