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Processo Cucchi: Dieci Anni Per Avvicinarsi Alla Verità
Il carabiniere Francesco Tedesco ammette il pestaggio e accusa i colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro
di Maria Teresa Luongo

Potremmo dire che ciò che è successo giovedì 11 ottobre nel processo per il caso Cucchi abbia qualcosa di incredibile ma non è così perché la maggior parte delle persone in questi lunghi anni è stata materialmente o comunque idealmente vicina alla sorella di Stefano, Ilaria, la quale lottando tenacemente per la verità ha reso più che credibile la possibilità di raggiungerla per avere giustizia.
Stefano Cucchi, geometra romano, morì nel mese di Ottobre dell’anno 2009 durante la custodia cautelare. Da lì un’intricata vicenda giudiziaria che ha coinvolto medici, agenti di polizia penitenziaria e alcuni carabinieri. E su tutto ha ulteriormente gravato una non accettabile assenza nel nostro ordinamento, quella del reato di tortura, colmata solo nel luglio dell’anno scorso con la legge n. 110/2017 che ha introdotto nel nostro codice penale gli articoli 613 bis e 613 ter, rendendo il nostro sistema conforme alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che già dalla metà del secolo scorso sancisce (all’articolo 3) il principio per cui “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Un principio ovvio, quasi implicito in una società evoluta e democratica, che tuttavia è stato necessario esplicitare prevedendo un pena più dura se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio.

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Il 15 Ottobre del 2009 Stefano Cucchi venne arrestato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio dai Carabinieri (Francesco Tedesco, Gabriele Aristodemo, Gaetano Bazzicalupo, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro) della Stazione di Roma Appia. Al momento dell’arresto, secondo la dichiarazione che fu resa dal maresciallo Roberto Mandolini, Cucchi era tranquillo e spiritoso; per quanto riguarda l’aspetto fisico il ragazzo si presentava molto magro e con delle occhiaie marroni non dissimili (secondo Mandolini) da quelle visibili dalla fotografia scattatagli il giorno seguente all’ingresso di Regina Coeli. Cucchi morirà pochi giorni dopo, il 22 Ottobre, all’ospedale Sandro Pertini.
Con tutta evidenza successe qualcosa, un qualcosa riassunto sul volto del cadavere del ragazzo, in quella foto diventata il manifesto della lotta della sua famiglia, in quel viso spaventosamente tumefatto. Fu brutalmente pestato.

Questi lunghi anni, attraverso diversi gradi di giudizio che hanno visto imputati anche i medici, dal 2013 al 2018, tra processo di primo grado, appello e ricorso per Cassazione, condanne e assoluzioni, hanno risucchiato la famiglia Cucchi in un girone estenuante.
Ma giovedì scorso la svolta che ha fatto sgretolare tutto. Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati, ha ricostruito davanti al pm Giovanni Musarò i fatti di quella notte: Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro furono gli autori del pestaggio e il maresciallo Mandolini sapeva tutto fin dall’inizio.
Ilaria Cucchi ha scritto “Ci chieda scusa chi ci ha offesi in tutti questi anni. Ci chieda scusa chi in tutti questi anni ha affermato che Stefano è morto di suo, che era caduto. Ci chieda scusa chi ci ha denunciato. Sto leggendo con le lacrime agli occhi quello che hanno fatto a mio fratello. Non so dire altro. Chi ha fatto carriera politica offendendoci si deve vergognare. Lo Stato deve chiederci scusa. Deve chiedere scusa alla famiglia Cucchi”.
Adesso si continuerà ancora ma con la consolazione, dopo quasi dieci anni, di essere vicini alla verità.

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Napoli, 14 ottobre 2018