gio 21 NOVEMBRE 2024 ore 14.30
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Palla avvelenata?

di Carlo Gimmelli

Nel primo campionato semi normale post(?) covid, mai come in questo periodo, il calcio viene somministrato alle genti come efficace arma di distrazione di massa  dall’incazzatura generale.

La serie A è uscita letteralmente sdraiata dalla pandemia, i mancati introiti solo nel biennio 2020/21 toccano i 500 milioni di euro e nel totale l’indebitamento dell’azienda calcio s.p.a. ha raggiunto quasi 5 miliardi di debiti consolidati.

Ovviamente il Covid è stato il colpo d’aria su una polmonite cronica che il Palazzo del pallone finge di non vedere per carità di patria, ma i bilanci comatosi della quasi totalità dei club di serie A (tacendo di quelli delle serie minori dove i fallimenti sono d’abitudine) sono ormai insostenibili e a poco è servita, finora, la regoletta del fairplay finanziario, aggirata sistematicamente.

Le plusvalenze fittizie dovute a scambi di giocatorini o mezze pippe valutati come top player, senza effettivo movimento di danaro, sono solo numeri messi a bilancio per dare un po’ di fondotinta e guadagnare qualche anno ed evitare consistenti aumenti di bilancio o il fallimento, ma soldi veri nelle casse dei club non ne entrano.

La TV è rimasta l’unica vera risorsa del club per sopravvivere ma fino a quando? Il colosso DAZN nonostante i problemi di connessione ha ottenuto il monopolio a suon di miliardi ed ha lasciato le briciole agli altri competitors tutti con spaventosi buchi di bilancio.

Del resto basta guardare gli ultimi anni di calcio mercato, gonfiato di prestiti gratuiti o acquisti con pagamenti cervellotici legati a presenze e percentuali sulle future vendite.

Il mercato drogato sta arricchendo solo i famelici procuratori sportivi dei top players che ad ogni giro di valzer dei loro gioielli incassano percentuali milionarie, tant’è che la F.I.F.A. da sempre ostile alla categoria starebbe valutando regole che ne limitino lo strapotere ricattatorio verso i club.

Già, il vero problema è lo stratosferico “costo del lavoro” che incide per il 70%/ 80% sui bilanci dei club e che non ha riferimenti in nessun ambito industriale, la soluzione è ovvia e impraticabile: tagliare!

Ma la grande visibilità che dà il pallone fa si che nessuno voglia cominciare per primo temendo di perdere competitività, i nuovi padroni del calcio, fondi americani, arabi e cinesi, si sfidano a colpi di petrodollari, anche per questioni di egemonia politica, per accaparrarsi nuovi e vecchi top players e drogando i campionati ridotti a tornei di allenamento dei super club, sognando un mega torneo mondiale per ricchi.

E in Italia?
La storica vittoria degli Europei ha ridato prestigio al comatoso calcio tricolore ridimensionando gli spocchiosi inglesi ma rischia di restare un episodio.

La metà delle società professionistiche italiche sopravvive grazie a capitali stranieri, giocando in stadi quasi sempre vetusti, inadeguati e soprattutto non di proprietà perdendo in partenza contro lo strapotere economico dei club inglesi e tedeschi e spagnoli che si spartiscono da anni la vittoria nelle ricche competizioni europee.

Americani ed asiatici fanno shopping continuo: Roma, Milan, Bologna, Fiorentina, Parma, Spal, Pisa, Venezia sono da tempo in mani americane, in alcuni casi fondi anonimi.

L’Inter è dei cinesi di Suning anche loro alle prese con una importante spending review.

La Juventus sarebbe storicamente italiana ma di fatto il capitale e nelle mani dell’olandese Exor.

L’ultima cessione due giorni fa: dopo venti anni anche il glorioso Genoa, la più antica società italiana, è stato ceduto da Preziosi al colosso americano 777 Partners.

Paradossalmente la SSC Napoli, dopo un decennio di travaglio sportivo e societario e un sanguinoso fallimento voluto dal Palazzo è, da quasi venti anni nelle mani del napoletano\romano De Laurentiis che, pur tra continue polemiche e veleni, ha mantenuto costantemente la squadra ai vertici, pur vincendo poco, e soprattutto la società sana e senza debiti rilevanti, con una gestione sportiva ed economica accorta e redditizia.

Forse è dal modello Napoli, che, almeno nel calcio, si dovrebbe ripartire.

Napoli, 25 settembre 2021