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“Nascon fiori dove cammina”, 10 canzoni di Fabrizio De André
di Emanuela Cristo

“Nascon fiori dove cammina”, 10 canzoni Fabrizio De Andrè. Sinceramente credo che la grandezza di Fabrizio De André, di tutto ciò che ha scritto, cantato e detto (non solo in canzone) sia qualcosa di talmente straripante da sfuggire ad ogni tentativo di descrizione. I ritratti che noi comuni mortali proviamo ad abbozzare di De André sembrano sempre un po’ fuori fuoco. Lasciano, spesso, il sapore dell’incompleto. Ed è per questo che preferisco, a questo punto, lasciare che sia il Faber a parlare di sé stesso.

“Cosa avrebbe potuto fare alla fine degli anni Cinquanta un giovane nottambulo, incazzato, mediamente colto, sensibile alle vistose infamie di classe, forte bevitore, vagheggiatore di ogni miglioramento sociale, amico delle bagasce, cantore feroce di qualunque cordata politica, sposo inaffidabile, musicomane e assatanato di qualsiasi pezzo di carta stampata? Se fosse sopravvissuto e gliene si fosse data l’occasione, costui, molto probabilmente, sarebbe diventato un cantautore.”

Fabrizio De André e la morale

1 – Il Testamento di Tito

Per Don Gallo esistevano cinque Vangeli: Marco, Luca, Matteo, Giovanni… e il Vangelo secondo De André. “C’è una morale interna a ciascuno di noi, che ha ben poco a che vedere con quella che ci viene imposta dalle religioni, dalle leggi, dallo stato. [] Tito contesta tutti e dieci i comandamenti mettendo in risalto la contraddizione tra chi fa le leggi per proprio tornaconto e coloro che le devono osservare, anche e quasi sempre contro il proprio interesse. Ed eccoci qui a constatare, ancora una volta, come le verità del potere siano le verità di oggi”.

2 – Preghiera in Gennaio

Il grandissimo Luigi Tenco, sulla sua nota suicidaria scrisse: “Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta.” Il tema del suicidio in De André è affrontato più volte ed è comunque visto come scelta, prevalentemente in contrasto con le regole e le morali imposte dai soliti benpensanti. “L’anima ognuno se la salva come gli pare.” In questo brano per il proprio amico, egli si augura che il Paradiso sia stato creato soprattutto “per chi non ha sorriso.”

3 – Il Pescatore

De André ricercava sempre nell’altro il segno della sua umanità, da manifestarsi nei confronti di ogni individuo. “Sono assolutamente contrario alla morale, a quell’insieme di leggi che un’autorità precostituita impone. [] Prima di Socrate e Gesù Cristo, erano riconosciuti quattro impulsi primari: quello alla nutrizione, quello alla continuazione della specie, quello al saccheggio, [] e l’impulso alla compassione. Credo che sia proprio la morale, costringendo a seguire un insieme di regole di cui non si è convinti, ad avere sopito questo meraviglioso impulso, che è connaturale all’animo umano: l’impulso alla compassione”.

Dalla parte degli emarginati

4 – Nella mia Ora di Libertà

“Esci di galera pagando la cauzione, in galera restano solo i poveri”. De André cantava le anomalie della società descrivendole poi come se la vera anomalia fossero le cosiddette persone normali. In questa realtà alla rovescia il cantautore smaschera tutto il brutto. Solleva il velo dell’ipocrisia di una società in cui i poteri precostituiti, che dovrebbero garantire la giustizia, sono in realtà coloro che perpetrano le ingiustizie più vili, sempre ai danni di chi non ha “santi in paradiso”. Tema che torna anche in Don Raffaé.

5 – Il Sogno di Maria

“Ne La Buona Novella c’è il fulcro del nostro pensiero e del nostro operato: Laudate Hominem, cioè mettete al centro l’uomo.” Queste le parole di Don Gallo a proposito dell’album di De André in cui la figura di Gesù, raccontata attraverso l’inclusione degli emarginati, è soprattutto quella dell’uomo. Così come, ancor prima che Santa, Maria è donna. La donna che, pur vivendo in una condizione di subalternità nel contesto societario dell’epoca, è colei che genera la rivoluzione. “Gesù è il più grande filosofo dell’amore che donna riuscì mai a mettere al mondo”. Fabrizio De André

6 – La Canzone di Marinella

Il brano, uno dei primi scritti da De André e portato al successo dall’interpretazione di Mina, fu ispirato dalla tragica vicenda di una prostituta assassinata. Il Faber trasforma l’orrore di quell’evento in una sorta di favola d’amore, per restituire dignità e valore a quella donna barbaramente uccisa. “Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo.”

Le anime salve

7 – La Ballata dell’Amore Cieco (o della Vanità)

De André canta l’opposizione tra un futile sentimento di vanità, un desiderio d’amore finalizzato solo al nutrimento dell’ego, ed invece dall’altra parte la verità e la purezza di un amore incondizionato e disinteressato, che sopravvive anche alla morte dell’innamorato, lasciando all’amante arido nient’altro che sangue secco. “I perdenti sono le persone che più mi affascinano. [] Solo queste persone dimenticate riescono a consegnare alla morte una goccia di splendore.”

8 – Un Matto (Dietro Ogni Scemo C’è Un Villaggio)

De André e Don Gallo stavano con gli emarginati. A proposito di questo, il prete di strada affermava: “L’emarginazione può essere uno stato di grazia, perché sottrae al potere, quindi al fango, e ti avvicina al punto di Dio. Quelle vite perdute sono anime salve”. Allo stesso modo Faber: “Anime salve sono i solitari. I diversi, quelli che stanno ai margini, perché ce li ha cacciati il sistema o perché l’hanno scelto loro. Salvi, perché soli, perché liberi, perché lontani da questa civiltà da basso impero, dove i bambini vengono stuprati e gli adulti si arrabbiano solo quando gli rubi l’argenteria di casa”.

L’amore e la guerra

9 – Bocca di Rosa

“Mi piace, nelle canzoni, salvare tutto ciò che gli altri condannano incondizionatamente per questioni di conformismo e di falsa morale. [] Bocca di rosa è immortale, perché non si mette contro il suo destino. A lei interessa la conquista. Non è una puttana, è una che ama e si fa amare. E sa che l’amore migliore è quello che non ha futuro.”

10 – La Guerra di Piero

“Ho scritto canzoni contro la guerra, ispiratemi da racconti di mio zio, che s’è succhiato la guerra di Albania nell’ultima guerra mondiale, ed è il caso de La Guerra di Piero. In Sidùn ho scritto di un padre palestinese che piange su suo figlio schiacciato dalle ruote di un carrarmato israeliano. Ho scritto Sand Creek… tutto questo evidentemente non è servito a molto. Penso che finirò per scrivere una canzone in favore della guerra, che naturalmente venderò nel 1980 quando ci sarà qualche “guerra sacra” in nome di qualche non meglio identificato ideale.”

Napoli, 25 febbraio 2024