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Lacrime Napulitane… De Laurentis vende l’argenteria di casa e saluta anche Koulibaly e (forse) Mertens…

 di Carlo Gimmelli

Nell’estate più torrida e arida degli ultimi 70 anni, nel pieno di una recessione economica lacrime e sangue che preannuncia un autunno bollente, il Covid in versione balneare che continua a mordere le caviglie con le sue continue varianti e una guerra incancrenita in giardino che minaccia un inverno al freddo, anche il pallone nazionale vive il suo periodo di Quaresima.

Sembrano finite per (quasi) tutti le vacche grasse dei bilanci farlocchi di Pulcinella, degli stipendi sanguinosi di mezzi fuoriclasse mai cresciuti e l’imperativo per il comatoso calcio italico è ridurre i costi a tutti i costi.

Ormai mezza serie A è in mani (e capitali) straniere, anonimi fondi d’investimento, multinazionali finanziarie, il ricco (e scemo?) “Paròn”, l’industrialotto italico che scendeva nell’arena pallonara per visibilità, passione o narcisismo senile e che, spesso, ci rimetteva vagonate di miliardi (in lire) o milioni (in euro) è roba da museo antropologico.

Il pallone 3.0, da anni ormai, è roba proibitiva e sempre meno attrattiva per chi crede di poterlo gestire come dopolavoro aziendale: stadi inadeguati, tranne poche oasi, e mezzi vuoti, costi di gestione altissimi, capacità attrattiva in costante calo; ormai il traballante sistema si basa quasi esclusivamente sui diritti TV, di merchandising (per le grandi) e premi UEFA per chi può giocarsi le coppe europee; gli altri si arrangiano e a malapena restano a galla.

In Europa le società italiane sono in coda sia per fatturato che per risultati sportivi e da un decennio non riusciamo a portare a casa una Coppa internazionale, segnale di un declino economico in primis, ma anche tecnico e strutturale.

Tranne la coppetta di consolazione della Conference League vinta dalla Roma di Mourinho e l’Europeo della nazionale di Mancini il bilancio è avvilente e la supremazia dei Club inglesi, spagnoli, tedeschi e francesi, con i loro petroldollari arabi, è al momento incolmabile.

In casa Napoli i rapporti tra società e tifoseria organizzata sono al livello più basso dell’era De Laurentiis, accusato di non volere vincere né passare la mano e sono ulteriormente peggiorati da quando la famiglia ha deciso di investire risorse nel Bari Calcio, tornato in serie B e già nel mirino della Federazione con l’obbligo perentorio di vendere una delle due società entro la stagione 2024-25 De Laurentiis, un maestro nel far quadrare i conti e i dividendi, al termine dell’ultimo campionato con il sogno scudetto infranto nelle ultime giornate, aveva sentenziato che “la pacchia è finita”: la società per la prima volta alle prese con un significativo passivo di bilancio, doveva abbassare sensibilmente il monte ingaggi e tutti, in presenza di offerte importanti, erano sul mercato.

E’ stato di parola: in meno di due mesi addio senza troppi rimpianti all’eterno incompiuto Insigne, andato a svernare con la ricchissima pensione anticipata nel campionato semidilettantistico canadese; l’amato belga-napoletano Mertens, a meno di clamorosi ritorni, si è svincolato il 30 giugno e ha rifiutato un rinnovo biennale a metà dell’ingaggio attuale, il portiere Ospina, a fine contratto ha preferito i petroldollari degli arabi del Al Nassr e sono in partenza il nazionale Politano, Petagna, il gioiellino Fabian Ruiz in scadenza nel 2023 che ha rifiutato il rinnovo e vuole tornare in Spagna e rischia una stagione in tribuna se non porta a De Laurentiis una ricca offerta d’acquisto immediata.

Ma l’addio più doloroso per i tifosi è stato quello del gigante nero Koulibaly, il vero top player degli azzurri, il capitan futuro dopo Insigne: in scadenza nel 2023 con un ingaggio pesante di 12 milioni lordi, ha rifiutato un rinnovo quinquennale alle stesse cifre e un futuro da dirigente, ha resistito alle sirene della Juventus che si era fiondata sul difensore e ha ceduto alla solita e patetica “scelta di vita” (!?) offerta dal Chelsea che, record inglese per un giocatore over 30, ha sganciato 40 milioni di euro a De Laurentiis e proposto al senegalese, già a Londra, un faraonico contratto da dieci milioni netti a stagione per cinque anni, ovvia la resa del romano per un giocatore che l’anno prossimo sarebbe andato via gratis.

Missione compiuta dunque, via tutti i big, quelli con gli ingaggi pesanti, e consistente alleggerimento del bilancio ma ora? A un mese dall’inizio del campionato più imprevedibile, con una lunghissima sosta invernale per i mondiali in Qatar e una Champions League da onorare, la squadra in ritiro a Dimaro è assolutamente zoppa e indebolita e i soli acquisti di Ostigard, del laterale Olivera e la forte punta (?) georgiana dal nome atroce Kvaratskhelia sono assolutamente insufficienti e trovare il sostituto di KK sarà molto complicato se non impossibile.

Spalletti, che aveva giurato di incatenarsi ai cancelli di Castelvolturno se avesse perso il suo Top di riferimento se ne farà una ragione, difficile che interrompa i rapporti con la società anzitempo, ma attende subito rinforzi di qualità e, soprattutto, di personalità.

Dopo aver sfiorato lo scudetto il rischio smobilitazione è alto, Spalletti è noto per la non infinita pazienza e, soprattutto, la tifoseria ha identificato in De Laurentiis, con il noto soprannome, il nemico che sta smantellando la squadra in attesa di trovare una ricca buonuscita e puntare sulla piazza meno difficile di Bari: fantacalcio? Vedremo!

L’anno zero è appena cominciato…..

Napoli, 14 luglio 2022