La strada la faccio io! Tu devi imparare da me.
La strada la faccio io! Tu devi imparare da me.
di frate Valentino Parente
L’uomo è di quelli tosti:
“Non è un crumiro, uno che taglia la corda quando la si fa brutta.
Tira fino all’ultimo, è fedele fino all’ultimo.
Non diserta, non scappa. Se anche gli altri scappano”.
Primo Mazzolari, Il compagno Cristo
XXII domenica del tempo ordinario. Anno A. 30 agosto 2020
visualizza Geremia 20, 7-9
visualizza Romani 12, 1-2
visualizza Matteo 16, 21-27
Gesù si trova ancora nella regione pagana di Cesarea di Filippo.
Pietro lo ha appena riconosciuto come “il Cristo, il figlio del Dio vivente” e Gesù lo ha detto “beato” perché destinatario della rivelazione del Padre.
Dinanzi al riconoscimento di Pietro, Gesù cominciò a parlare ai suoi discepoli in modo chiaro, rivelando loro quello che era il progetto di Dio su di lui: “cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme…”.
E Gesù lo fa apertamente, con chiarezza di linguaggio, non in parabole, in modo da sgomberare il terreno da qualsiasi equivoco.
I discepoli vengono così introdotti bruscamente nella pedagogia della croce.
“Doveva”: non era una sua scelta, o, meglio, era il compimento della volontà del Padre, volontà che Gesù aveva accolto e condiviso pienamente.
Era la realizzazione della volontà di Dio.
Gli apostoli sapevano che Gesù stava andando a Gerusalemme, avevano capito anche che lì doveva “soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi”.
Le tre categorie di persone che componevano il sinedrio, cioè il massimo organo giuridico di Israele.
Ciò che non avevano capito, meglio, non potevano accettare era che a Gerusalemme “doveva venire ucciso”.
Per gli apostoli è inconcepibile, il Messia, il figlio di Dio, non poteva morire, non poteva venire ucciso.
È da sottolineare che è la prima volta che Gesù annuncia la sua morte.
E poi, questo annunzio strano: “e risorgere il terzo giorno”, qualcosa di assolutamente incomprensibile per gli apostoli.
Ed ecco che scoppia l’incidente.
“Pietro lo prese in disparte”.
Letteralmente: “afferratolo verso di sé”, tirandolo a sé, “cominciò a sgridarlo”.
Qui la scelta dei termini, da parte dell’evangelista, è molto accurata, infatti il verbo “sgridare” è il verbo che adoperava Gesù per scacciare i demoni.
Lì Gesù sgrida i demoni per cacciarli via, qui Pietro sgrida Gesù pensando che ciò che ha detto non fosse volontà di Dio ma effetto di una possessione demoniaca.
“Cominciò a sgridarlo dicendo: Dio ti perdoni”
Questa è un’espressione biblica, uno scongiuro, usata spesso anche nel nostro linguaggio comune, che si rivolgeva a quanti si erano allontanati dalla vera fede: “che Dio ti perdoni”, perché nessuno ti può perdonare questo grave peccato.
Quello che Gesù ha detto, per Simone è talmente grave che considera Gesù posseduto dal demonio, uno che ha abbandonato Dio.
Ma egli voltandosi disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana!”
“Satana” è un termine comune, non è un nome proprio.
È un termine che in ebraico vuol dire “accusatore”, o, più genericamente, è colui che mette i bastoni fra le ruote, colui che pone ostacolo (=scandalo).
Gesù adopera lo stesso verbo che, al momento delle Tentazioni, ha adoperato nei confronti di Satana.
È chiaro che qui l’evangelista sta ricordando volutamente le tentazioni di Gesù nel deserto.
Ma c’è una differenza sostanziale. Al tentatore nel deserto, Gesù ha detto semplicemente: “Vattene”, (Mt 4,10), intendendo: torna da dove sei venuto, vattene nel fuoco eterno!
Mentre, qui, a Pietro, dice: “vattene dietro di me”.
La famosa espressione latina: “vade retro” non significa “allontanati”, “va via”, ma traduce il greco “va’ dietro di me”, cioè: rimettiti alla mia sequela, torna ad essere mio discepolo.
Ciò che il Signore gli dice non è “allontanati da me!”, ma: “va’ dietro”, “rimettiti dietro di me!”, torna ad essere mio discepolo.
Sei tu che devi seguire me, non io che devo venire dietro di te.
La strada la faccio io! Tu devi imparare da me.
Gesù poco prima aveva detto a Pietro: “tu sei la pietra sulla quale costruirò la mia chiesa”, adesso gli dice: “tu mi sei di scandalo”.
“Scandalo”, nella lingua greca (skandalon) indica la pietra che fa inciampare. Esattamente, pietra di scandalo, sono quelle pietre che troviamo in campagna, che hanno una parte scoperta e una parte nel terreno, chi non se ne accorge facilmente vi inciampa.
Quindi il termine “scandalo”, in greco, significa ‘qualcosa che fa cadere, che fa inciampare’.
Nel momento in cui Pietro aderisce a Gesù, è roccia di fondamento per la costruzione della comunità, nel momento in cui si oppone a Gesù è uno che pone ostacoli, cioè è di scandalo, non sta dalla parte di Gesù, ma contro di lui, questo perché ancora “non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Ognuno di noi è questa pietra: se riceviamo dal Signore questa vita e la trasmettiamo agli altri siamo pietre idonee per costruire la comunità di Dio.
Se invece coltiviamo desideri di potere, di ambizione, di successo, diventiamo pietre d’inciampo, che fanno inciampare gli altri, che sono di ostacolo al cammino di fede degli altri
A questo punto Gesù ricomincia a spiegare cosa significa andargli dietro:”Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso… Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà”.
Anzitutto, che significa “rinnegare sé stessi”?
Dobbiamo fare subito una distinzione.
Gesù non chiede di rinnegare “ciò che siamo”, ma ciò che “siamo diventati”.
Noi siamo immagine di Dio, siamo perciò qualcosa di “molto buono”, come ebbe a dire Dio stesso, subito dopo aver creato l’uomo e la donna (Gen 1,31).
Quello che dobbiamo rinnegare non è quello che ha fatto Dio, l’immagine originale che abbiamo ricevuto da Dio, ma quello che abbiamo fatto noi, cioè le tendenze cattive, il peccato e tutte quelle cose che sono come incrostazioni posteriori sovrapposte all’originale.
È ciò che succede quando viene restaurata un’opera d’arte: togliendo tutto ciò che non è originale, e la polvere che vi si è depositata, si riporta alla luce l’originale in tutta la sua bellezza.
“Rinnegare sé stessi” significa, come spiega Gesù stesso, “ritrovare”: “Chi perderà la propria vita, la troverà”.
Rinnegarsi – cioè, ritornare all’originale – è il vero modo di realizzarsi!
Chi fa della propria esistenza un dono per gli altri, anche se apparentemente, agli occhi del mondo sembra una vita sprecata, non solo non perde la propria vita, ma la ritrova, la vive e la realizza in pienezza.
Un esempio per tutti… madre Teresa di Calcutta, che ha “sprecato” la sua esistenza a servizio degli altri, degli ultimi, degli invisibili agli occhi del mondo, di coloro che sono considerati lo scarto dell’umanità, per usare una espressione molto cara a Papa Francesco. Invece, chi vorrà salvare la propria vita, chi adopererà gli altri per sé, costoro la perdono definitivamente.
“Rinnegare sé stessi” non è dunque un’operazione per la morte, ma per la vita, per la bellezza e per la gioia.
Nola, 28 agosto 2020