La Finanza Creativa e i Danni all’Economia
La Finanza Creativa e i Danni all’Economia
di Paolo Morelli
Negli ultimi anni c’è stato un notevole aumento di quella che è stata definita “finanza creativa”. Essa rischia di travolgere i bilanci futuri di molti enti locali, a cominciare da quello del Comune di Napoli, uno dei più esposti. Ma, prima di scoprire le cifre, cerchiamo di comprendere che cosa sono i “derivati” e, soprattutto, perché sono così pericolosi. Se volessimo semplificare al massimo, potremmo dire che questi strumenti finanziari dai nomi complicati e tutti rigorosamente inglesi, funzionano un po’ come delle scommesse.
Si può "giocare" sull'andamento di un titolo così come sul tasso di interesse di un Bond. Ma si possono usare anche meccanismi più complessi. I famosi Credit Default Swap, i Cds, che hanno fatto tremare il mondo quando la Grecia era al default, sono scommesse sulla possibilità che un paese (o una società) faccia fallimento. I futures, che molti ricorderanno perché sono i protagonisti del gran finale del famoso film "Una poltrona per due", sono scommesse sull'andamento della materia prima: ti vendo fra un anno un chilo di patate a 1 euro anche se oggi ne costano due. Scommettendo che alla fine il costo sia molto inferiore. Insomma, uno scambio di "carta" contro "carta". Dietro i derivati non c'è l'economia reale ma solo quella finanziaria. Le cose sono andate bene fino al 2008 quando, a un certo punto, è scoppiata la bolla dei mutui sub-prime. Si è scoperto, cioè, che le banche avevano erogato mutui superiori al valore della casa. Ma, non contente, avevano emesso anche derivati sulla possibilità che quei mutui venissero regolarmente pagati. Quando il mercato immobiliare è calato, gli americani non sono riusciti a versare le rate e tutto il castello di carta è crollato. Ma, nel frattempo, nella pancia degli istituti di credito ma anche degli Stati è rimasto una montagna di "derivati". Anche l'Italia ha partecipato al "banchetto" e, al 6 aprile 2012, si legge nella relazione della Corte dei Conti, "il numero complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammonta a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. Nessuno sa prevedere quanto peseranno in termini di perdite. Solo per fare un esempio, nel corso del 2012 l'Italia ha chiuso un debito derivato contratto con la Morgan Stanley (contratto stipulato nel 1994) con una perdita di 2, 6 miliardi di euro.
La finanza creativa è stata di casa anche a Palazzo San Giacomo, dove a partire dal 2004 si sono lanciati in una serie di emissioni di titoli per ripianare i debiti e finanziare in maniera alternativa, rispetto alla Cassa Depositi e Prestiti, i progetti di investimento. Sulla carta le condizioni erano vantaggiose, soprattutto per i primi anni, quando questi derivati garantivano un tasso fisso inferiore a quello della Cassa. Poi, però, negli anni successivi il sistema cambiava, il tasso diventava variabile ed era agganciato all'Euribor. Conclusione: i risparmi iniziali si trasformavano in perdite tutte scaricate sui bilanci futuri dell'ente. Ed è questo l'aspetto forse più pesante della mina dei derivati anche per le casse del Comune. Nella città partenopea, infatti, ci sono ancora 700 milioni di titoli derivati che Palazzo San Giacomo prima o poi dovrà pagare. In alcuni casi le scadenze arrivano fino al 2035. E, come sottolinea la Corte dei Conti, gli accordi sono vantaggiosi per chi presta (gli istituti di credito) e poco vantaggiosi, nel medio e lungo termine, per il Comune. Uno squilibrio che già oggi avrebbe comportato una perdita consistente. Solo per i contratti stipulati nel 2005, ad esempio, la perdita sarebbe di 60 milioni. Ai quali occorre aggiungere i 23 per quelli dell'anno precedente. Ma si tratta di numeri puramente "virtuali" dal momento che il calcolo definitivo potrà essere fatto solo a consuntivo, una volta onorato il debito. Senza dimenticare, poi, la vicenda dei Boc, i buoni comunali del Comune, altro esempio di finanza creativa finito male.
Insomma, nonostante le rassicurazioni, la mina dei derivati è sempre lì, pronta a scoppiare anche se i suoi effetti saranno avvertiti solo dalle future generazioni. Beffate due volte: pagheranno i debiti contratti dai genitori e stanno già pagando il prezzo più alto della crisi. Gli amministratori attuali e futuri dovranno fare i conti con le politiche economiche sbagliate dei predecessori cercando di governare la cosa pubblica sotto la costante minaccia della spada di Damocle del dissesto finanziario.
Napoli, 26 giugno 2015