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La distruzione di un’opera d’arte come valore aggiunto.
di Martino Ariano

 

 

Il dubbio è l’inizio della conoscenza
Cartesio

 

Bentornati, questo è il nostro terzo appuntamento con l’arte contemporanea!

Vi porto alla scoperta di un’opera che è rimbalzata alla cronaca di tutto il mondo per la sua autodistruzione.

Si avete capito bene, subito dopo essere stata battuta all’asta, l’opera si autodistrusse.

L’opera in questione è dello Street Artist inglese Banksy, ed ha come titolo Love is in the Bin.

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È una reinterpretazione pittorica del murale Girl with Balloon del 2002, posta in una doppia cornice in stile vittoriano.

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La cosa che la rende particolare è la sua storia.

Banksy affermò di aver dotato l’opera di un meccanismo di autodistruzione, se quest’ultima fosse stata messa all’asta. E così fu!

Dopo pochi secondi dall’essere battuta all’asta il 5 ottobre 2018 da Sotheby’s per 1.402.000 £ (1.184.360 €), la tela cominciò a scivolare verso il basso e ad uscire dal telaio triturata in vari frammenti. Ma il meccanismo, involontariamente, in quanto l’artista aveva prevista la distruzione totale dell’opera, si bloccò a metà del dipinto.

Molti furono le ipotesi e i dubbi intorno al meccanismo e al suo funzionamento, alimentati anche da un video pubblicato dall’artista sui suoi canali social, presentante non poche incongruenze.

La vendita comunque andò a buon fine.

Dopo che l’opera, dal 2019, fu esposta alla Staatsgalerie di Stoccarda, venne rivenduta per 18.5 milioni di sterline nel 2021, ad un collezionista privato. È la cifra più alta mai pagata per un’opera di Banksy.

L’episodio in pochi secondi ha messo in crisi due dei valori caratterizzanti un’opera d’arte: l’unicità e la permanenza temporale e fisica.

Da sempre siamo indottrinati all’idea che un’opera d’arte sia unica e perenne, ma nell’arte contemporanea questi valori vengono messi profondamente e volontariamente in crisi.

Così come fa Banksy, il cui gesto è chiaramente provocatorio, critico e anticonformista soprattutto contro la messa in vendita di un’opera d’arte, ideando addirittura la distruzione dell’opera una volta venduta.

Ma, pur lottando contro la mercificazione delle sue opere, non può sottrassi al potere del mercato dell’arte e della sua fama, spesso anche involontariamente alimentata da lui stesso: non solo con la sua non chiara identità o con l’estrema ed accurata tempistica e logistica dei suoi murales, ma anche con opere come quella presa in analisi.

Infatti, le sue opere sono battute all’asta, molte sono state le esposizioni non autorizzate su di lui, molti i brand ad utilizzare le sue immagini, molte le incognite che ruotano intorno a questo artista.

Banksy diviene così l’emblema di come il potere economico sia egemone anche nel mondo dell’arte: di come un graffito, zeppo d’intenzioni anticonformistiche, critiche e sociali, diventa merce, prodotto;  o di come un anticonformista si conformi al sistema, volontariamente o involontariamente.

Ma dinanzi a quest’opera e con una visione più economica, una domanda sorge spontanea: Non è forse una strategia di marketing quella messa in campo da Banksy con il suo personaggio anticonformista anonimo pronto a sfidare il sistema?

Ebbene, l’arte contemporanea non risponde ne risolve quesiti, anzi li crea, li alimenta, facendo del dubbio, della perplessità una delle sue forze.

Ma, osservando la quotidianità, non è forse anch’essa dominata da questi due elementi.

 

Madrid, 16 marzo 2023