La difficile arte di amare. Investire in fraternità!
La difficile arte di amare. Investire in fraternità!
di frate valentino Parente
Se sulla terra continuiamo a rimanere,
nonostante le offese che ci infliggiamo,
legati gli uni agli altri anche in cielo
saremo legati da vincoli di fraternità.
XXIII domenica del tempo ordinario. Anno A. 6 settembre 2020
L’evangelista Matteo ha raccolto l’insegnamento di Gesù in cinque grandi discorsi, i lòghia, cioè i detti di Gesù, sistemandoli per tema.
- Il primo discorso è quello programmatico, detto della montagna,
- il secondo contiene il cosiddetto discorso missionario
- il terzo, quello centrale, è il discorso delle parabole, che abbiamo letto per intero alcune domeniche fa, dove Matteo ha raccolto sette parabole del regno,
- il quarto discorso, è quello ecclesiale, cioè sulla comunità, e ci viene proposto sia in questa domenica che domenica prossima.
- il quinto discorso, infine, quello sulle realtà ultime, è il cosiddetto discorso escatologico.
Dunque, nel cap. 18, Matteo raccoglie una serie di insegnamenti di Gesù sulla vita all’interno della comunità cristiana, e i versetti che ci sono proposti, hanno la chiara forma di detti separati, ma raccolti insieme con una intenzione precisa.
La pagina di oggi inizia con l’insegnamento sulla correzione fraterna:
“Se tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo”.
Finalmente, dirà qualcuno, il vangelo ci parla di qualcosa di facile e di piacevole!
Fare osservazioni, criticare, gettare in faccia a qualcuno i suoi torti: non è forse, questa, una delle cose che ci riescono più naturali e più gradite nella vita?
Ma la verità è esattamente il contrario.
La genuina correzione fraterna, è una delle cose che richiedono più libertà interiore e maturità, e proprio per questo è una cosa assai difficile e anche poco praticata.
Sembra quasi l’applicazione che Matteo fa della parabola della pecorella smarrita; non viene letta nel vangelo del giorno, ma si trova subito prima al testo liturgico.
Il pastore va a cercare la pecora smarrita, mentre le altre 99 sono sui monti.
Matteo la applica alla comunità: se tuo fratello commette una colpa, vallo a cercare, non lasciar perdere, non ignorarlo, ma preoccupati di lui.
Viene presentato un itinerario di correzione che è l’alternativa alla polemica e alla indifferenza.
Essere aggressivi nei confronti di chi sbaglia, è sbagliato, essere indifferenti, è ugualmente scorretto.
Aggredire e disinteressarsi sono due eccessi ugualmente negativi.
La via che Gesù propone, è molto più faticosa, ma è quella dell’amore, è quella del coinvolgimento personale.
La correzione fraterna è una questione di amore.
È un atteggiamento di cura premurosa, dettata dall’affetto, non dalla polemica.
Sappiamo come sia difficile correggere una persona che sbaglia.
Molto spesso si ottiene una reazione negativa, colui che viene rimproverato, facilmente si offende, invece che accogliere la correzione.
È una strada difficile, ma è la strada evangelica e dev’essere percorsa con atteggiamento di carità.
Gesù non incoraggia certo la caccia agli errori altrui, la maldicenza, o quella propensione così frequente a sbandierare in pubblico i difetti del prossimo, magari fingendoci ipocritamente rattristati per loro.
Piuttosto “va’ e ammoniscilo fra te e lui solo”.
Qual è il motivo per cui bisogna praticare la correzione fraterna?
Non certo per il prurito di mostrare agli altri i loro torti.
Neppure per scaricarsi la coscienza in modo da poter dire poi: “Te lo avevo detto!”
No, lo scopo è “guadagnare il fratello”.
Cioè il genuino bene dell’altro. Affinché possa migliorarsi e non andare incontro a spiacevoli conseguenze.
E se si tratta di una colpa morale, affinché non comprometta il suo cammino spirituale e la sua salvezza eterna.
Quindi… prendi il coraggio a due mani, presentati a lui e digli apertamente ciò che ti sembra meritevole di rimprovero.
Così facendo, tu corri il rischio di dispiacergli, o di sentirti dire, a tua volta, ciò che egli pensa di te, ma, se ti ascolta, “avrai guadagnato il tuo fratello”.
“Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo alla comunità”.
Il Vangelo prosegue prospettando il caso in cui bisogna investire l’intera comunità, assumendo una dimensione pubblica.
La Chiesa, in quanto tale, è investita da Cristo del potere di correggere ogni singolo fedele. Quello stesso compito che nella regione di Cesarea di Filippo era stato affidato al solo Pietro, ora viene affidato a tutti i discepoli: “tutto quello che legherete sulla terra sarà legato nei cieli e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
Dopo aver tentato tutte le strade per recuperare il fratello peccatore, abbiamo ancora una possibilità: la preghiera.
E Gesù ci assicura che il Padre Celeste ci esaudirà, purché… siamo concordi nel chiedere. Essere concordi nel chiedere, non significa semplicemente chiedere la stessa cosa, ma essere concordi.
La richiesta concorde implica una comunità che va d’accordo, che si ama, che ha cura del fratello, che ha un cuor solo e un’anima sola.
Il Vangelo si conclude con una consolante promessa da parte di Gesù, ai suoi discepoli: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
“Io sono in mezzo a loro”.
Questa parola, l’evangelista Matteo, non a caso, la colloca proprio al centro del suo vangelo. Ed è in stretta correlazione con l’inizio e la fine. Infatti all’inizio del racconto evangelico, Matteo dice che nella nascita di Gesù si compie la profezia dell’Emmanuele, che significa Dio-con-noi (Isaia 7,14).
Quel bambino, all’inizio del vangelo è definito Dio-con-noi.
Mentre alla fine dello stesso vangelo, il Cristo Risorto, prima di ascendere al cielo, promette ai suoi discepoli: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Dunque: “Io sono con voi”, all’inizio e alla fine.
E al centro, “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
Non è semplicemente questione di riunirsi in una Chiesa, o in un ambiente religioso.
La riunione di cui parla Gesù è l’unione dei cuori, è la comunità unita in “un cuor solo e un’anima sola”, è la realtà di una Chiesa concorde, un’anime, riunita intorno al Cristo.
Se al centro della nostra vita c’è l’adesione a Gesù Cristo, se al centro della nostra comunità c’è l’adesione a Gesù Cristo, allora noi siamo uniti, sperimentiamo la sua presenza viva in mezzo a noi e la nostra vita non sarà altro che l’espressione di questa esperienza.
Chiediamo al Signore la capacità di essere correttori intelligenti, buoni, fratelli e sorelle che aiutano davvero chi sbaglia e nello stesso tempo, persone sagge che accolgono la correzione e che ne approfittano per crescere nella fede e migliorare nella vita.
Molto bello l’episodio che si racconta nella vita di San Filippo Neri.
Una volta una donna andò a confessarsi da San Filippo, accusandosi di aver sparlato di alcune persone. Il santo l’assolse, ma le diede una strana penitenza. Le disse di andare a casa, di prendere una gallina e di tornare da lui, spennandola per bene lungo la strada. Quando fu di nuovo davanti a lui, le disse: “Adesso torna a casa e raccogli una ad una le piume che hai lasciato cadere venendo qui”. La donna gli fece osservare che era impossibile: il vento le aveva certamente disperse dappertutto nel frattempo. Ma qui l’aspettava san Filippo. “Vedi – le disse – come è impossibile raccogliere le piume, una volta sparse al vento, così è impossibile ritirare mormorazioni e calunnie una volta che sono uscite dalla bocca”.
Nola, 4 settembre 2020