L’ utero artistico dei gay
L’ utero artistico dei gay
di Giulia Di Nola
C’è stato un tempo in cui l’omosessualità era sinonimo d’intellettualismo e di genialità. Personalità di grande spessore, nella storia di tutte le manifestazioni artistiche, lo hanno dimostrato. Col desiderio ardente di risolvere i loro conflitti interiori, i sensi di colpa che ne scaturivano, la drammaticità che questi ultimi generavano e l’assenza di libertà definita da contesti omofobici, quelle menti grandiose, generalmente maschi dalla casistica limitata, sublimavano la loro simbolica “cavità uterina” in feconda e curativa creatività.
In virtù di questo, lo psichiatra Freud non descrisse mai nei suoi saggi di psichiatria l’omosessualità come una malattia, ma come un arresto della libido (pulsione sessuale) che interferiva nello sviluppo armonico della persona; molti furono i casi, infatti, che Egli risolse attraverso la psicoterapia.
Oggi, invece, l’omosessualità è una malattia. La massificazione ideativa, la tecnocrazia, i regimi livellanti promossi anche dai social network hanno fatto sì che l’arte in genere, nonché l’estro sublime dei gay, subissero uno dei più terribili tracolli mentre, come spesso scrivo, la creatività è resurrezione cerebrale.
Nella società odierna il moltiplicarsi dei casi gay, specie maschi, quasi fosse una moda, non può non farci riflettere. L’inquinamento, i cibi iper-ormonizzati, le disfunzioni ghiandolari e sessuali che ne derivano, l’avanzare di una donna soldato che detta infinite distanze con l’uomo, possono considerarsi le cause di una omosessualità che sta prendendo la piega della ereditarietà genetica.
L’omosessualità è sempre esistita, inutile nascondersi o nasconderla; va riconosciuta e accettata. Ciò che non è mai esistito è, da un lato, averla resa dalla stessa categoria un fenomeno da baraccone, un evento mediatico; dall’altro i governatori italiani vigenti l’hanno resa un asfittico dovere sindacale e politico, laddove dovrebbe essere un caso di coscienza, antropologico e culturale insieme.
Il rispetto che queste persone esigono e meritano (in quanto tali), dovrebbe iniziare non soltanto da loro stesse ma anche dall’ammodernamento solerte dei programmi didattici finalizzati alla graduale eliminazione, almeno in parte, di certuni tabù in collaborazione con le famiglie degli allievi.
Il ddl Cirinnà che contempla le unioni civili e le consequenziali adozioni è ingiurioso, offensivo e discriminatorio proprio verso l’omosessualità che per definizione non prevede matrimoni, né matrimoni finalizzati alla figliolanza; significa andare contro la natura medesima dei gay.
In quanto manchevole di competenze pediatriche, psichiche, psicologiche e pedo-psichiatriche, il ddl non garantisce alcun rispetto; anzi, gettando al vento anni di studi condotti da Montessori, Piaget, Adler, Freud, Klein etc., converte il sapiente lavoro di menti eccelse in fantasioso rimpasto legislativo. Ci persuade che il “traffico di neonati”, a scapito dei minori, sia lo stesso che una legale adozione; induce le donne-vacca, indigenti e disperate, a comportarsi come supermercati convincendole del fatto che prostituire il proprio utero sia un semplice prestare, che amare la vita sia lo stesso che odiarla e infine, orripilante follia, che la prostituzione sia lavorare.
Nel momento in cui queste pseudo forme di lavoro fossero istituzionalizzate cosa accadrebbe?
Signori miei, siamo tornati indietro di almeno 500 anni.
Napoli, 17 aprile 2017