Johnny Cash, il Solitary Man della narrazione americana
Johnny Cash, il Solitary Man della narrazione americana
di Emanuela Cristo
“Salve, sono Johnny Cash!”. Era in questo modo che l’uomo in nero iniziava i suoi concerti. In maniera semplice e autentica. Così come autentica è stata la sua esistenza, dai campi di cotone dell’Arkansas alle Hall of Fame. Un’esistenza da ribelle, fuori dal coro, costellata da cadute e risalite. Sempre sulla propria strada, percorrendo un viaggio attraverso l’America e dentro sé stesso.
Johnny Cash è uno dei pochi artisti ad aver venduto più di novanta milioni di dischi ed è presente in tre diverse Hall of Fame (Country, Rock ‘n’ Roll e Gospel). Una figura trasversale che è riuscita a diventare faro di riferimento per la cultura americana e mondiale.
Million Dollar Quartet
Chi di noi appassionati di musica non avrebbe desiderato essere una mosca per intrufolarsi il pomeriggio del 4 dicembre del 1956 negli studi della Sun Records di Memphis in Tennessee? Quel giorno, per fortunate congiunzioni astrali, si ritrovarono insieme nelle stanze della piccola casa discografica Jerry Lee Lewis, Carl Perkins, Johnny Cash. La Jam Session che ne nacque fu prontamente registrata da Sam Philips, proprietario dell’etichetta, e pubblicata anni dopo col nome di Million Dollar Quartet.
Presley, già allaRCA, era passato per un saluto, mentre Cash, appassionato di Hank Williams, aveva firmato il suo primo contratto con la Sun nel ’55, poco tempo dopo il ritorno dal servizio militare in Germania dove aveva comprato la sua prima chitarra per 25 marchi. Il singolo d’esordio di Johnny Cash and the Tennessee Two fu Hey! Porter / Cry Cry Cry,poco dopo seguì la prima Hit: I Walk The Line, un omaggio alla moglie Vivian ma anche un velato messaggio a Dio, visto che Philips non voleva che incidesse canzoni spirituali.
Gli esordi, il successo e l’inizio delle dipendenze
L’album d’esordio arrivò nel ’57. Johnny Cash With his Hot and Blue Guitar segnò il debutto di un cantastorie che sarebbe diventato la voce di chi lavora, ama e prega. Il Johnny Cash Show fu l’estenuante tour che portò Cash in tutto il Midwest, allontanandolo dalla famiglia e iniziandolo all’uso di alcol e anfetamine, che lo vedrà per buona parte della vita intrappolato in un abisso dal quale tenterà più volte di riemergere. Ride This Train (’60) e Ring Of fire: The Best of Johnny Cash (’63) mostrarono e confermarono il grande talento e la versatilità dell’artista nel raccontare la realtà americana. Dal country degli anni ’50, la musica di Cash trovò evoluzione nel decennio successivo in una dimensione folk, ispirata dall’astro nascente Bob Dylan, dai mutamenti introdotti dal Rock ‘n’ Roll e dall’interesse del cantante a raccontare le storie di dolore e sofferenza di “altri americani” ancora più dimenticati: in Bitter Tears: Ballads of the American Indian l’autore narra le lacrime dei nativi americani.
Verso la metà del decennio Cash attraversò un periodo di profonda depressione legata all’abuso di anfetamine e trascorse lunghi periodi da solo nel deserto o in ranch semiabbandonati. Il frutto di questi suoi viaggi solitari e delle sue meditazioni interiori germogliò, mostrando tutto il suo tormento, in Johnny Cash Sings The Ballads of the True West. Nel ’67, in coppia con June Carter, ottenne un grande successo col brano e l’album Carryn’ On With Johnny Cash and June Carter.
I concerti nelle prigioni e il sentimento d’empatia con i reietti della società.
Ma fu il 1968 l’anno che vide Cash prodursi in una delle sue più sentite e coinvolgenti performance. Il 13 gennaio si esibì nella sala da pranzo della prigione di Folsom, in California. Con tutta probabilità Cash era l’unico artista a risultare coerente in un posto del genere, perché raccontava le storie dei carcerati, i suoi testi erano veri nella loro tragicità: parlavano di droghe che aiutavano a sopportare la perdita della libertà (Cocaine Blues), delle afflizioni umane (Greystone Chapel). “I shot a man in Reno, just to watch him die”: At Folsom Prison divenne un album pietra miliare nella storia della musica, bruciante passione su disco di un uomo in fiamme.
Nel ’69, nel carcere di San Quentin, Cash replicò l’esperienza dichiarando di voler accontentare solo le richieste di “chi non vede l’alba da troppo tempo”. Fu anche l’anno del Johnny Cash Show in tv sulla , che registrò uno strepistoso successo, grazie ad una musica nuova che parlava d’amore, di omicidi e di fuorilegge., agli inizi degli anni ’70, era ormai una bandiera nazionale che riusciva ad incrociare i favori di strati di società eterogenei: dai ribelli e i carcerati, ai cristiani, agli amanti del country e del rock. Un uomo sempre pronto a schierarsi dalla parte degli emarginati e degli oppressi. Divenne iconica la sua abitudine a vestirsi sempre di nero che gli fece guadagnare l’appellativo di Man In Black.
“Vesto di nero per la povera gente e per gli sconfitti, che vivono nelle zone affamate e senza speranza della città. Vesto di nero per il prigioniero che ha pagato a lungo per il suo crimine, ma è lì perché è una vittima dei tempi… Ah, mi piacerebbe indossare un arcobaleno ogni giorno e dire al mondo che tutto va bene, ma proverò a sopportare il buio sulla schiena, finché le cose non diventeranno più lucenti, sarò l’Uomo in Nero”.
Le fasi alterne della carriera e la rinascita degli ultimi anni
La fine degli anni ’70 però registrò un declino nella carriera di Cash, nuovamente imbrigliato in una spirale di dipendenza dopo qualche anno di disintossicazione. Seguirono molti album, fra raccolte che non aggiungevano nulla alla sua produzione e dischi che invece portavano in sé tracce più veritiere e sentite dell’uomo. Nel 1980 divenne l’artista più giovane ad entrare nella Country Music Hall of Fame ma la sua energia creativa sembrava esaurita. Gli splendori degli inizi della carriera tornarono nell’ultimo decennio del secolo, sotto la produzione di Rick Rubin, con gli album American. Nel ’92 Cash entrò anche nella Rock and Roll Hall of Fame.
American IV: The Man Comes Around fu l’ultimo disco pubblicato da Cash in vita, in cui risaltavano la title track, uno degli ultimi brani scritti dall’artista, riflessione di un uomo alla fine della propria esistenza, e le cover di Hurt dei Nine Inch Nails, Personal Jesus dei Depeche Mode,Bridge Over Troubled Water di Simon and Gurfunkel, In My Life Lennon, tutte rese più tristi dalla voce dell’uomo in nero che sta per pagare il proprio conto alla vita.
June Carter, l’unico rifugio dalle tempeste della vita; Johnny Cash morì settantunenne il 12 settembre del 2003, quattro mesi dopo il grande amore della sua vita, June Carter. Le aveva chiesto di sposarlo decine di volte; l’ultima, quella in cui la donna decise di vincere le proprie paure, fu sul palco a London in Canada, nel mezzo dell’esecuzione di. La loro fu una storia travagliata, di dolore, clandestinità degli inizi, quando entrambi viaggiavano insieme in tour ma erano sposati con altre persone. Il forte legame fra loro li rese capaci di affrontare ogni ostacolo, ogni abisso profondo di depressione e sofferenza. June fu l’ancora di salvezza alla quale Johnny si aggrappò per l’intera sua esistenza.
Un’esistenza segnata fin da bambino dalla tragica morte dell’adorato fratello Jack : un dolore che non abbandonò mai l’animo dell’artista e che minò per lungo tempo il suo rapporto col padre, che lo riteneva in qualche modo responsabile del fatale incidente.
June fu la donna che tentò più volte di rinsaldare il legame di Cash con la fede. Un rapporto contraddittorio e controverso. Sempre cercato dall’uomo, ma segnato da promesse sempre disattese, per la vita sregolata che condusse per anni, tra dipendenze e arresti per possesso di droghe. La musica Gospel fu una costante. Anche se, spesso, erano i momenti in cui si allontanava dalla fede quelli in cui Cash dava le prove più autentiche nella sua musica, come in I Would Like To See You Again del ’78. L’amore fra Johnny e June li tenne mano nella mano fino alla fine delle loro vite, che attraversarono salvandosi a vicenda, rappresentando l’uno per l’altra l’unico rifugio dalle tempeste.
L’autentica voce dell’America
La carriera di Johnny Cash ha attraversato momenti di gloria e di declino, anche a causa dell’enorme numero di pubblicazioni che le sue storiche case discografiche, Sun e Columbia, hanno immesso sul mercato in una sorta di continua competizione.
La sua vita ha attraversato lunghe crisi esistenziali che hanno influenzato la sua scrittura così come la sua voce, che nel tempo ha incassato i colpi delle pene e degli abusi. Ma tutto questo non ha fatto altro che rendere Cash un uomo autentico e sincero, disperato nel modo di raccontare il proprio paese attraverso le storie di sudore e sangue della sua gente, tra fallimenti e rinascite, perdite e redenzioni. L’autore di un’epica narrativa onesta sull’intera gamma dell’esistenza umana.
Napoli, 7 aprile 2024