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IL TEMPO E LE PAROLE. SPECCHIO DEL PRESENTE
di Luigi Antonio Gambuti

Se qualcuno, domani, volesse raccontare le vicende che nell’oggi si trascorrono, non dovrebbe fare altro che riferirsi a poche solite parole.

Parole che scandiscono il tempo, quasi a raffigurarne le sembianze, oggettivando qualcosa che, immaterialmente, rappresenta la scala di valori che stanno alla base dei nostri comportamenti. Oggi, tempo presente, mai così vivo all’attenzione di coloro i quali per mestiere fanno raccolta di opinioni e le traducono in messaggi divenendo operatori di risveglio e sviluppo di coscienze. Sono tante le parole che racchiudono e significano le ragioni dei comportamenti umani.
Un’anagrafe dei problemi che le parole evocano, potrebbe, da sola, rappresentare il tempo presente per selezionarlo e porlo all’attenzione dei più e dei molti, divenendo oggetto di discussione e di approfondimento.

Una, la politica. Al punto in cui s’è arrivati, la polis, la cura della città, è stata completamente tradita.

Consumata nelle nebbie degli scandali e dei compromessi, nelle alterigie personali (oh! Quante superbie mal poste!) e nelle rivendicazioni fuori luogo perché senza fondamento, sperduta nei corridoi degli eterni e mai schiariti giochetti di potere, una volta nobile arte, trattata con serietà di intenti e messa a servizio di pensieri e di iniziative indirizzati a costruire il bene comune.

Oggi, tempo presente, parola abusata e ripetuta; oggi va ramenga tra i protagonismi di personaggi saliti alla ribalta per demerito di coloro i quali avrebbero dovuto esercitarne la funzione e non l’hanno fatto; oggi la politica si nutre di parole vuote, di slogan senza reale radicamento nella realtà di tutti i giorni; vaga tra populismi e sovranismi, rigurgitati dal ventre sempre molle delle indecisioni; oggi la politica, ridotta a forma di violenza verbale e specchio di ambizioni e protagonismi ,sollecitati dall’anoressia delle decisioni, vive un momento che non promette nulla di buono.

La legge elettorale teste’ approvata induce, così come congegnata, a fare accordi e stilare compromessi , a porre le leve del potere nelle mani di coloro i quali raramente parlano lo stesso linguaggio in ordine ai principi democratici e mettono in campo le stesse azioni per raggiungere gli obiettivi concordati.

C’era indecisione prima e c’è confusione oggi, parole che impongono a chi la esercita, di tracciare compromessi e di aprire ancora una volta -lo vedremo- il recinto del mercato delle vacche.

Un’altra parola, figlia di questo tempo, risuscitata con veemenza da episodi che le cronache ci rappresentano con cadenza quotidiana, la violenza, sta calando i suoi nefasti strumenti in tutti i settori della comunità civile; rapine, stupri -quanti ne vengono narrati, commentati, esposti alla morbosità delle frequentatrici dei salotti televisivi quotidiani- violenze esercitate dai potenti dello spettacolo e dai rappresentanti della chiesa; violenza come habitus delle periferie e delle cosche di ogni quartiere; violenze domestiche che appannano principi secolari di comunità civili; violenze di linguaggio e di comportamenti, che fanno arretrare sui gradini bassi della convivenza civile tantissimi settori della comunità organizzata.

C’è, infine, da dare spazio, nel breve tempo in cui si trascorre questa riflessione, ad un’altra parola, che lo qualifica in senso negativo.

La sconfitta, quella parola che il Devoto-Oli definisce come l’esito negativo di una guerra o di una battaglia, sempre con l’idea di un evento grave o addirittura disastroso come insuccesso di una competizione di qualsiasi natura.

C’è solo l’imbarazzo della scelta per dare corpo a questa parola.

La sconfitta del partito democratico nelle elezioni siciliane; la sconfitta seriale del nostro Benevento nel primo campionato; la inattesa , cocente, insanabile sconfitta della nazionale,l’altra sera, che ci è costata l’esclusione dai campionati del mondo che si terranno in Russia l’anno prossimo venturo.

E’, questa, l’ultima parola che prendiamo in considerazione.

Sono prede di sconfitta l’esercizio della politica intesa come impegno civile a favore della comunità che gli si è affidata: accordi, prestazioni sottotraccia, orfanità morale e tendenza al compromesso; galleggiamento in attesa di aggrapparsi a qualcosa purchessia pur di restare a galla; incertezza delle decisioni e sovraesposizioni di personaggi che mai dovrebbero prendersi cura(?) del bene comune. Sconfitte di futuro, paure del domani, che fanno privilegiare un ritorno inconsueto al passato, visto come un eden mai del tutto consumato.

Basta guardarsi intorno, leggere i giornali e vedere la televisione.

E, per chi è capace, fare capo ai “social “di ogni tipo.

Non c’è niente di nuovo, tutto sembra già visto e rivisto ripetutamente, tutto si aspetta in una sorta di bonaccia prima della tempesta. Spesso vengono fuori arresti, corrotti e corruttori; spesso si sente di voci che fuori dal coro cantano di vittorie che puzzano di marcio, viste le paludi da cui vengono gli odori.

E’ pessimismo il nostro? Definitelo come volete.

E’ la realtà, purtroppo, una parola che, almeno questa volta, abbiamo trattato con significativo rispetto, per non esser presi come menagrami e mistificatori.

Napoli, 18 novembre 2017