ven 22 NOVEMBRE 2024 ore 15.41
Home Cultura Il camice non fa il medico: Il feedback poetico tra medico...

Il camice non fa il medico:

Il feedback poetico tra medico e paziente.

di Giulia Di Nola

E’ noto che, col termine “medicina”, sì come recita qualunque dizionario, s’intende quella scienza che, individuate le malattie, se ne ripropone la cura nonché la prevenzione.

Sappiamo, inoltre, che, agli albori della suddetta arte, non esisteva nessuna condizione empirica affinché essa potesse essere definita scienza, tant’è che, dal nomadismo dei primi aggregati sociali sino all’avvento della sedentarietà, ogni azione terapeutica era autoreferenziale per cui il soggetto malato, investito da un forte senso di solitudine ed emarginazione, s’allontanava o veniva allontanato dal gruppo d’appartenenza in cerca d’un utile rimedio.

Parecchi secoli più tardi, sulla medicina, all’influenza della casta sacerdotale, segue quella filosofica. Questo sino al V sec a. C. quando, Ippocrate di Coo, medico e filosofo, inizia a scinderla, a liberarla sia dalle pratiche magico-religiose-sciamaniche, sia dalle esuberanze intellettualistiche. Il medico cessa d’essere lo stregone di turno e in possesso di un idoneo bagaglio esperienziale, acquisita i connotati dell’indottrinato.

Così, la medicina, assumendo i caratteri della rigorosità metodologica, fuoriesce dalla fase di assoggettamento cui era sottoposta e lentamente va a figurarsi come conoscenza specialistica, rigorosa, precisa: le infermità smettono di avere una eziologia divina avendo, invece, una origine e una causa naturali.

Da questo momento in poi e giungendo ai nostri giorni, l’instancabile ricerca medica, che, oggi, s’è avvalsa altresì della conoscenza ingegneristico-tecnologica, ha condotto a non poche ed eccezionali conquiste. Grazie non solo al miglioramento delle condizioni economiche, igienico-sanitarie e preventive, ad una alimentazione più adeguata e ricca delle popolazioni, alle importanti campagne di profilassi, tanti e grandiosi sono stati i progressi; molte malattie, infatti, si possono dichiarare debellate e a parte qualche business di troppo e qualche irrisoria, diciamo così, compromissione etico-morale da parte dei magnati industriali e di molti gerarchi bianchi, il contributo maggiore è giunto proprio dal settore chimico in collaborazione con quello farmacologico col fine primo ed ultimo di alleviare e circoscrivere, mediante sempre nuovi e stratosferici preparati, le sofferenze umane.

La medicina, quindi, s’è adeguata, nelle diverse epoche, alle continue realtà socio-antropologiche mostrando in tal senso una capacità di adattamento e una plasticità elevatissime e straordinarie. Esiste, però, una costante che accompagna la storia della scienza medica che non sfugge ai nostri occhi attenti, ed è il fatto che un soggetto non può curarsi da solo, a meno che egli stesso non sia medico; abbisogna, per l’appunto, di un medico se vuole dare alle sue infermità delle serie risposte: l’autoreferenzialità iniziale dei primi gruppi sociali ha mostrato la sua tangibile infondatezza. Il rapporto medico/paziente, dunque, essendo un rapporto diadico-empatico, dal sapore antico, come quello tra madre e figlio, si rivela come un percorso, un tragitto delicato, per niente meccanico, di cardinale importanza per chi esercita la professione e per il paziente che affidandosi alle sue cure, confida ciecamente in lui. Oggi, tale rapporto, di attaccamento (mi riferisco a quello tra medico di base e malato), ha subito un’incresciosa involuzione, s’è incrinato e assottigliato a scapito dell’assistito: virtuale nella sua persona fisica, virtuale nelle sue patologie e nelle sue sofferenze, sopraffatto, di nuovo, da un forte senso di abbandono.

Distratti, superficiali, stanchi, scorbutici perché annientati da mille e più interessi, fagocitati dalle loro doppie, triple attività lavorative (ma eternamente insoddisfatti dei loro cospicui profitti), insensibili e poco avvezzi all’ascolto, i medici hanno trasformato questa straordinaria scienza in una tratta di persone umane che, poverine, hanno pochi diritti e troppi doveri da ottemperare tra i quali quelli urgenti di: figurare tra le liste degli assistiti, ma di non ammalarsi, non infastidire il proprio medico, non distoglierlo dalle sue ludiche faccende.

Il Dr Giuseppe Moscati dice:

“Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità.”

Napoli, 10 giugno 2017