Fronte del Porto. Il Terminal c’è ma non si vede.
Fronte del Porto. Il Terminal c’è ma non si vede.
di Carlo Gimmelli
A cinque anni dall’inizio dei lavori e a due mesi dall’inaugurazione il nuovo Terminal per le isole al Molo Beverello resta ancora chiuso.
“Boarding for Capri is this? Really? You crazy!” La bella texana strizzata in micro shorts e t-shirt mi chiede affranta e incredula mentre osserva la lunga teoria di turisti sudati e teleguidati da fameliche guide che li incanalano, come fedeli pastori abruzzesi, lungo la gimkana da Camel Trophy chiamata Molo Beverello.
Un girone infernale, quasi un dazio da pagare, per assaltare il traghetto che li inscatolerà verso l’isola azzurra per un sogno instagrammabile mordi e fuggi di poche ore tra selfie affollati e distratti tour pret a porter per avere l’illusione di una unicità di massa calpestando le viuzze più iconiche del mondo patinato.
E, in effetti, per chi non è napoletano è davvero incomprensibile il suk chiamato Molo Beverello, la rampa di lancio verso le isole auree del Golfo e le perle della costiera sorrentina e amalfitana: un caotico labirinto tra orribili biglietterie in container sgarrupati , improbabili bar, petulanti tassisti abusivi, venditori di cianfrusaglie e, soprattutto, lunghe attese, intruppati sotto lamiere rese roventi dai quaranta gradi percepiti in una delle estati più torride di sempre.
Un flusso di oltre cinque milioni di presenze all’anno , un colata d’oro con troppe falle, frutto di improvvisazione, autogestione e qualche furbetto di troppo, che rischiano di disperdere l’enorme potenzialità turistica di parthenope.
La chicca rivelatrice delle meraviglie di Partheope stuprate dall’inettitudine è rappresentata dal ritrovamento della sorgente della cinquecentesca acqua “suffregna” (sulfurea, cioè ricca di zolfo) del Beverello (dal latino “biberellum”, luogo in cui ci si abbevera) riemersa dal’annoso scavo sul fronte del porto (dove è stato rinvenuto anche un antico molo borbonico); una delle tante sorgenti napoletane di acqua vulcanica con proprietà curative, un tempo a disposizione del popolo (come quella del monte Echia), di cui le navi cisterna spagnole facevano incetta per assicurarle alla Corte di Madrid. Un’altra perla del territorio sotterrata nella dissennata corsa alla cementificazione che, a partire dagli anni cinquanta, sommerse la costa e la spiaggia di Chiaja. Oggi le due uniche fontane di acqua suffregna (una in Piazza Castello, l’altra alle pendici del Chiatamone, sono chiuse o inglobate in anonime proprietà private).
La beffa è lì, a pochi metri, che ricorda quanto spesso amministrazioni ed enti locali siano state del tutto impreparati a gestire col minimo sindacale di accoglienza il nuovo oro di Napoli: il turismo.
Cinque anni di lavori, diciotto milioni di euro diventati ventitre, duemila metri quadrati di fronte al Maschio Angioino: slot biglietterie, collegamento wi-fi, bar, toilette, tavola calda, aria condizionata, posti a sedere, collegamento diretto sotterraneo con la stazione metro, terrazza panoramica vista porto, castello e Piazza Municipio.
Il nuovo terminal stilizzato, panoramico e multifunzionale, inaugurato il 29 luglio, dopo una visita lampo del ministro Salvini accolto da Manfredi in versione Sor Pampurio, è ancora oggi chiuso al pubblico e non operativo: l’inaugurazione alla napoletana, manco a dirlo, ha reso fruibile solo la passeggiata panoramica sovrastante la struttura, buona solo per le foto ricordo.
Il resto, a nostra domanda, rinviato genericamente ad ottobre (forse) quando l’assalto dei visitatori dovrebbe fisiologicamente normalizzarsi e consentire l’inizio dell’attività.
Uno stillicidio cominciato a fine maggio con la consegna del manufatto e l’inizio del balletto delle competenze e della gara di appalto per la gestione affidata ad una società che raggruppa i maggiori vettori per le Isole (non potevano pensarci prima?), poi le lungaggini burocratiche tra certificati antimafia, studio dei flussi turistici (?), contratti per le utenze: risultato? Ad oggi l’avveniristica biglietteria è ancora chiusa, guardata a vista da zelanti e improvvisati rangers che vietano (inutilmente) anche di scattare foto e di avvicinarsi alla struttura.
Il mistero continua.
Napoli, 1 ottobre 2024