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 I francescani nel 1200 avevano già individuato i meccanismi dell’economia di mercato

di Martina Tafuro

 

“La regola e la vita dei frati è questa,
cioè vivere in obbedienza, in castità
e senza nulla di proprio”

 

 

I seguaci di Francesco inventano il convento, l’opposto del monastero.

Con venire, questo luogo rivoluzionario è aperto a tutti.

economia francescana

Nasce l’economia di mercato, bellezza!

Il sogno sognato del figlio di Pietro di Bernardone è far sì che la ricchezza sia partecipata, affinché la relazionalità sociale, il contatto umano, insomma, la fraternità sia la forza motrice per riscoprire la realtà vera del mondo che ci circonda.

Non ho nessuna paura a dirlo: “Francesco d’Assisi, è stato l’anticipatore dell’economia di mercato”.

Furono i frati francescani, infatti, che nel ‘400 fondarono le prime istituzioni finanziarie senza scopo di lucro (sine merito).

Sine merito, significa senza merito.

Questo era il titolo con cui tra Medioevo e Modernità venivano appellati i Monti di Pietà, primitive banche popolari create e promosse dai Francescani dell’Osservanza.

Da un punto di vista storico, possiamo dire che in campo finanziario, queste istituzioni sono all’origine della tradizione della finanza popolare e sociale italiana ed europea.

Insomma, quella economica, è parte pregnante della rivoluzione di Francesco, quando scelse come sua forma di vita il Vangelo.

La povertà francescana è una povertà comunitaria, né le persone, tanto meno i conventi dovevano possedere alcuna ricchezza o bene.

“La regola e la vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire l’insegnamento e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo”, recitano le Fonti Francescane.

economia francescana

Il seme, ormai, era stato lasciato cadere nel solco dopo l’aratura e aspettava solo di essere fecondato.

Questo avvenne, tra gli altri, con Pietro di Giovanni Olivi, che fu il vero ideatore della teoria soggettiva del valore e San Bernardino da Siena, il quale, oltre a fornire un’ analisi delle virtù e della funzione dell’imprenditore, riportò in auge la teoria soggettiva del valore sviluppata da Olivi, dopo circa due secoli.

Siamo nel tempo del medioevo cristiano ed è qui che prendono forma concetti come valore soggettivo, circolazione della ricchezzatesaurizzazione della ricchezzainteresse legittimo e illegittimo.

I francescani inventano l’economia di mercato per cercare una soluzione alla domanda pressante sull’imbarazzo della ricchezza.

I monaci cistercensi avevano questo problema, perché accumulavano ricchezza nei loro monasteri, ma non riuscivano a farla circolare, soprattutto in presenza della miseria che vedevano all’esterno.

I seguaci di Francesco inventano il convento, l’opposto del monastero, come luogo aperto a tutti, costruito nelle città.

I teologi e i giuristi francescani lottarono strenuamente per convincere l’apparato della Chiesa che vivere senza nulla possedere, neanche i beni necessari per nutrirsi, fosse possibile.

“Come il cavallo ha l’uso di fatto ma non la proprietà dell’avena che mangia, così il religioso ha il semplice uso di fatto del pane, del vino e delle vesti”, scriveva un altro francescano: Bonagrazia da Bergamo (1265-1340).

Luigino Bruni, economista, docente alla Lumsa, tra i promotori delle esperienze di economia di comunione in Italia, scrive:

…Francesco passò per la cruna non perché allargò l’orifizio dell’ago ma perché ridusse il “cammello”, fino a renderlo sottilissimo. “Beati i poveri” divenne la loro felicità desiderata e bramata: “Oh ignota ricchezza! Oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace” (Paradiso, XI, 84).

Solo Dante poteva racchiudere in un solo verso il paradiso di Francesco…”.

economia francescana

Tornando con i piedi per terra, però, dobbiamo evidenziare che il rivoluzionario esperimento tentato dai frati, di scindere la proprietà dei beni dal loro uso non ebbe poi tanto successo.

Papa Giovanni XXII, nel 1322, decretò l’impossibilità, per i frati, ad avere accesso al solo uso dei beni.

Ma, rettificando Niccolò III, suo predecessore, attribuì all’ordine la sola proprietà dei beni che usavano.

L’esperienza che stiamo vivendo, con molto sacrificio, ci faccia almeno capire che questa è l’era dei beni comuni.

È, quantomeno indispensabile, re/imparare a utilizzare i beni senza esserne padroni.

Ci serve l’arte di Francesco di apprendere l’uso senza proprietà.

E’ questo il tempo del sine proprio, dove tutte le distopie distorte di questo necrocapitalismo devono essere abbattute in nome e per conto del ritorno al tempo dei beni comuni.

L’oikonomia della scommessa del patto francescano libererà (e salverà) noi stessi e la Terra.

 

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Napoli, 8 aprile 2020