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Fate i buoni, se potete
di
Enrico Tomaselli

 

Come cantava il poeta Dalla, “l’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va”…
Naturalmente, qualcosa è un eufemismo, in questo caso. Non hanno fatto in tempo a sopirsi gli entusiasmi per un articolo sul New York Times *, in cui l’autrice si confessava sedotta da Napoli ancor più che da Roma, Firenze o Venezia (“ritengo che è la grossolana, squallida e leggermente minacciosa Napoli ad essere una delle città più romantiche del mondo”), che ti arriva Le Monde ** a dare una bella mazzata: con un titolo-calembour, torna a descriverci come il luogo della monnezza.
Come sempre accade, quando si ragiona sulle cose con spirito pregiudiziale – e che sia pro o contro poco cambia – si finisce col perdere di vista il senso dei fatti. Per i sostenitori del Sindaco, gli ultimi alfieri della rivoluzione arancione, gli ottimisti ad oltranza, il bicchiere è mezzo pieno. Non si è potuto far tutto, ma considerando lo sfacelo ereditato, e tutti gli ostacoli incontrati, meglio non si poteva. Per gli avversari di De Magistris, gli insofferenti della retorica arancione, i delusi ed i rassegnati, il bicchiere è mezzo vuoto. Lo scarto tra ciò di cui la città ha bisogno e ciò che è stato fatto, è troppo grande, così come quello tra le promesse fatte e quelle mantenute.
Rimane il fatto che questo benedetto bicchiere contiene si e no la metà della sua capacità. Comunque lo si giudichi, quale che sia l’opinione che ci si forma in merito, questa è la realtà.
Napoli, semplicemente, galleggia. Sta lì, in balia di eventi su cui sembra non avere alcun controllo, sopravvivendo giorno dopo giorno. Sembra essere in mano ad un amministratore di condominio, più che avere una guida. Perché questa, ovviamente, presuppone una direzione di marcia. Cosa di cui, invece, la città è del tutto priva.

Se potete…
“Bisogna dare un valore alto e altro alla cultura e riconsegnare un senso di futuro”, dice Antonio Presti in un intervista ad Exibart ***. Ma questo senso dobbiamo darcelo noi, costruirlo giorno dopo giorno; non possiamo (più) aspettarcelo da questa classe dirigente. Perché, come aggiunge il patron di Fiumara d’Arte, “attualmente siamo in una fase dove il panorama culturale è stato violentato in tutto il Paese da una prassi scellerata e bassa”.
La distanza che separa le classi dirigenti del paese da un sano modello culturale – per tacere d’altro – è abissale, e non c’è alcuna speranza che queste possano colmarlo di propria sponte. Occorre forzare la mano. Costringerle ad assumere un diverso orizzonte nel rapporto tra società e cultura. Né basti credere che un rinnovamento generazionale, che pure è urgente, risolva da sé questo problema. Senza noi cittadini/e, non cambierà la politica. Senza gli operatori culturali, tutti, non cambieranno le politiche culturali.
Non si tratta più di chiedere, ma di imporre. Con la forza del fare. Cominciando (o ri-cominciando) a costruire con una prospettiva non meramente soggettiva, lavorando con uno sguardo al medio e lungo termine, imparando anche a dire dei no. Uscendo dalle piccole logiche assessoriali, dalla ricerca del buon contatto, la difesa dell’orticello…
Come dice Philippe Daverio ****, “l’Italia rinascimentale si fondava sul cosmopolitismo, noi oggi esistiamo sul provincialismo, siamo l’opposto”.
Non c’è speranza, se non abbiamo noi speranza. Non ci arriverà da altri. Ma non si tratta di attendere l’avvento di una nuova stagione, magari sotto la guida illuminata di un nuovo leader. Non siamo la Corea del Nord, non ci serve un caro leader a cui affidarsi – e poi, l’abbiamo più volte sperimentato, e con quali risultati lo sappiamo bene. Un uomo solo al comando, anche il migliore, non può che far danni.
Dobbiamo partecipare. Colmare la distanza tra cittadini ed istituzioni, far sì che i primi si riapproprino delle seconde.
Il ruolo dell’arte e della cultura, in questo, è fondamentale. Noi e loro dobbiamo tornare protagonisti della vita pubblica. Usciamo dalle nostre nicchie, guardiamo al mondo – senza invidia e senza paura – condividiamo esperienze.
Il 2013, l’anno del Forum Universale delle Culture, si conclude senza che di questo si abbia altra notizia che i penosi balbettii di un’amministrazione senza idee e senza capacità. Un’anno vergognoso.
“L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando è questa la novità”.

Ai miei lettori, l’augurio che il nuovo anno ci ritrovi tutti più determinati.

* Rachel Donadio, Seduced by Naples,
** Philippe Ridet, Naples, la poubelle de l’Italie,
*** Il costo della bellezza,
**** Silvia Bardi, Intervista a Philippe Daverio

22/12/2013

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