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Esterno Notte… Il 16 Marzo che Cambiò l’Italia.
di Carlo Gimmelli

Avevo 8 anni quando quel Giovedì 16 marzo avvertii nel passo veloce e nervoso di mia madre che da scuola mi riportava a casa che c’era qualcosa di “grande” nell’aria, intorno alla stazione ferroviaria una continua teoria di sirene di “pantere” e “gazzelle” assordava il nostro percorso.

Era quasi eccitante quella situazione insolita, non ci fermammo come d’abitudine dal giornalaio a comprare quelle 200 lire quotidiane di figurine Panini e allora sbottai d’impulso: “Mamma, hanno ucciso Andreotti?”, avevo orecchiato qualcosa a scuola ma tutto era confuso, mia madre era abituata, più o meno, a sentirmi sproloquiare di argomenti da adulti, a casa mia i quotidiani erano spesso in giro ed aveva assecondato presto la mia curiosità di leggere qualsiasi cosa mi capitasse tra le mani; Andreotti era l’unico politico di cui conoscevo distrattamente il nome e il volto e mi parve naturale collegare quell’atmosfera surreale con gli elicotteri che volteggiavano sulle nostre teste con un qualcosa di “grande” che però non mi era chiaro del tutto.

Mia madre, quasi rassegnata a quel dialogo: “Carlo, andiamo a casa, hanno rapito Aldo Moro” : non replicai, ricordo nitidamente solo che mi piaceva pensare fosse un amico di Andreotti; una volta a casa divorai quel giornale in edizione straordinaria che mio nonno ci aveva fatto recapitare tramite un fattorino.

Quel 16 marzo e tutto ciò che accadde dopo fu il mio primo ricordo “politico” e seguii con testarda curiosità infantile quasi tutte le fasi di quei tragici ma per me eccitanti 55 giorni e quando il 9 maggio ne lessi l’epilogo fatale mi ritrovai nei peggiori incubi notturni (che spesso accompagnavano le mie notti) quel povero corpo rannicchiato in una anonima e iconica Renault 4 rossa.

Di quegli anni ricordo i discorsi degli adulti e la parola ricorrente in casa era “i terroristi”, c’era un clima violento anche a Napoli, gli scontri tra rossi e neri erano frequentissimi, specie nella zona universitaria e al Vomero, in quegli anni trascorrevo lunghi periodi da mia nonna materna in Piazza Vanvitelli, austera e severissima francese trapiantata a Napoli che impediva fisicamente ai miei cugini “grandi” ormai ventenni di andare in giro di sera per evitare le ronde armate dei “rossi” a caccia di borghesi da bastonare.

Dopo 44 anni, nel paese degli eterni segreti di Stato, torna d’attualità una delle pagine più nere e irrisolte della storia repubblicana, la Rai ripropone Esterno notte, film di Marco Bellocchio sul caso Moro, uscito nelle sale a maggio: un nuovo punto di vista del regista con l’obiettivo puntato su chi realmente ha condannato il Presidente della DC che aprì la strada del governo ai comunisti.

L’affaire Moro, è stato un colossale cocktail di violenza, ipocrisia, poteri deviati, depistaggi, massoneria, ingerenza straniera, e la verità probabilmente non si saprà mai o forse è quella che molti sanno da anni.

L’opera di Bellocchio sposta l’attenzione sui giochi di potere che ruotano intorno all’atto criminale, le Brigate Rosse vengono viste come comprimari e Utili Idiota di un progetto politico che aveva valutato fin dall’inizio le ipotesi di un Aldo Moro vivo o un Aldo Moro morto: intorno ruotano tutti i potenti del tempo con il tratteggio dettagliato della psicologia, le azioni, i doppi giochi, l’amicizia, la ragion di stato, il cinismo, la convenienza, la doppiezza.

Ne viene fuori un desolante affresco della sottomissione italiana alla Realpolitik americana, ai più conveniva assecondare la morte dello statista che aveva aperto la strada al compromesso storico, Moro “doveva morire”, conveniva a tutti meno che ai terroristi che, forse, ebbero agli occhi del condannato meno cinismo dei suoi “amici” politici.

E’ innegabile che le B.R. abbiano firmato l’inizio della fine proprio con l’omicidio Moro, e i capi più lungimiranti, quelli con l’istinto politico, erano contrari all’esecuzione della “condanna a morte”, al contrario un Moro lasciato vivo sarebbe stato una mina vagante per la DC, per gli U.S.A. , per l’Europa che aveva attenzionato da tempo la politica estera dello statista per la sua “apertura” al mondo arabo e, soprattutto, alla causa Palestinese; l’Italia di Moro guardava con sempre crescente attenzione ad una ipotesi di un centro economico del Mediterraneo con i paesi del medio Oriente, la Tunisia e la Libia e l’asse Inghilterra, Francia, Germania e U.S.A. volevano di fatto “commissariare” il governo italiano, pericolosamente vicino al P.C.I. , il più ricco e potente partito comunista occidentale, non escludendo un
intervento dei servizi segreti deviati, avvicinati, dalla C.I.A. per un colpo di stato militare o un atto terroristico destabilizzante affidato ad una organizzazione sovversiva appoggiata dall’esterno.

Tonnellate di volumi, decine di lungometraggi e commissioni d’inchiesta hanno tentato di decifrare e raccontare ciò che la verità di Stato ha sigillato per decenni: la verità ufficiale è racchiusa nelle memorie, confuse e contraddittorie di Mario Moretti, il killer, colui che si è sempre autoaccusato della esecuzione materiale pur non descrivendo nello specifico i dettagli degli ultimi istanti di vita di Moro o lasciando dubbi mai realmente approfonditi: perché Moro fu finito con una mitraglietta Skorpion dopo l’inceppamento della pistola, in un baule di una Renault 4 in un garage seminterrato con libero accesso condominiale e non più “comodamente” nella sua prigione? Perché correre questo rischio?

Perché fu inscenato il ritrovamento in Via Caetani a pochi passi dalla simbolica Via delle Botteghe Oscure, sede del PCI, nel centro storico di una città militarizzata?

Una storiaccia piena di omissioni, indagini sbagliate, lacunose e contraddittorie, indirizzate artatamente altrove incardinate con altre fatte in buona fede ma piene di cialtronate.

Il magistrato Imposimato, ai tempi, giudice istruttore del processo Moro, in una intervista si dichiarò convinto che la morte del Presidente Moro fosse stata avallata da Andreotti e dall’allievo Cossiga; pur non volendo sostenere la teoria del complottismo è una verità giudiziaria acclarata che Andreotti fu considerato, con sentenze definitiva, in rapporti strutturali con la mafia almeno fino al 1980 e che Moro nel suo memoriale ne facesse esplicito riferimento nell’interrogatorio cui lo sottoposero i brigatisti e rinvenuto nella famose bobine trovate per caso nel 1990 in un ex covo B.R. già perquisito 12 anni prima (!)

Nel paese dei grandi misteri insoluti e della cultura del retrobottega, il silenzio di Stato sul ruolo dei servizi segreti infiltrati nella organizzazione e, soprattutto, sulla improbabile eccezionale preparazione militare dei “brigatisti” durante l’agguato di via Fani: 5 uomini uccisi in trenta secondi, una tempesta di proiettili su più fronti, contro due auto e Moro miracolosamente indenne: c’erano dei tiratori scelti? la presenza in zona, in quei minuti, del colonnello Guglielmi capo del SISMI, mai chiarita del tutto.

Successivamente uno dei capi storici e ideologo delle B.R. , Alberto Franceschini, sosterrà che quella operazione militare non era alla portata dei brigatisti e, forse, solo Morucci e Moretti avevano un minimo di preparazione di tecnica d’assalto; era ipotizzabile una “copertura”, una protezione alta che avrebbe garantito comunque una via di fuga.

Il percorso scelto dai brigatisti per la fuga e il trasbordo sul furgoncino FIAT 850T era di solito presidiato da auto della Polizia in prossimità delle abitazioni di giudici sotto tutela, quella mattina, casualmente, una emergenza aveva dirottato altrove le pattuglie.

Il mistero della Austin Morris: a pochi metri dall’incrocio di Via Fani con Via Stresa, era parcheggiata una utilitaria Austin Morris, in divieto di sosta e a un metro dal marciapiede, l’auto si rivelerà “fatale per la riuscita dell’azione” (Morucci), la presenza dell’utilitaria impedirà all’autista della Fiat 130 di Moro di disincagliarsi e scappare e permetterà ai brigatisti di sparare sugli agenti di scorta senza possibilità di uscire dall’auto, l’Austin risulterà di proprietà dell’Immobiliare Gradoli (?) fiduciaria dei servizi segreti e proprietaria di appartamenti in Via Gradoli, 96 dove Moro fu segregato prima di essere opportunamente spostato nell’appartamento di Via Montalcini, 55.

Via Gradoli era una strada attenzionata dalla Polizia perché ritrovo abituale di trans che offrivano prestazioni a facoltosi clienti e terroristi, durante il sequestro tutti gli appartamenti furono perquisiti, tranne uno: l’interno 18 dell’ing. Borghi (alias Morucci) che lo aveva affittato: casualità?

Almeno 2 testimoni, un giornalista con abitazione su Via Fani e un ottico, avranno la prontezza di scattare numerose foto durante (?) e subito dopo l’agguato e le consegneranno alla Polizia, i rullini non verranno più ritrovati e si parla anche di altri rullini spariti con primi piani di personaggi legati alla ‘ndrangheta presenti sul posto.

Suggestioni? Fantapolitica?

Forse, sta di fatto che l’azione “perfetta” con cui i brigatisti rapirono e segregarono Moro e le numerose falle che “per caso” non portarono all’identificazione del covo fanno pensare ad una organizzazione che i terroristi non potevano sostenere senza sostanziosi appoggi esterni. Le numerose lettere che scrisse dal “carcere del popolo”,  poche decine rese pubbliche, le altre private indirizzate alla moglie che, tra le righe, facevano trapelare trattative riservate che coinvolsero anche Papa Paolo VI (il Papa raccolse circa dieci miliardi di lire “puliti” da consegnare ai brigatisti, ma il destino di Moro era ormai stato deciso), contenevano pesanti e circostanziate accuse alla DC, che lo statista, conosceva bene e all’azione dura del Governo, nonché velate minacce di rivelare ai terroristi notizie riservate che avrebbero potuto minare la stabilità del Paese.

La verità processuale ha delineato i contorni eversivi dell’assassinio dell’uomo più potente d’Italia, quella non detta, forse, non si saprà mai, probabilmente da questo omicidio che cambiò la storia del Paese , in maniera indipendente, ognuno tentò di trarre vantaggio, tutti colpevoli, nessun colpevole: lasciare Moro libero avrebbe significato la fine della DC.

Ma la fine della Balena Bianca, di fatto sancita da Di Pietro & C., era di fatto già cominciata. Quel 16 marzo, mia madre fu silenziosa tutto il giorno, poi il 9 maggio, per la prima volta la vidi piangere mentre osservavo quel corpo rannicchiato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa.

Napoli, 17 novembre 2022