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Eravamo quattro amici al V.A.R., il Grande Bluff.
di Carlo Gimmelli

Mentre il Napoli scudettato annaspa tra orrori dirigenziali e squadra in disarmo, il Campionato più modesto di sempre è nel caos tra debiti e sospetti…

Le anime belle esultarono agli albori della stagione 2017/18, quando nel pieno del decennio dei nove scudetti consecutivi dei bulimici bianconeri ottenuti più di riffa che di raffa, finalmente la vetero Federazione guidata dal controverso e poi dimissionario Carlo Tavecchio, introdusse nel pallone italico la moviola in campo, inglesizzata in Video Assistant Referee ovvero il (la) V.A.R.

Un segnale definitivo, si disse, per frenare l’emorragia del tifo pulito, per riavvicinare le famiglie e gli amanti del calcio ad un rito collettivo che negli ultimi trenta anni era stato demolito tra avventurieri squattrinati che avevano portato al fallimento storiche società e multinazionali senza volto né anima che ignorano persino il nome di ciò che hanno comprato e soprattutto da veleni e sospetti di un “giuoco” con carte truccate dove ballano miliardi di Euro mentre lo slogan della società più vincente di tutte recita: “Vincere non è importante ma l’unica cosa che conta”.

Già già, e probabilmente non è un caso che l’italico campionato ormai sia considerato il meno attrattivo tra i principali tornei continentali con un mortifero effetto domino scaturito dalla fuga dei danari della Pay TV (salvatore e carnefice allo stesso tempo) che ormai tengono in piedi lo scalcinato baraccone con la quasi totalità delle big dissanguate dai debiti e dai costi monstre e da un livello tecnico forse mai così basso.

Il calcio del Cumenda ricco e fesso che sperpera i danari di famiglia per notorietà e consenso appartiene al bianco e nero, le grandi dinastie italiche hanno da tempo abbandonato il costoso giocattolo alle finanziarie americane e ai fondi sovrani arabi e il gioco si combatte più nelle aule di giustizia che sul prato verde.

La politica di qualsiasi colore ha sempre coccolato il mondo della pedata e, consapevole del ruolo di arma di distrazione di massa e vettore unico di consenso, ha coperto con interessata indulgenza voragini finanziarie da sezione fallimentare, concesso piani di rientro trentennali su colossali esposizioni fiscali, garantendo a quella che viene considerata la terza industria del paese (anche se molti contestano il dato) regole e immunità negate all’industria reale.

La colossale miopia (dolosa?) di media e addetti ai lavori è stata quella di far passare la buona novella che il salvifico V.A.R. sarebbe stato la panacea di tutti i mali del nostro calcio, a partire dalla credibilità: tutto trasparente, tutto specchiato, la discrezionalità e la sudditanza psicologica dell’arbitro ridotta quasi a zero, da dodici a diciotto telecamere ad alta definizione per scrutare anche le intenzioni del calciatore.

Sembrava l’anno zero del pallone nazionale, avrebbe vinto il migliore e stroncato sul nascere le polemiche e gli accordi da retrobottega.

In realtà le avvisaglie si erano avute subito: riunioni carbonare e compromessi per decidere il famigerato “protocollo V.A.R.”, l’ambito in cui l’uomo del monitor poteva correggere l’arbitro in campo e tra limitazioni e distinguo, da subito si capì che il giocattolo era finito nelle solite mani di chi doveva decidere.

E infatti, il mantra ha voluto che proprio il campionato dell’esordio V.A.R., il 2017/2018, forse è stato il più velenoso degli ultimi decenni quando al Napoli della grande bellezza di Mastro Sarri, quello dei 91 punti e dei record stracciati fu strappato un possibile scudetto nella farsesca gara Inter Juventus, dove i Sabaudi in svantaggio per 2 a 1 a pochi minuti dalla fine furono graziati dall’ineffabile arbitro Orsato (premiato poi con la partecipazione ai mondiali in Russia) che a tre metri di distanza non vide l’entrata alla kamikaze del già ammonito juventino Pianjc su un avversario. Mancata espulsione, il V.A.R. muto e i bianconeri in uno strano finale vinsero 3 a 2 contro una arrendevole Inter mentre il Napoli incredulo e inebetito perderà partita e scudetto il giorno dopo a Firenze. Tra i veleni e le feroci polemiche delle settimane successive, sparirono
misteriosamente gli audio della comunicazione tra arbitro di campo e arbitro al monitor richiesti dal giudice sportivo per far luce sullo strano episodio.

La verità inconfessabile è che l’AIA, la potente associazione arbitri controllata dalla federazione, da subito subodorò il pericolo di delegittimazione del ruolo decisivo e discrezionale del direttore di gara e, al di là delle belle intenzioni, cercò di circoscrivere e depotenziare la macchina indicando le linee guida di un protocollo attuativo che è cambiato ogni anno sempre limitato da interpretazioni soggettive, soprattutto su quando e come intervenire, risultato: una babele di interpretazioni diverse e regole cervellotiche e mancata omogeneità di valutazioni che hanno reso il rito della domenica (?) una palla avvelenata.

Esultanze differite di calciatori spaesati che non sanno se festeggiare sotto la curva o rincorrere l’arbitro, gol annullati per mezzo tacchetto di fuorigioco, ma non saprai mai se l’operatore ha staccato l’immagine un nanosecondo prima o dopo, falli di gioco interpretati come omicidi o opere di carità, arbitri che vanno spesso controvoglia al monitor per non ammettere l’errore che gli costerebbe punti di penalità, interventi dalla sala monitor a orologeria, una litania settimanale di vetriolo e accuse reciproche mentre gli abbonati virtuali o reali si danno alla latitanza.

Dopo sette anni il V.A.R. pare ancora in eterna fase sperimentale ma ormai è tardi per tornare indietro, dietro la rivoluzione del grande fratello del pallone un trionfo di investimenti, una sede ipertecnologica a Lissone in Brianza dove si monitorano tutte le gare in programma e un esercito di centinaia di persone tra tecnici e arbitri e il sospetto è che dietro la grande operazione trasparenza le grandi godano sempre e comunque di quella che un tempo si chiamava “sudditanza psicologica”, la frase d’ordinanza è che “nessuno mette in dubbio la buona fede degli arbitri” ma gli orrori e le “sviste” capitano (quasi) sempre a danno delle piccole.

Resta l’amaro in bocca per un movimento di massa che sta allontanando le nuove generazioni e la caustica e intramontabile stoccata di Churchill che nel dopoguerra chiosò:” Strano popolo gli italiani, vanno in guerra come ad una partita di calcio e ad una partita di calcio come in guerra ”.

Napoli, 9 gennaio 2024