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E’  questa l’ora dei Generativi!
di Matteo Tafuro

 

 “Se noi crediamo che l’Homo sapiens europeo vale più dell’Homo oeconomicus
dei mercati finanziari, allora vale la pena impegnarsi nel cammino della transizione ecologica”
.
Gaël Giraud

 

1Siamo finalmente in estate, è l’occasione propizia per assaporare e vivere la gioia della lettura di storie di vita, di persone, di fatti.

Ho ritrovato nella mia biblioteca:”Transizione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera dell’economia”. L’autore Gaël Giraud, che prima di esser gesuita è stato banchiere e conosce di persona il mondo delle Banche centrali, si spinge oltre con questo saggio di economia.

Come in un romanzo giallo, Giraud, indaga partendo dagli indizi, i maledetti subprime, le infestanti cartolarizzazioni, Collateralized Debt Obligations (un’obbligazione che ha come garanzia un debito), identifica le prove nelle scommesse scorrette e disoneste delle banche sulla pelle dei correntisti, cerca il colpevole nella schifosa crisi morale, rintraccia il movente nella mitica legge del più forte.

Dopo tanta suspense ci indica la strada giusta per la nostra società, rattrappita dentro lo schema del paradigma tecnocratico evocato da papa Francesco, che fagocita sempre di più risorse e benessere con meno sforzi, investimenti e partecipazione.1

Transizione ecologica significa una società di beni comuni dove il credito è considerato mezzo e non fine a vantaggio di tutti e benefico per l’ambiente: rinnovamento termico degli edifici, cambi di prassi nella mobilità, tasse più alte per chi inquina.

La transizione ecologica sta ai prossimi decenni come l’invenzione della stampa sta al XV secolo o la rivoluzione industriale al secolo XIX – spiega Giraud – o si riesce a innescare questa transizione e se ne parlerà nei libri di storia; o non si riesce, e forse se ne parlerà fra due generazioni, ma in termini ben diversi!

Il perché è presto detto, Siamo schiavizzati da troppa prepotenza, non sappiamo fare i conti con la nostra impotenza, abbiamo necessità di deponenza.

bimbiE’ questo in sintesi il messaggio che il sociologo Mauro Magatti lancia in: “Prepotenza, Impotenza, Deponenza”.

Il concetto di volontà di potenza, insieme a quello di superuomo e a quello dell’ eterno ritorno, è un tema distintivo della filosofia di Nietzsche, ispirato ad una prospettiva di trasvalutazione di tutti i valori.

Il concetto di trasvalutazione dei valori essenzialmente indica la sostituzione che il superuomo, nel suo superamento della morale degli schiavi (cioè dell’uomo prima della morte di Dio), attua nei confronti appunto della morale inventata da Socrate, Platone ed il Cristianesimo.

Separatore_007Il dilemma del porcospino di Schopenhauer

In una fredda giornata d’inverno un gruppo di porcospini decide di stringersi insieme per trovare calore. Ma, man mano che si avvicinano gli uni gli altri, i porcospini cominciano a pungersi a vicenda. Ecco che allora diventa necessario allontanarsi. Poi provano a stringersi di nuovo per sopportare meglio il freddo, ma ricominciano a pungersi. Con questo breve apologo il filosofo Arthur Schopenhauer riflette sulla difficoltà del vivere in gruppo e di mantenere la giusta distanza nei rapporti con le persone per non ferirsi l’un l’altro. La parte attiva di ogni singolo porcospino deve confrontarsi con quella del vicino, deve venire quindi a patti con la sua parte passiva. In altre parole, per stare al caldo senza pungersi deve imparare a essere deponente.

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4 statoAi valori di Bene, Male, ecc, vengono sostituiti, è questa la trasvalutazione, i valori vitalistici dell’esistenza: salute, forza, vigore fisico ecc.

Quindi per semplificare, dopo la caduta di tutto ciò che è trascendente, rimangono solo i valori legati all’esperienza terrena.

Di per sé la potenza non è negativa, poiché l’emergere della volontà di potenza è il prodotto più importante della storia della libertà e, citando Nietsche, Magatti ricorda che essa è volontà di vita.

Ma questo senso di potenza tende ad espandersi, dandosi sempre nuovi traguardi.

Magatti porta come esempio il fatto che fino a qualche decennio fa era impensabile andare con un treno da Roma a Milano in tre ore, ma adesso che ci riusciamo, desideriamo compierlo in due ore e mezza.

Secondo l’autore, quella tra gli anni settanta e i primi anni del duemila è stata la stagione nella quale l’idea di potenza, ha assunto una forma nuova, che lui definisce tecno-nichilista, in quanto la potenza ha fatto crescere la volontà di potenza e4 la volontà di potenza ha chiamato più potenza.

Una crescita esasperata del senso di potenza, però, porta a degenerazioni altrettanto esasperate.

Il cerchio potenza/volontà di potenza ha portato alla perdita del senso del limite e del senso in generale.

Tant’è vero che, ormai, “la legittimazione di ciò che si può fare e che non si può fare è di tipo tecnico… Culturalmente non riusciamo più a porre una domanda non tecnica su ciò che si può o non si può fare. È la domanda che fa l’adolescente di oggi al padre: “Perché no? Perché non posso?”.

Insomma, ciò che tecnicamente si può fare, si fa…salvo poi scoprirsi schiavi della prepotenza altrui, quella dei figli o quella della finanza che sia, in fondo la dinamica è la stessa.

Perché il problema è proprio questo: non è vero che davanti a noi c’è un’espansione senza limiti; non è vero che c’è una libertà senza limiti; non è vero che abbiamo un potere senza limiti.

Crederlo, ci ha consegnato alla prepotenza, cioè a “un modo di trattare la potenza che prescinde da ogni altra cosa”.

Il prepotente, infatti, “è colui che vive la sua potenza, la sua capacità di fare, di agire, il suo rapporto col mondo, con leggerezza, semplicemente cancellando ogni riferimento all’altro da sé”.

Nello stesso tempo, questo circolo chiuso potenza/volontà di potenza ci ha spinto a cancellare l’impotenza, cioè quella fragilità che è parte basilare della nostra umanità.

3Ci ha disumanizzato, e allora come tornare padroni di noi stessi?

Non possiamo certo rifiutare la potenza, che vuol dire sviluppo, crescita, espansione.

“Piuttosto suggerisco di esplorare a fondo l’idea di deponenza”, scrive Magatti.

Cioè di una potenza che accetta l’esistenza di altre persone, di altri ordini, di altri punti di vista e quindi, accetta dei limiti alla propria libertà. La deponenza “non nega la potenza, soggettiva e sistemica. Ma la mitiga inserendola in una rete di relazioni”.
Quindi “non significa rinuncia alla libertà, all’azione, al desiderio di vita, ma è un semplice atto di riconoscimento: constata che tutte le volte che agiamo, che ci assumiamo responsabilità, tutte le volte che svolgiamo un’azione, che desideriamo qualcosa, che esercitiamo la nostra libertà, siamo debitori di qualcosa che c’era prima di noi, che ci precede, che ci sta attorno, che sta oltre a noi”.

La via d’uscita sta, quindi, nell’idea di deponenza, mutuata dalla grammatica latina, per la quale esistono verbi con forma passiva ma significato attivo.

Insomma per vivere felici vi serve un bel pieno di deponenza, affinchè l’uomo, la tecnica, il linguaggio, la politica, l’economia, la società siano valutati esattamente per quello che sono, cioè insieme.

Nola, 29 giugno 2023