Dio viene e profuma di vita la vita. Ecco la Buona notizia!
Dio viene e profuma di vita la vita. Ecco la Buona notizia!
di frate Valentino Parente
“La buona notizia è una storia
gravida di futuro buono per il mondo,
perché Dio è sempre più vicino,
vicino come un abbraccio.
E profuma di vita la vita”.
Ermes Ronchi
II^ domenica di Avvento Anno B
7 dicembre 2020
Prima lettura (Is 40,1-5.9-11)
Seconda lettura (2Pt 3,8-14)
Vangelo (Mc 1,1-8)
Nella II domenica di avvento iniziamo a leggere il Vangelo secondo Marco dall’inizio.
Marco è l’evangelista che ci accompagna lungo tutto questo anno liturgico.
Domenica scorsa abbiamo letto un brano del discorso escatologico, al cap. 13, adesso, facciamo un passo indietro, per ritornare proprio all’inizio.
Il Vangelo inizia con un titolo scarno, ma preciso, circa l’identità di Gesù: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”.
Segue poi la presentazione di Giovanni il Battista e l’introduzione della figura di Gesù, che si manifesta pubblicamente a Israele, con il racconto del suo battesimo presso il fiume Giordano.
Il primo versetto del vangelo secondo Marco, ha la funzione di titolo:
Inizio del vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio.
Un’apertura piuttosto banale, ma che racchiude in sintesi l’intero Vangelo.
Innanzitutto la parola Inizio.
Può significare l’inizio storico del Vangelo e allora ci riporta al momento in cui Gesù cominciò a predicare il suo Vangelo, cioè intorno al 28 d.C.
Può significare inizio letterario, cioè principio della narrazione, o del libro, che racchiude la predicazione di Gesù, ma può significare anche principio, fondamento.
Il principio non è l’inizio.
L’inizio è il punto nel tempo in cui comincia una cosa,
invece il principio è ciò da cui scaturisce la cosa,
come la sorgente è il principio del fiume,
il sole è principio della luce,
quindi è ciò da cui si origina il resto.
Ogni cosa viene da un principio, cioè ha un’origine.
Con questo inizio Marco ci riporta ad un nuovo “principio”, ad una nuova creazione.
Ci ricorda l’inizio stesso della Bibbia: “In principio Dio creò il cielo e la terra”, ed è come se volesse dirci: qui c’è un nuovo inizio, una nuova creazione, una nuova “bella notizia”, che non è quella che proclama l’imperatore quando nasce il suo erede o quando vince una guerra.
Questo Vangelo non è una notizia, ma è una persona, è Gesù.
È lui l’origine di ogni cosa, perché è l’Unto di Dio, è il Figlio di Dio, da cui tutto proviene.
E veniamo al secondo termine: Vangelo.
Abbiamo accennato sopra che in origine questa parola apparteneva al linguaggio degli imperatori romani; “Se gli evangelisti riprendono questa parola, è perché vogliono dire: quello che gli imperatori, che si fanno passare per dèi, pretendono a torto, qui accade veramente: un messaggio autorevole, che non è solo parola, ma realtà”. (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret).
Passando per il latino evangelium, il termine italiano deriva dal gr. euanghélion ‘buona novella’, composta di eu- ‘bene, buono’ e di un derivato di ánghelos ‘messaggero’.
Esso indica la buona novella destinata a tutti gli uomini.
Più che un messaggio proveniente da Dio, il vangelo è la manifestazione, in Gesù, della presenza e dell’azione di Dio presso gli uomini.
Questa buona notizia, dapprima annunciata e predicata, è stata poi scritta e si è fissata nei quattro vangeli.
E veniamo ad un altro termine fondamentale, Cristo.
Non è, ovviamente, il cognome di Gesù ma un titolo funzionale e vuol dire, letteralmente, colui che è stato unto, che è stato consacrato con una unzione.
Nello specifico indica il Messia, il salvatore atteso in Israele.
E Marco ce lo fa capire lungo tutto il suo vangelo.
Cristo è una affermazione, significa: Gesù è il Cristo, cioè il Messia.
Esso racchiude il segreto di Gesù, la cosa che non doveva essere divulgata alla leggera, pena la sua incomprensione.
Tanto che dopo la professione di fede di Pietro (Tu sei il Cristo), Gesù stesso impone ai discepoli severamente di non parlare di ciò con nessuno (Mc 8,30).
Il motivo di tanta segretezza era che quel titolo, nel modo nuovo con cui lo intendeva Gesù, poteva essere compreso solo dopo la risurrezione.
Ma il vertice della frase è raggiunto solo alla fine, con il titolo Figlio di Dio.
Marco ha posto all’inizio del suo Vangelo un atto di fede: Gesù è il Figlio di Dio!
Ma, in ordine di tempo, fu la scoperta ultima, quella che i discepoli fecero soltanto dopo la Pasqua, alla luce della Pentecoste.
Tuttavia essa è posta qui, all’inizio del Vangelo, per affermare che Gesù era Figlio di Dio già al momento di cominciare la sua missione, anche se gli uomini non erano ancora capaci di riconoscerlo come tale.
Il titolo Figlio di Dio, collocato qui all’inizio del vangelo, ritorna alla fine sulle labbra di un pagano, un ufficiale romano, il quale vedendo morire Gesù in quel modo, disse: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39).
Nel corso del vangelo questo titolo è rivelato da Dio stesso nel battesimo di Gesù (Mc 1,11) e nella trasfigurazione (Mc 9,7), è divulgato dai demoni (Mc 3,11; 5,7) e costituisce il tema della condanna davanti al Sinedrio (Mc 14,61-62).
Ed eccoci al testo. Marco inizia presentando la figura di Giovanni Battista citando un grande teologo poeta, vissuto in esilio e che noi chiamiamo Secondo Isaia.
Durante un momento di depressione da parte del popolo, perché aveva perso tutto, quest’uomo viene incaricato da Dio per consolare il suo popolo, per dire al cuore del popolo di Israele, che è finita la sua schiavitù:
“Una voce grida: Nel deserto preparate la via del Signore”.
Se passiamo alla pagina del vangelo notiamo la stessa espressione ma con una differenza; qui leggiamo: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore”.
Qual è la versione esatta?
Difficile dirlo, perché i testi antichi erano scritti tutti di seguito, senza punteggiatura, né distinzione tra una parola e l’altra, per cui non è chiaro se “una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore”, oppure “la voce grida nel deserto: preparate la via del Signore”.
Nell’uno e nell’altro caso possiamo cogliere un forte invito da parte di Dio.
Prepararci all’incontro del Signore che viene, spianando nel deserto delle nostre vite un sentiero, una strada che faciliti l’incontro, attraverso l’amore e la misericordia, sforzandoci di non essere più sordi alle sue parole, ma di permettere al deserto della nostra vita di germogliare e portare frutto.
Tutto ciò nella convinzione che il Signore apre sentieri anche nel deserto, offre la possibilità al suo popolo di realizzare le promesse, in un modo straordinario e nuovo.
Difatti poi Giovanni predicherà nel deserto di Giuda, in una zona disabitata, proprio per annunciare come, anche in quella situazione brulla e arida, il Signore interviene con la potenza della sua grazia e della sua misericordia.
Nola, 5 dicembre 2020