Del Conformismo e del Rischio che si Corre
Del Conformismo e del Rischio che si Corre
di Luigi Antonio Gambuti
Tante e di diversa natura sono le cose che potremmo approfondire per quest’ appuntamento quindicinale.
Il panta rei, tutto scorre, di Eraclito, filosofo di Efeso, ci porta a rincorrere gli eventi per acchiappare al volo qualche frammento significativo del presente, per situarci nel tempo e nello spazio del nostro recinto quotidiano. Piuttosto da spettatori che da protagonisti.
Che c’è, oggi, sulla lavagna della cronaca, per riportarne i segni e coglierne le voci?
Si è freschi del fallimento del referendum sulle trivellazioni in alto mare. L’86% dei votanti si è espresso a favore della sospensione. Non sono bastati questi voti per imporre ai governanti vie alternative per l’approvvigionamento energetico del Paese. Per Renzi ha vinto chi lavora-e gli altri che fanno, allora?- ed ha rimesso la bufala in sordina in attesa di affrontare quella autunnale, quando si tratterà di votare il referendum sulla riforma costituzionale.
Ancora tante le vicende che hanno tormentato chi di tormenti è già investito pesantemente per un presente che si fa sempre più difficile, vista la consuetudine ad assimilare, giorno dopo giorno, i veleni di un disagio permanente, frutto di una realtà contaminata da violenza e indifferenza, da una economia “strutturale”che fa povera la gente, anche quella che per lungo tempo ha vissuto decentemente la sua condizione di classe media, titolare di una borghesia cha va man mano scomparendo.
La disoccupazione che permane prepotente (il job act ha fatto poco quanto niente, stante il permanere delle cifre a doppio zero di coloro i quali cerano lavoro); c’è un lavoro precario e precarizzante che quando c’è, te lo devi tenere stretto nell’osservanza più assoluta delle regole dettate dai padroni; la corruzione dilagante che tocca incliti e villani e mette alla gogna sentimenti (?) che sporcano rappresentanti di governo; l’esecuzione mafiosa dello Stato sui nostri teleschermi mallevata da un vespapotere che non si riesce a contenere; la triste vicenda del giovane Regeni,la ricorrente furia omicida della terra che semina morte in Ecuador e nel Giappone; la misteriosa nave madre che non si riesce ad abbordare (ma dove naviga?) con nel ventre nero miserie umane in fuga dalla fame e dalla guerra, persone che “fuggono portandosi la vita come bottino”; i muri dei cosiddetti paesi civili e il grido di dolore di Francesco che da buon pontefice auspica e reclama ponti e non barriere; la sequela infame delle quattro i (sì, della vocale i) che ha spento i sogni dei napoletani appassionati di pallone.
Irrati, Icardi e l’ira di Higuain hanno distrutto quello che per molti era l’antidoto alla noia, se non proprio una ragione per tirare avanti con la vita.
Ci mancava l’ennesimo attentato alle sorti della Scuola (s maiuscola!) con il concorsone appena licenziato, là dove si prefigura un accesso di persone selezionate chissà come, per una scuola che di buono ne ha poco da vantare. E la politica, bla bla bla, si recita il solito copione, si cambiano e rovesciano scenari; si rivede il redivivo Berlusconi, si ascolta e si contesta il veleno di un Salvini; si assiste ai dem e ai dema napoletani che giocano a rimpiattino con Bagnoli e le elezioni, le solite manfrine, le solite parole, le solite sequele. E quel che è peggio, le solite puntuali discussioni sul niente che ne viene, sul sistema del tira a campare e del togliti davanti, che devo passare. Questo, tanto per dire.
Tutto questo è parte dell’affanno quotidiano. E’ il calendario che scorre sotto gli occhi di tutti, anche di coloro i quali non vorrebbero vedere, non vorrebbero sentire, non vorrebbero parlare. Ma sta montando, a nostro avviso, e si sta implementando nel vissuto quotidiano, un’esperienza dannosa che , se non rimossa, determinerà la fine del confronto, della passione per l’impegno , della voglia di partecipare.
Cose che, per dirla breve, rappresentano il sale della democrazia.
C’è, quindi, il rischio che tutti questi accadimenti, le morti, le stragi, gli occhi allucinati, le mani dei bambini annaspanti nel mare fisico e morale dei padroni del mondo; i proclami e le sentenze; le mozioni di sfiducia ricorrenti (siamo a 31!); le raguse e le piscaglie; la “barbarie giustizialista” (ma non era questo il lamento berlusconiano?); le meraviglie posticce e i rituali gattopardeschi; le belle parole del presidente quattrovolteventi; la sessualità capovolta e spudorata issata a bandiera di una libertà incondizionata; c’è il rischio, non troppo latente, che tutto si assorba e che non lasci segno, nel senso che quel niente divenga pane quotidiano snaturando, di fatto, la natura dell’essere persona autonoma, originale, capace, come si dice, di intendere e di volere. E di scegliere e votare.
Il tutto nell’omologazione più dannosa, nel compiacimento generale di un conformismo esasperato -tutti a seguire la corrente prevalente- senza più pensiero, senza più voglia di cambiare.
Napoli, 25 aprile 2016