Dal Lanciafiamme di Renzi al Cerino di Bassolino.
Dal Lanciafiamme di Renzi al Cerino di Bassolino.
di Luigi Antonio Gambuti
Cosa farebbe mai il cerino di Antonio Bassolino, il vecchio leone afragolese.
Riferendosi a Renzi che baldanzosamente disse, prima dell’esito infausto del referendum costituzionale, che al sud per certi politici sarebbe stato necessario usare il lanciafiamme, Bassolino mette sul tappeto le sue considerazioni e non fa sconti a nessuno.
Men che mai alla classe dirigente napoletana, attorcigliata, a suo dire, attorno ad un vuoto assoluto di idee, più disposta a servire che a progettare. E ne descrive, con infinita tristezza, la condizione di patologica sofferenza, quasi da “sala di rianimazione”, per un partito che una volta fu il più grande partito dei lavoratori e che purtroppo non ha saputo orientarsi alla modernità e alle richieste che questa pone sul tappeto. Tra il cerino di Bassolino, almeno per dare segno che qualcosa vive nel partito -si tratta del Partito Democratico, l’unico che può chiamarsi tale, si capisce- e il lanciafiamme di Renzi, molta acqua è passata sotto i ponti della politica italiana, molti panni si sono sciacquati in Arno e molti “pontefici” hanno visto deporre i turiboli e ricacciati nelle ombre scure della loro scarsa rappresentatività.
Si fanno nomi? Non ce ne è bisogno.
La caduta di Matteo Renzi, infausta, infelice, azzardata, catastrofica per il soggetto e i suoi sostenitori, ha determinato quella condizione di instabilità che, se fa comodo ad una classe politica incapace di essere protagonista del tempo ed attenta alla storia, sta rovinando definitivamente il sistema paese. Siamo testimoni di una situazione di perenne attesa, un’ attesa che fa prefigurare qualcosa di nuovo per le sorti di coloro i quali si aspettano di essere considerati titolari di diritti civilmente e socialmente riconosciuti; siamo come anime vaghe che brancolano nel buio pesto di un’atmosfera rarefatta, nutrita da piccole cose, legata a questioni lontane dalla vita vera della popolazione, uno stantìo sapore di salotto.
Ci stiamo, e nuovamente, incagliando nelle ormai insopportabili faccende della legge elettorale.
Faccende cosi come altre volte le abbiamo definite, che toccano le posizioni di “lorsignori”,del modo di accedere alle stanze dei bottoni, di come e quando prepararsi per accedere al potere.
Ne leggiamo e sentiamo di tutte.
E di ogni.
E siamo portati a sopportare l’attesa dell’evento, sia esso il congresso del Partito Democratico, sia la rinascita dell’aggregato arcoriano, sia la composizione appiccicata di una destra centro o viceversa, che vive solo perché c’è l’ incapacità degli altri di farla fuori a calci nel sedere.
Nel mentre l’Europa ci minaccia di sanzioni, la Merkel disegna un’Europa divisa in due tronconi; Trump fa coppia con Putin e la Cina si appresta a diventare il padrone del mondo, noi beatamente e da beoti ci deliziamo con le canzoni di Sanremo – oh, quanta vergogna dovremmo avere davanti al mondo intero, per i compensi erogati! – ci accorgiamo che sempre a sua insaputa fanno le assicurazioni alla sindaca di Roma, a sua insaputa si candidano nelle liste in appoggio alla Valente, così come a Scajola fu fatto, a sua insaputa, il regalo di una casa.
E la storia si ripete.
Mai che qualcuno, a nostra insaputa, prendesse lo scudiscio -democratico, si capisce - e facesse fuori quella banda di malfattori che vive di politica e solo di politica, che ne traccia il destino, ne corrompe gli ideali, ne consuma forze e capitali.
Ma si stava meglio prima, nel periodo breve ma intenso del governo renziano?
Domanda forte che meriterebbe ben altro spazio e cultura di risposta.
Per chi scrive, non sempre proclive ad apprezzare il presidente quattrovolteventi, quel periodo, facendo la tara degli errori commessi (vedi la storia delle banche popolari!) è stato un momento di forte partecipazione politica, nel senso che tutti si sono interessati a capirci qualcosa, a seguire gli eventi, a criticare ed apprezzare e infine a sperare che qualche cambiamento reale potesse avvenire per modernizzare le sorti e le aspettative del Paese.
C’era, come si dice, un certo palese interesse per la politica “politicata”, non fosse altro che per la costante quotidiana presenza del Presidente del Consiglio sui social media, bello da vedere, piacevole da ascoltare, sempre solido e sicuro nelle sue proposte di governo.
Tante ne ha fatte e lanciate nel futuro, tante ne ha azzeccate , così come tante ne ha sbagliate. La storia darà le risposte a queste mie modeste considerazioni.
Oggi è diverso, tutto diverso.
C’è un’ atmosfera soft nei paludati ambulacri romani; c’è un silenzio ‘premonitore di chissà quale botto stia per esplodere nei corridoi della discussione politica; c’è la guerra fratricida tra coloro i quali, privi d’una guida sicura e convinta per tutto quello che faceva, si sforzano di mettere in campo nuove prospettive e nuovi indirizzi operativi. Oggi dobbiamo registrare la nascita di nuove aggregazioni e movimenti, specialmente nel Partito Democratico, orfano di un potere che, comunque, dettava la linea e la sosteneva; nuove aggregazioni e posizioni che mirano a conquistare spazi e poteri, specialmente nelle regioni meridionali del Paese.
Ne sono testimonianza le iniziative di D’Alema che ha fondato un nuovo progetto culturale – poi sfocerà in prodotto politico -per un nuovo centrosinistra denominato conSenso; ci sono le due “cose”attraverso le quali il Sud spera di avere peso nell’imminente futuro elettorale di De Luca e di Emiliano; ci sono movimenti che dalla Sicilia di Crocetta si aprono alla Calabria e alla Lucania, c’è tutto un darsi da fare per rifondare – è nelle prospettive di tutti – un nuovo partito di sinistra più vicino ai problemi della gente e più attento ai principi, così li chiamano, del cattolicesimo democratico e del riformismo socialista, portatori di valori storicamente consolidati.
Si ricomincia daccapo, come si vede, tra notabili e cacicchi, risuscitati dopo la botta referendaria.
Si riapre il sipario per la consueta, ennesima commedia.
Qualcuno del loggione potrebbe dire: per tutto ciò che avete combinato e per gli errori commessi non serve il cerino di Bassolino, né il lanciafiamme di Renzi. Per tutti converrebbe, come momento catartico,v estire il mantello tibetano e darsi fuoco. Virtualmente, si capisce!
P.S.
“Guai a chi è solo, vae soli, dice la Sacra Scrittura…è difficile rompere la corda formata da un triplice filo, funiculus triplex difficile rumpitur”.
Così Mons. Bonazzi, Arcivescovo di Benevento, nel discorso di apertura del 1°Congresso delle sezioni meridionali della gioventù cattolica italiana , tenutosi nella capitale del Sannio nel lontano mese di aprile del 1908.
A distanza di 108 anni, quell’esortazione resta di forte attualità, specialmente se rivolta al Partito Democratico. L’unione fa la forza, la divisione indebolisce. Per affrontare e risolvere la crisi “storica” del Mezzogiorno d’Italia bisogna rispondere alle sfide del Paese come un corpo solo, con lo stesso condiviso obiettivo. Ci pensino i De Luca, i Pittella, gli Emiliano e i Crocetta, impegnati a creare nuovi schieramenti.
La divisione indebolisce. Lo ha capito il Cardinale Sepe che ha convocato i vescovi del Mezzogiorno per riaffermare, dopo più di un secolo, il primato della Chiesa nella cura religiosa, sociale e civile dei suoi fedeli.
Napoli, 13 febbraio 2017