Cosa succede se non fermiamo il riscaldamento globale. I maremoti e il relativo rischio.
Cosa succede se non fermiamo il riscaldamento globale. I maremoti e il relativo rischio.
di Pasquale Falco
“Siamo la prima generazione che ha un’idea
chiara dell’impatto dei cambiamenti climatici,
ma siamo anche l’ultima che può agire
per salvare il pianeta!”
“La terra ha le ore contate”. Quante volte abbiamo sentito dire questa frase? Tantissime volte. Eppure quasi nessuno, nella vita di tutti i giorni da un fattivo contributo per rallentare questo lento processo di autodistruzione verso cui l’umanità va a passo sempre più veloce. Il 27 marzo scorso, è stata celebrata l’Ora della Terra, iniziativa sostenuta dal WWF.
In queste mie righe, voglio soffermarmi su un fenomeno, forse il più tragico per il pianeta terra: il maremoto.
Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini dei maremoti che hanno portato distruzione e morte lungo le coste del Giappone nel 2011 e dell’Indonesia nel 2018.
Quando ci vengono riproposte dai media, ci chiediamo sempre se anche le nostre coste sono sicure oppure se sono anch’esse esposte al rischio di essere investite da un maremoto.
Cerchiamo di capire se, perché, come si generano i maremoti, e come vengono difese le coste e le popolazioni rivierasche.
Il maremoto, in giapponese tsunami, è una serie di onde marine prodotte dal rapido spostamento di una grande massa d’acqua: si manifesta come un rapido innalzamento del livello del mare o come un vero e proprio muro d’acqua che si abbatte sulle coste, causando un’inondazione.
A volte si osserva un iniziale e improvviso ritiro del mare, che lascia in secco i porti e le spiagge.
Le onde di maremoto hanno molta più forza rispetto alle mareggiate e sono in grado di spingersi nell’entroterra anche per diverse centinaia di metri (addirittura chilometri, se la costa è molto bassa), trascinando tutto ciò che trovano lungo il percorso: veicoli, barche, alberi, manufatti e altri materiali, che ne accrescono il potenziale distruttivo.
Le coste del Mediterraneo sono a rischio maremoto, non soltanto a causa della sismicità dell’area, ma anche per la presenza di numerosi vulcani emersi e sommersi.
Tuttavia un maremoto che si producesse nel Mar Mediterraneo, un bacino chiuso e poco profondo, difficilmente avrebbe la stessa forza e intensità di un maremoto che si sviluppa nell’Oceano.
Infatti, lì si verificano terremoti con magnitudo e frequenza di gran lunga superiori a quelli che si registrano nell’area mediterranea e le masse d’acqua in gioco sono notevolmente maggiori.
Ciò non toglie però, come storicamente dimostrato, che nell’area mediterranea a seguito di eventi sismici particolarmente energetici o di fenomeni franosi sottomarini, possano originarsi maremoti distruttivi, anche a causa della forte urbanizzazione delle aree costiere.
In mare aperto le onde si propagano molto velocemente percorrendo grandi distanze, con altezze quasi impercettibili (anche inferiori al metro), ma con lunghezze d’onda (distanza tra un’onda e la successiva) che possono raggiungere alcune decine di chilometri.
Avvicinandosi alla costa, la velocità dell’onda diminuisce mentre la sua altezza aumenta rapidamente, anche di decine di metri.
La propagazione e gli effetti dell’onda sulla costa sono influenzati dai fattori morfologici, quali la linea di costa o la topografia del fondale marino e la quota dell’entroterra, ma anche da fattori antropici, legati all’utilizzo del suolo.
Le aree portuali, ad esempio, per la loro conformazione possono amplificare l’energia del maremoto, mentre la presenza di edifici e moli lungo la costa può ridurre la propagazione dell’onda verso l’interno.
Le onde di maremoto possono anche risalire dalla foce lungo il corso di fiumi e torrenti, propagandosi nell’entroterra.
Oltre agli effetti legati direttamente all’azione dell’onda in movimento, il maremoto può innescare tutta una serie di effetti secondari: l’inondazione infatti può innescare eventi franosi, inquinamento delle falde, o incendi.
L’impatto sui porti e sugli impianti industriali può causare l’emissione e la diffusione di materiali inquinanti.
Negli ultimi mille anni, lungo le coste italiane, sono state documentate decine di maremoti, causati dall’elevata sismicità e della presenza di numerosi vulcani attivi, emersi e sommersi; fortunatamente solo alcuni sono risultati distruttivi.
Il catalogo dei maremoti italiani (INGV Roma2 | Il catalogo dei maremoti italiani) aggiornato e ampliato rispetto al precedente catalogo dei maremoti italiani pubblicato da Tinti e Maramai (Tinti et al., 2004), copre un intervallo temporale di circa 2000 anni, a partire dal maremoto associato all’eruzione Plinana del Vesuvio del 79 d.C, fino ad oggi, per un totale di 72 eventi.
Mostra che le aree costiere più colpite sono quelle della Sicilia orientale, della Calabria, della Puglia e dell’arcipelago delle Eolie e che maremoti di modesta entità si sono verificati anche lungo le coste liguri, tirreniche e adriatiche.
Oltre ad indicare gli eventi che hanno dato origine ai maremoti (terremoti, frane, eruzioni vulcaniche), gli stessi vengono classificati in base alla loro intensità su una scala che va da 2 (bassa intensità) a 6 (massima intensità).
Ad ogni maremoto è stato attribuito un valore di “reliability” (in una scala da “0=evento molto improbabile” a “4= evento certo”) che indica il grado di attendibilità dell’evento stesso, sulla base della qualità delle informazioni utilizzate.
L’evento di maremoto più disastroso è stato quello del 28 dicembre 1908: a seguito del terremoto nello Stretto di Messina, le coste della Sicilia orientale e della Calabria furono devastate da onde distruttive che provocarono centinaia di vittime.
Il massimo runup (massima quota raggiunta dall’acqua rispetto al livello del mare) misurato sulla costa calabrese è stato di 13 metri.
Degni di nota sono anche i maremoti del 1627 in Puglia, del 1783 nella Calabria meridionale e del 1693 in Sicilia orientale.
Il primo maremoto di questo secolo è accaduto a Stromboli, nelle Isole Eolie, il 30 dicembre 2002 ed ha causato gravi danni alle strutture balneari e alle abitazioni lungo le coste dell’isola.
Nel 1343 lo Stromboli generò lo tsunami visto dal Petrarca
Le coste della Campania sono state interessate da un fenomeno di tsunami devastante nel lontano 25 novembre 1343.
Si trattò di un evento significativamente distruttivo come ricordano le epoche del tempo e un testimone d’eccezione, il poeta Francesco Petrarca, che in quel frangente era a Napoli presso la corte degli Angioini per una missione diplomatica papale.
Il poeta scrisse dettagliatamente in una lettera al Cardinale Giovanni Colonna del disastroso evento, parlando di un maremoto preceduto da un terremoto ed accompagnato da un violento temporale, che devastò l’intero golfo di Napoli e Salerno.
Petrarca scrisse: “Serrata la finestra mi posi sopra il letto, ma dopo avere un buon pezzo vegliato, cominciando a dormire, mi risvegliò un rumore e un terremoto, il quale non solo aperse le finestre, e spense il lume ch’io soglio tenere la notte, ma commosse dai fondamenti la camera dov’io stava … Ci affrettiamo tutti verso la chiesa, e qui giunti, genuflessi, pernottiamo nel pianto, certi ormai che la fine fosse imminente e che ogni cosa attorno rovinasse”.
Con la luce del giorno seguente sul porto Petrarca potè verificare l’entità dei danni: “Il terreno su cui ci trovavamo, eroso dalle acque che vi erano penetrate, franò velocemente; Noi, in terraferma, a stento ci siamo salvati, nessuna nave resse ai flutti né in alto mare e neppure nel porto. Una sola fra tante, carica di malfattori, si salvò. La loro nave, pesante, molto robusta e protetta da pelli di bove, dopo aver sostenuto sino al tramonto la forza del mare, alla fine cominciava anch’essa a cedere. E così, mentre lottavano e a poco a poco affondavano, avevano protratto il naufragio sino a sera; spossati alla fine, cedute le armi, si erano raccolti nella parte superiore della nave quand’ecco, al di là di ogni speranza, il volto del cielo rasserenarsi e calmarsi l’ira del mare ormai stanco.”
Le mura fortificate, i cantieri navali, i magazzini furono sommersi dalla sabbia e danneggiati dalla furia delle acque e molti uomini persero la vita.
La chiesa di San Pietro martire, ancora in costruzione, fu notevolmente danneggiata dal maremoto, così come la chiesa di Piedigrotta, all’epoca vicinissima alla spiaggia.
I danni furono ingenti e interessarono tutta la costa campana; furono segnalati gravi danni alle case e alle strutture pubbliche anche a Pozzuoli e ad Amalfi, dove il “mare latrone”, portò via ampi tratti di costa.
Secondo Petrarca, il fenomeno interessò l’intero Mediterraneo: “Si dice che questa tempesta abbia infuriato lungo tutto l’Adriatico, il Tirreno e per ogni dove”.
La paura e la vista dei disastri provocati dall’evento dovettero segnarlo a tal punto che decise di non intraprendere viaggi per mare: “Io ne trarrò solo questa conclusione: pregarti che tu non voglia più ordinarmi d’affidare la mia vita ai venti e alle onde. In questo non vorrei ubbidire né a te, né al Pontefice Romano e neppure a mio padre, se tornasse in vita. Lascio il cielo agli uccelli e il mare ai pesci; animale terrestre, scelgo un viaggio terrestre”.
Oggigiorno gli scienziati contemporanei sostengono che la causa di quel maremoto è ancora incerta, non essendoci riscontri di un terremoto quella notte.
Per spiegare allora il disastroso maremoto sono state avanzate varie ipotesi.
La prima riguarda l’instaurarsi di particolarissime condizioni meteo-climatiche che causarono la formazione di un meteo-tsunami.
Un fitto gradiente barico orizzontale si sarebbe posizionato sul Mediterraneo centrale, agevolando la genesi delle onde anomale.
Una seconda ipotesi, invece, si basa su una possibile frana lungo i versanti sottomarini dell’isola d’Ischia, causata da una certa instabilità ascrivibile all’eruzione dell’Arso del 1302.
Studi ancor più recenti, frutto di una collaborazione interdisciplinare tra vulcanologi e archeologi, hanno fatto ipotizzare un evento franoso di frana avvenuta a Stromboli.
Un’eruzione o un terremoto avrebbe innescato il rapido crollo superficiale di un fianco del vulcano, provocando il maremoto del 1343 che si sarebbe propagato fino alle coste campane.
Tale ultima ipotesi è stata corroborata di recente da un evento analogo avvenuto il 28 dicembre 2002, quando a seguito di una fase effusiva del vulcano Stromboli, lungo la Sciara del Fuoco, si aprì una bocca vulcanica a quota 500 m sul livello del mare.
Da questa fuoriuscì una colata lavica che originò, in rapida successione, una frana di circa 16 milioni di metri cubi di materiale ed un maremoto che colpì le coste della Sicilia, le isole Eolie, le coste della Calabria con effetti non privi di rilievo anche lungo le coste del Cilento.
Alla luce di tutto quanto detto, la probabilità che si verifichi un evento di innesco di un maremoto disastroso che possa interessare le coste tirreniche meridionali non appare bassa ed impone una valutazione della sicurezza della fascia costiera intensamente urbanizzata e antropizzata, in termini di pericolosità e rischio potenziale da tsunami.
Per esempio per quanto concerne l’aspetto vulcanologico, tra i numerosi vulcani attivi, Etna, Vesuvio, Stromboli, Vulcano, Campi Flegrei, vi è il più grande vulcano sommerso d’Europa, il Marsili: appartiene all’arco insulare Eoliano, è disposto lungo la direttrice Campi Flegrei – Etna, si localizza nel tirreno meridionale (39°15′00″ N; 14°23′40″ E) in posizione equidistante rispetto alle coste della Sicilia, della Calabria e della Campania.
Ha dimensioni planoaltimetriche di tutto rispetto: 70 km di lunghezza, 30 km di larghezza (pari a 2100 kmq di superficie) e si eleva dai fondali marini per circa 3000 metri fino ud una quota di –450 metri rispetto al livelo medio marino.
Questo vulcano è interessato da un’attività idrotermale e da una attività sismica legata ad eventi di fratturazione superficiale e a degassamento, come pure risulta da recenti, autorevoli studi, è stato dichiarato “strutturalmente non solido, le sue pareti sono fragili, la camera magmatica è di dimensioni considerevoli” il che fa ragionevolmente concludere che “il vulcano è attivo e potrebbe entrare in eruzione in qualsiasi momento”.
Secondo l’INGV, “il cedimento delle pareti del Marsili muoverebbe milioni di metri cubi di materiale, che sarebbero capace di generare un’onda di grande potenza” con scenari di “rischi reali e di difficile valutazione”.
Diverse sono le misure adottate per abbassare il rischio.
Dal 2005 l’Italia partecipa al sistema di allertamento internazionale per il rischio maremoto nel Nord Est Atlantico, Mediterraneo e Mari collegati NEAMTWS, sotto il coordinamento dell’ IOC (Intergovernmental Oceanographic Commission) dell’Unesco.
Si tratta di un sistema analogo a quello già operante nell’area del Pacifico, dei Caraibi e dell’Oceano Indiano, dove sono già attivi sistemi di allertamento rapido.
Nel 2017, inoltre, è stato istituito, con una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 17 febbraio 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n 128 del 5 giugno 2017., il SiAM (Sistema di Allertamento nazionale per i Maremoti generati da sisma), di cui fanno parte l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che opera attraverso il CAT – Centro Allerta Tsunami), l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e il Dipartimento della Protezione Civile.
Il CAT dell’INGV valuta la possibilità che un terremoto con epicentro in mare o vicino alla costa possa generare un maremoto. Sulla base di queste valutazioni, il Dipartimento della Protezione Civile diffonde i messaggi di allerta con l’obiettivo di attivare, nel minor tempo possibile, il Servizio nazionale di protezione civile e informare la popolazione. I dati mareografici forniti da ISPRA consentono, infine, di confermare o meno l’eventuale maremoto.
Il SiAM fa parte del sistema di allertamento internazionale che è stato costituito nel Mediterraneo sempre sul modello di quelli attivi nel Mar dei Caraibi e negli oceani Pacifico e Indiano.
Rispetto a questi ha però dei limiti perché in un mare poco ampio come il Mediterraneo i tempi di arrivo delle onde sono molto brevi e questo riduce la possibilità di allertare la popolazione. E’ quindi importante conoscere bene le norme di comportamento, ricordando però che il rischio maremoto implica inevitabilmente la possibilità di falsi allarmi.
Il 15 novembre 2018, poi, sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale n. 266 le “Indicazioni alle Componenti ed alle Strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile per l’aggiornamento delle pianificazioni di protezione civile per il rischio maremoto”.
Infine, occorre segnalare la campagna “IO NON RISCHIO Maremoto”, un’ iniziativa informativa che partendo dalla evidenza che il nostro è un territorio esposto a molti rischi naturali, vuole affermare che il sistema più efficace per difendersi da un rischio e per aumentare la sicurezza individuale e collettiva risiede nella conoscenza del rischio . Da qui parte la campagna informativa ad opera della Protezione Civile, che ha la finalità di illustrare ai cittadini, per ogni rischio, le buone pratiche per minimizzarne l’impatto su persone e cose, suggerire l’adozione di alcuni semplici accorgimenti con la consapevolezza che possono contribuire ad una maggiore sicurezza della vita umana.
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Approfondisci:
Maremoto. Buone pratiche di Protezione civile
Napoli, 30 marzo 2021