Cosa resta del 25 aprile, dopo il 25 aprile.
Cosa resta del 25 aprile, dopo il 25 aprile.
di Carlo Gimmelli
Il 25 Aprile è appena passato trascinando con sé, come ogni anno, la solita fiumara di celebrazioni vagamente retoriche, rivendicazioni di chi c’era e di chi ne ha sentito solo parlare; la corsa ad occupare la poltrona del neo patriottismo quest’anno è stata particolarmente nutrita ed è comprensibile in attesa del Recovery Found.
Del resto le feroci polemiche tra le forze politiche che ogni anno ne intorbidivano e avvelenavano le celebrazioni quest’anno per carità di patria ce le siamo parzialmente risparmiate, distratti da altre e più attuali tragedie.
Epperò resta un ricorrenza tragica, eroica e divisiva nonostante i retorici e accorati appelli dei Capi di Stato che nel corso degli anni hanno più o meno vanamente cercato di richiamare alla sempre più traballante Unità nazionale.
Una data con tanti padri, su tutti l’ A.N.P.I. nata nel 1944 a Roma, con la lenta e tragica ritirata tedesca ancora in atto e tutto il Centro nord ancora da liberare dietro la linea Gotica e il 5 Aprile 1945 (venti giorni prima della insurrezione generale che convenzionalmente viene indicata come Giorno della Liberazione) viene riconosciuta Ente Morale; in teoria dovrebbe rappresentare tutti i gruppi partigiani, le Brigate, le organizzazioni cattoliche che contribuirono col sangue a cacciare gli invasori germanici.
Già, in teoria! In realtà fin da subito il grande caos che seguì la Liberazione, che ci portò ad un passo dalla Guerra civile, fu l’occasione per regolare vecchi conti tra i partiti politici e il PCI, enclave sovietica in Italia, mise da subito il cappello esclusivo sulla Resistenza; in breve socialisti e cattolici abbandonarono l’associazione per dare vita ad altri organismi propri ma l’A.N.P.I., rimasta sempre nella orbita comunista, viene da sempre considerata, erroneamente, l’unico simbolo della Resistenza italiana.
Il 25 Aprile, dunque è, una data Sacra nell’immaginario collettivo, resa immortale dai morti dei Sacrari Militari e civili che ci ricordano l’orrore di quegli anni di follia.
E’ un terreno minato anche solo cercare di capire i tanti misteri, i delitti comuni, le vendette personali, le rappresaglie dell’orrore che falciarono quelli che, da innocenti, ebbero la sventura di trovarsi dalla parte sbagliata.
Il motivo principale dell’eterna stagione dell’odio che sembra alimentarsi continuamente nel Bel Paese sta, forse, nel fatto che l’Italia non ha mai fatto i conti con sé stessa dal dopoguerra in poi, resta il paese delle Verità nascoste, dell’omertà di Patria e le divisioni ideologiche, economiche e politiche hanno continuato a scorrere sotterranee, tombate malamente con una colata di retorica Unità di Patria.
Il triangolo della morte, quella vasta zona compresa tra Bologna, Modena e Ferrara fu un porto franco di dominio comunista, non l’unico, dove per anni, a partire dal primissimo dopoguerra, bande partigiane assetate di vendetta e semplici delinquenti comuni , applicando la “legge della montagna”, massacrarono, smembrarono corpi, stuprarono, incendiarono ville e casolari, depredando tutto ciò che trovarono, declassandolo a bottino di guerra.
“Moltissimi seppelliti ancora vivi e soffocati con manciate di terra in bocca, donne ululanti incitavano gli uomini ad orinare sui moribondi presi a sassate e calci”.
testimonianza di Don Mino Martelli, strage di Imola
Bastava una diceria, un semplice sospetto: ex camerati o repubblichini certo, quasi sempre senza processo, ma tantissimi furono gli innocenti individuati con delazioni di compaesani, contadini, massaie, bambini, preti, suore, anche ex partigiani che si opponevano alla macelleria.
Il P.C.I. , locale e nazionale, sapeva e benediceva o si voltava dall’altra parte e, nei rarissimi casi in cui si arrivò ad individuare i responsabili, i processi operetta durarono anni e si conclusero con condanne miti, anche grazie alla amnistia del 1946 figlia della debolezza di De Gasperi nei confronti di Togliatti, reale padre della legge che, scaltramente, tentò di affibbiare al suo sottoposto Fausto Gullo, facendo sparire le carte per decenni, secondo consolidata tradizione comunista.
Quando, poi, arrivarono le blande condanne ci pensò il “Migliore” a far espatriare quasi cinquecento compagni in Cecoslovacchia e in Bulgaria, accolti dal potente partito comunista sovietico che gli fornì nuova identità e nuova vita.
L’amnistia fu una vera manna per migliaia di ex partigiani, schegge impazzite che si costituirono in vere bande criminali, nelle cui fila si mimetizzarono assassini e delinquenti comuni.
L’eccidio di Codevigo (136 vittime), Strage della cartiera di Mignagola, (200 morti), Strage di Costa D’Oneglia (36 vittime),
Eccidio di Argelato, di Cadibona, di Via Aldrovandi, Gardena e tantissimi altri massacri in cui si distinsero per zelo le Brigate Garibaldi che, avevano avuto un ruolo determinante nella Liberazione. Dopo il caos.
Il sangue dei vinti.
I fratelli Cervi e i fratelli Govoni, per esempio, due storie tragiche e speculari, due famiglie di sette fratelli massacrate, i primi nel
1943 : antifascisti, partigiani, la loro cascina fu un importante centro di resistenza, furono arrestati, torturati e uccisi dai repubblichini e insigniti della medaglia di argento al valor militare; a loro una lunga sequela di strade, piazze, fiction e letteratura dedicata, come simboli
della Resistenza.
I fratelli Govoni, anche essi, sette (Dino, Emo, Augusto, Ida, Marino, Giuseppe, Primo) furono massacrati da Ex partigiani l’11 maggio 1945 nella strage di Argelato, in quei giorni di folle macelleria in paese senza legge dove bastava un sussurro, una voce per diventare fertilizzate.
I fratelli Govoni furono prelevati dalla loro cascina insieme ad altri dieci disgraziati presi a caso, la loro colpa: ignota! Ida fu presa mentre stava allattando la figlia di sei mesi, condotti in un cascinale furono picchiati, torturati e i superstiti strangolati, i cadaveri dispersi nei campi; i resti dei loro corpi furono trovati solo nel 1951, grazie alla soffiata di un ex partigiano.
Il processo fu complicato e lungo, per le pressioni politiche, nel 1953 si arrivò a fatica a comminare 4 ergastoli ad alti esponenti della Brigata garibaldina “Paolo”, ma rimasero quadri da incorniciare, perché da anni i quattro e tanti altri erano fuggiti in Cecoslovacchia con salvacondotto politico e di loro si perse ogni traccia. Ai genitori il governo, riconoscendo l’assoluta innocenza, corrispose una pensione di 7.000 lire, 1.000 lire per ogni figlio assassinato. Naturalmente, in cambio, pretese il silenzio.
Quanti fratelli Govoni furono vittime di questa guerra postuma non dichiarata? Difficile, forse impossibile dirlo, le cifre ufficiali sono lacunose, Giorgio Bocca scrisse di 15.000 morti, più della metà innocenti, Pansa parlò di 20.000, altri il doppio, il ministro Scelba, prudentemente, ne attestò ufficialmente 13.000 ma non convinse nessuno se è vero che una voce autorevole come Ferruccio Parri, capo partigiano, padre del
Partito d’Azione e primo Presidente del Consiglio nel 1945, ammise, poco prima di morire, non meno di 30.000 esecuzioni sommarie.
Certamente tantissimi non furono più trovati.
L’Italia ha preferito dimenticare quei morti, ha imposto il silenzio, ha cancellato il ricordo, quei pochi, pochissimi dirigenti comunisti che, decenni dopo, cominciarono a parlare, furono isolati e messi ai margini della politica dal partito.
Come Otello Montanari, a capo dell’A.N.P.I. e presidente dell’Istituto Alcide Cervi che, nel 1990 in una memorabile intervista squarciò per la prima volta il muro di gomma raccontando alcune verità e lanciando il grido “Chi sa, parli!”, furono riaperti diversi processi ma il P.C.I. non gli perdonò la rottura del silenzio.
Montanari fu isolato, emarginato, espulso dall’A.N.P.I. e dall’Istituto Cervi, solo poco prima della morte (2018) la sua figura fu riabilitata ufficialmente.
Vae Victis!
Napoli, 30 aprile 2021