Bellezza, paradigma della sostenibilità ambientale. Matteo Tafuro. Nola
Bellezza, paradigma della sostenibilità ambientale
di Matteo Tafuro
Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova,
tardi ti amai… tu eri dentro di me.
Sant’Agostino
La bellezza coinvolge molte sfumature della nostra vita, offrendoci un’ampia gamma di colori per tratteggiare la nostra vita.
Abitualmente noi godiamo della bellezza non ne parliamo, poiché abbandonarsi ad essa vorrebbe dire, in un certo senso, esporsi affettivamente… e potrebbe essere pericoloso.
Faccio mia una storia africana su questo aspetto emotivo della bellezza: “Si racconta di una famiglia normale, mamma, papà, figli. Normale, se non per il fatto che i suoi componenti erano di cera. Di giorno vivevano in una capanna senza finestre per evitare che il sole li colpisse. Di notte lavoravano, si davano da fare, ma non potevano inoltrarsi molto fuori dalla capanna, perché il buio, nella foresta, era pieno di insidie. Ad ogni modo, si accontentavano e i bambini erano buoni e non si lamentavano. Oltretutto avevano il vantaggio di non provare dolore: erano di cera e, anche se un ago li trafiggeva, non sentivano nulla. Un giorno però uno dei bambini, Ngwabi, fu preso da un desiderio fortissimo di uscire dalla capanna. Voleva vedere il mondo, l’alba, gli alberi, il sole, i fiori… i fratelli e i genitori insistevano per trattenerlo, gli dicevano che era impossibile, che si doveva accontentare. Ma Ngwabi aprì la porta e uscì senza voltarsi. La bellezza di quello che c’era fuori lo travolse, gli diede una gioia immensa. Pensò di aver preso la decisione giusta, anche se sentiva che stava cominciando a sciogliersi. Gioiva e intanto si scioglieva, fino a quando rimase solo un mucchietto di cera. Di notte i genitori e i fratelli uscirono per cercarlo. Lo trovarono. Con la cera che era rimasta modellarono un bellissimo uccello, gli fecero le ali con le foglie di palma e lo lasciarono in cima ad una montagna. All’alba la cera si animò e Ngwabi spiccò il volo”.
I filosofi del mondo classico, forse per cercare di frenare l’inevitabile coinvolgimento dell’uomo nel mondo sconosciuto dell’affettività, hanno cercato di misurare e ordinare la forza del bello, riconoscendo sempre la relazione tra bellezza e divino, fino a fare del bello la via maestra per avvicinarsi a Dio.
Infatti, come racconta il mito: “Zeus, dopo aver fatto imprigionare il padre Kronos, stabilisce le sue leggi, norme che sono incardinate sulla nozione di misura e lui stesso, insieme al figlio Apollo ne garantisce l’osservanza. Queste leggi sono espressamente scritte sulle mura esterne del tempio di Delfi: Il più giusto è il più bello; osserva il limite; odia l’eccesso; nessuna cosa fuori misura. Accade talvolta, però, che Zeus e suo figlio Apollo permettano il ritorno di Dioniso, espressione del caos e del disordine”.
Insomma, qui è Platone a scrivere, la bellezza fa paura, perché può inquinare la verità e per questo bisogna ascriverla come parte a-razionale dell’anima. Il mio cristianesimo, farà suo il concetto dell’ ingannevolezza delle cose sensibili, perché sono solo un riflesso della vera bellezza che è quella di Dio, ma possono essere, anche, un mezzo di ritorno verso il Padre, come ci ricorda Sant’Agostino, nelle Confessioni: “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace”.
La bellezza dunque può portarci a Dio, ma può essere ingannevole se ci lasciamo trattenere e intrappolare da essa.
Per Agostino è la filosofia, la conoscenza, che ci permette di riconoscere la vera bellezza. Ciò vuol dire che la bellezza delle cose sensibili ci fa intuire che dobbiamo cercare altrove qualcosa di ancora più bello.
Per Agostino questo altrove è dentro l’uomo, è l’interiorità dove troviamo le tracce di una bellezza più sublime. La bellezza e la definizione di ciò che è bello, certamente è influenzata dall’occhio di chi guarda, dal livello culturale e sociale di appartenenza o da un legame affettivo, tuttavia studi riportano l’esistenza di elementi in grado di spiegare l’universalità della bellezza di certi ambienti o opere d’arte.
Alla fine degli anni ’80 un modello psicologico elaborato da due ricercatori di psicologia ambientale: Faith Kaplan e Ronald Kaplan, descrive quattro caratteristiche in grado di incrementare l’attrattiva di un paesaggio:
Coerenza, cioè il grado con cui vari aspetti dell’ambiente sono concordi, cioè in sintonia, tra loro, tipo il colore bianco dei trulli in Puglia.
Leggibilità, ovvero la facilità con cui un paesaggio può essere categorizzato, come una costruzione di uno stile ben definito.
Complessità, cioè il numero e la variabilità degli elementi che compongono una scena, ad esempio non sono attraenti le periferie delle città.
Mistero. Qui gli autori si riferiscono alla quantità di informazioni nascoste che uno spazio può contenere. Il celare gli spazi con l’uso di siepi o muri produce una risposta psicologica di volontà di esplorazione che manca invece nel caso di larghe visuali in cui tutto è sotto gli occhi. Insomma, la bellezza è in grado di influenzare il nostro benessere fisico e psichico quotidiano, perché genera in noi emozioni positive ed è così che una giornata di lavoro passata nelle stanze, esteticamente sgradevoli di un ufficio o di un’aula universitaria, può essere stressante.
Roger Ulrich, in una ricerca condotta in un ospedale, ha dimostrato che coloro la cui finestra dava sul parco avevano un periodo di convalescenza inferiore rispetto ai degenti con finestra che dava su un muro di mattoni, riportando un maggior numero di lamentele e stati d’ansia e depressione. Concludendo, possiamo affermare che la bellezza ambientale non è solo un accessorio, ma un presupposto imprescindibile per gestire positivamente la quotidianità.
Essa genera benessere, emozioni e secondo alcuni studi anche sulla qualità delle relazioni, ma nonostante ciò viene sacrificata sull’altare dell’ economia, della politica e dell’egoismo personale.
Nola, 26 marzo 2025