Anno II d.P. (dopo Pandemia). Progettate il futuro escludendo l’avvenire. Andrea Tafuro. Nola
Anno II d.P. (dopo Pandemia). Progettate il futuro escludendo l’avvenire.
di Andrea Tafuro
Futuro e avvenire sono due espressioni della solidarietà
essenziale che unisce individuo e società.
Marc Augè
Futurus deriva dal latino, participio futuro di esse (essere). È qualcosa che deve ancora succedere, ancora non esiste.
Avvenire, dal latino ad-venire, arrivare (da cui advena, lo straniero): ciò che accade senza permesso.
L’avvenire è l’in-progettabile. Un amore, un lutto, un figlio risiedono nell’avvenire.
Una macchina, un esame, un matrimonio abitano nel futuro.
Siamo in guerra, abbiamo combattuto il virus…e non è ancora finita!
Lottiamo per sconfiggere la povertà, combattiamo per non perdere la libertà.
C’è chi pretende di mettersi in sicurezza!
C’è chi si arroga il diritto di ridurre l’avvenire, per definizione imprevedibile, a progetto controllabile.
Non fa altro che torturare se stesso, cade nella paura e non ha soluzioni a portata di mano.
I soliti imbonitori presuntuosi, hanno venduta per buona l’illusione di poter contenere l’avvenire nello spazio del futuro.
Il progresso, la scienza e la tecnica sono i nuovi idoli da adorare.
Ma… c’è sempre un ma… arriva lo straniero, l’imprevedibile: un virus, un capopolo furioso.
Il mito del futuro frana e risorge di nuovo vittorioso l’avvenire. Di fronte a questa eventualità non potete né negare né controllare la realtà, ma solo lottare e dare un senso al vostro agire.
L’imprevedibile non è la panacea curativa da assumere per la tua sicurezza, ma la cura.
Se guardi la definizione di avvenire nello Zingarelli c’è scritto: “ciò che deve venire”.
L’indizio è nella preposizione a, che segnala il fatto che le cose sono destinate a succedere in un certo qual modo e non in modo arbitrario.
“Che futuro vuoi attenderti in una società come la nostra sgobbando a forza di studio e lavoro? Tanta fatica e sottomissione per poche e risibili soddisfazioni. Meglio addentare subito una cicciosa dote quale quella della signorina Victorine che, d’accordo, sarà pure una racchia, ma ti garantirebbe una rendita annua di 50 mila franchi”.
E’ la predica che Vautrin indirizza a Eugene de Rastignac, il rampante protagonista di Papà Goriot, romanzo di Honoré de Balzac del 1835.
È concepibile che nel 2022 viviamo nelle stesse condizioni rappresentate nell’universo creato da Balzac nelle sue opere?
Per forza di cose siete costretti ad essere o apocalittici o allineati.
L’ideale equipaggiamento di difesa sarebbe dotarsi di qualche serena sfumatura critica, così da orientarsi tenendo gli occhi bene aperti, per capire questo tempo maledettamente troppo veloce.
Portando avanti i miei pensieri mi ritorna in mente che nell’antichità i restauratori romani, quando dovevano risanare le statue rovinate, mettevano nelle crepe della cera per mimetizzare le ferite della statua.
Le statue importanti, però, non venivano riparate, perché si riteneva avessero un valore proprio, crepe incluse e diventavano sine cera, cioè sincere.
Quanto impegno profondono sul tuo luogo di lavoro nel riempirsi di cera.
Hanno paura che, sfregiati, non vengano più creduti!
Questo modo di vivere in continua rincorsa del predominio sociale ha ridotto gli spazi della relazione e del pensiero.
Il risultato? Un pluralismo brado che disegna una stravagante e untuosa abdicazione a ogni intelligenza in favore di uno scheumorfismo sociale.
Che cos’è lo scheumorfismo?
A livello tecnologico indica una corrente grafica che vuole rappresentare un oggetto digitale mimando le sembianze del suo corrispettivo nel mondo reale, senza che la somiglianza abbia un senso pratico (in greco skeuos è il contenitore e morphê la forma). Semplicemente è il simulare le forme e gli oggetti del mondo reale nei dispositivi digitali. Dunque la macchina fotografica del telefono simulerà il suono dello scatto.
Questo rifugio serve per evitare di entrare troppo velocemente in un mondo dove il reale è allegorico e dove la rappresentazione della realtà non cerca di imitarla, ma tende a superare i limiti dell’esperienza sensibile, della realtà tangibile, diventando trascendente.
Insomma tutte queste applicazioni sono un mondo a parte dove gli oggetti digitali, cum cera, che maneggiamo sono simili a oggetti reali e portano a una nuova lettura del mondo, non più rappresentazione della natura, ma invenzione di un immaginario.
Abbiamo urgente bisogno di ritrovare la chiave abbandonata, non una chiave, ma la chiave, che da un po’ di tempo avevamo smarrita, ci serviva per riaprire quel cancello che volevamo forzare tutti i giorni, passandoci davanti.
Attraverso l’inferriata riuscivo solo a vedere che al di là c’era la vita che non era quella che stavo vivendo, provavo a passare oltre, ma senza riuscirvi, la testa rimaneva incastrata nelle sbarre e solo tornando indietro riuscivo a liberarla.
La mia umanità, il mio popolo libero, ha bisogno di tirare fuori la chiave dalla tasca, infilarla nella toppa della serratura e godere dell’emozione straordinaria che l’avvolge, sentire il suono della serratura, il cancello che si apre.
Mi sono accorto che tutto il mio corpo è passato oltre quel varco che sembrava inaccessibile. Adesso quel cancello che per tante notti ho sognato chiuso è aperto e sento che l’autentica bellezza di ciò che mi circonda non la posso consumare, ma è Lei a consumare me. Finalmente ho fatto saltare quella benedetta cera che avevo spalmato su tutto il corpo per sopportare le ferite di guerra che la vita mi ha donato sempre in abbondanza, riscoprendo che le aste con cui sollevare il mondo, diventeranno le feritorie da cui passa la Libertà.
Quando sarò davanti a Lui voglio essere giudicato perché ho giocato sine cera nel torneo dell’esistenza!
Nola, 29 dicembre 2022