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Ammesso che la felicità si possa davvero insegnare… siamo preparati a impararla?
di Martina Tafuro

 A Londra nel negozio dell’empatia puoi camminare per un miglio con le scarpe degli altri

Sulle rive del Tamigi il 4 settembre 2015 aprì i battenti, l’Empathy Museum, un’esposizione permanente che, ancora oggi, accompagna i visitatori a sviluppare una più spiccata sensibilità per gli altri esseri umani, chiamandoli letteralmente, a mettersi nei panni del prossimo diverso dall’Io, almeno per un giorno.

Il Museo dell’Empatia fu inaugurato in occasione del Totally Thames Festival, rassegna sulle sponde del Tamigi dedicata al mondo dell’arte, della cultura e del sociale, in programma quest’anno dal 1 al 30 settembre.

Cuore della manifestazione è l’installazione A Mile in My Shoes (Un miglio nelle mie scarpe), realizzata in collaborazione con gli abitanti del quartiere londinese di Wandsworth.

Il titolo di questa istallazione racchiude in sé la filosofia del museo, che prende ispirazione dal detto anglosassone: “prima di giudicare una persona, prova a camminare un miglio con le sue scarpe”. Un concetto che rimanda, tra l’altro, alla campagna di Medici Senza Frontiere:#Milionidipassi, nata dal lavoro della reporter americana Shannon Jensen che ha fotografato le calzature con cui i profughi sudanesi si sono messi in cammino per scappare dal terrore, immagini diventate emblema delle battaglie di chi racconta l’’emergenza planetaria che coinvolge cinquantuno milioni di persone.

Empatia, che parolona! Letteralmente, essa non significa affatto semplicisticamente approvazione o sostegno. Significa: “capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro”. Dunque, empatia è il risultato di una complessa convergenza sino ad una presunta identificazione, sia pure con linguaggi anche molto diversi, di due psicologie ed anche di due culture. E’ una cosa bellissima! l’Empathy Museum offre ai visitatori la possibilità di indossare, letteralmente, le scarpe di qualcun altro, ascoltandone la storia, c’è un vero e proprio negozio dell’empatia, uno spazio in cui si prendono in prestito le scarpe di un’altra persona.

Oddio, tradurre la felicità in parole è sempre questione assai spinosa.

La felicità è quella che si vive, non quella che si dice.

Nonostante ciò, secondo il World Happiness Report 2018, un sondaggio che mappa la felicità a livello mondiale dei cittadini di 156 Paesi e degli immigrati di 117, qualcuno che di felicità ne sa c’è. Al primo posto della lista la Finlandia, seguita da Norvegia, Danimarca, Islanda, Svizzera e Paesi Bassi.

Risultati immagini per World Happiness Report 2018

È confermato che non è la ricchezza a creare felicità. Paesi solidi economicamente come gli Stati Uniti e il Giappone, si trovano in basso nella classifica: una condizione che nel tempo ha spinto i decisori politici a prendere in considerazione anche altri indicatori per definire il grado di ben-essere.

Il Report è il prodotto di una ricerca internazionale nella quale alle migliaia di intervistati è stato chiesto di immaginare una scala da 0 a 10 gradini, definendo su quale piolo si sentissero posizionati. Basandosi su 6 fattori di riferimento:

1)      il prodotto interno lordo pro capite,

2)      il supporto sociale,

3)      l’aspettativa di vita,

4)      la libertà di fare scelte per la propria vita,

5)      la corruzione,

6)      la generosità.

Il risultato è stato disastroso!

Cito solo gli Stati Uniti, paese ricco per eccellenza…sono solo al 18° posto rispetto ad altri Stati di comparabile ricchezza. Le performance in termini di misure sociali sono carenti, l’aspettativa di vita in calo, le disuguaglianze in crescita e la fiducia nel governo in declino.

Altri paesi, come l’India, ha pensato che la felicità sia il caso di insegnarla, investendo su una scuola, che aprirà nel 2020, in cui gli studenti potranno scegliere il proprio curriculum senza standardizzazioni, sostituendo gli insegnamenti tradizionali presto fuori moda: si proporranno ore di meditazione, laboratori creativi per lo sviluppo di nuove idee, stanze di confronto per facilitare la collaborazione e spazi commerciali per accompagnare l’avvio di nuove esperienze imprenditoriali.

Saranno loro i nuovi migranti che ci insegneranno a vivere felici?

In effetti è questo un tema caratterizzante del Report 2018, cioè definire come le migrazioni influiscano sulla felicità.

I risultati sottolineano che la felicità abbia meno a che fare con le norme culturali e i comportamenti e più con le comunità di approdo e la qualità della vita.

Cosa che dovrebbe far riflettere a sufficienza chi occupa il 47° posto: gli Itagliani!

Napoli 30 agosto 2019

Sono Martina Tafuro e ho 22 anni: laureata in Economia Aziendale alla Federico II. Scrivo per cercare di capire chi sono e dove sto andando, per dare sfogo alla mia inquietudine. Il mio desiderio più grande è quello di conoscere il mondo e i suoi meccanismi, partendo dall’indagine dei suoi più piccoli tasselli: le persone. Credo in un mondo più equo, ma sono già follemente innamorata di questo.