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Adda passà a nuttata
di Enrico Tomaselli

In quest’ultimo mese, come ricordava sul CormEz Antonio Polito, abbiamo assistito alla rappresentazione plastica della pochezza che caratterizza la classe dirigente napoletana.
Mesi, anni a dire che la giunta De Magistris è il peggio del peggio, e poi – quando sopraggiunge la sospensione dalla carica di sindaco in virtù della legge Severino – la montagna partorisce il topolino. Non una iniziativa politica seria, capace di innescare sulla momentanea crisi dell’amministrazione un processo di cambiamento. Solo balbettii, proclami, dibattiti involuti nel chiuso delle segrete stanze. Non una sola iniziativa pubblica, che puntasse a coinvolgere e mobilitare la cittadinanza. Non un passo capace di determinare la crisi anche formale del Consiglio. Nulla di nulla. Né a destra, né al centro né a sinistra.
Allora, mi sembra giusto – e tempestivo – fare alcune riflessioni più generali.

Com’è noto, sono da tempo un critico severo di questa amministrazione, a cui – credo argomentando sempre puntualmente – ho rimproverato sia la scarsa capacità amministrativa e politica, sia l’ingiustificata arroganza del suo dominus, sia una specifica serie di errori. Non sono quindi portato ad indulgere verso l’amministrazione arancione in alcun modo. Ciò nonostante, vogliamo dirci con altrettanta chiarezza e sincerità alcune cose – peraltro note, e sinanco palesi, ma che tendiamo tutti, per una ragione o per un’altra, a rimuovere?
Sul piano dei risultati amministrativi, sulla gestione della città, io non vedo un così significativo arretramento rispetto alla Napoli amministrata da Rosetta Iervolino.
Già allora, la città era mal governata, senza alcun disegno di prospettiva, con un Consiglio Comunale di infimo livello. Certo, la Iervolino era una politica ben navigata, e sapeva muoversi molto meglio di Giggino, sia in città che a Roma. E del resto, a differenza del nostro, aveva anche migliori e più numerose relazioni col mondo politico locale e nazionale. Ed aveva alle spalle un partito – una coalizione di partiti – all’epoca ancora radicati nel territorio, con un background di competenze e di esperienze che la pattuglia arancione nemmeno si sognava.
A parziale giustificazione di quest’ultima, d’altronde, va detto che il contesto generale in cui opera è significativamente peggiorato. Non solo per l’eredità politica ed amministrativa della giunta precedente, ma anche per nuovi elementi entrati nello scenario – una crisi devastante, che colpisce soprattutto al sud, il patto di stabilità che paralizza i comuni, etc.
Qual’è, dunque, la responsabilità maggiore, la più grave, che si possa imputare all’amministrazione De Magistris?
In poche parole, lo scarto enorme tra le promesse (e le speranze suscitate e cavalcate) e le realizzazioni. In questo scarto, si annida il colpo di grazia inferto alla speranza dei cittadini napoletani. E lì, in questa ennesima (e, almeno per il momento, definitiva) delusione, che sta la colpa grave di questa amministrazione. Più nello specifico, alla arroganza del primo cittadino (che con la sua personalità debordante ha plasmato tutte le giunte susseguitesi negli anni), si è affiancata la supponenza del ristretto circolo cui il sindaco attingeva per trovare i propri collaboratori. Con un atteggiamento un po’ grillino – nel senso più deteriore del termine – la presunzione di essere i migliori, e di essere quindi anche assolutamente capaci ed autosufficienti, ha accecato la Giunta Comunale, spingendola a chiudersi a riccio, da un lato sprezzante verso chiunque fosse, in qualsiasi modo, riconducibile alle forze che sostennero l’amministrazione precedente, dall’altro timorosa di restare stravolta da qualsiasi forma di apertura.
Una chiusura che si è manifestata non solo verso le forze politiche, ma anche verso i cittadini stessi, nei cui confronti – dopo una iniziale apertura anche un po’ demagogica – è poi scattato l’ostracismo.
La colpa grave, dunque, non è tanto aver amministrato male – in questo, inserendosi in un solco già tracciato almeno dalle due precedenti amministrazioni – ma l’aver ucciso la speranza di cambiamento.
D’altro canto, le opposizioni – tutte – hanno abbondantemente mostrato di essere solo peggiorate, rispetto a qualche anno fà, quando già furono sconfitte per via della propria scarsa credibilità. É innanzitutto loro responsabilità l’aver spinto la città tra le braccia di De Magistris. E nella loro crescente pochezza, potrebbe annidarsi nuovamente lo stesso esito, al prossimo giro.
Non è per nulla casuale che tutti facciano affidamento sullo schieramento ideologico dell’elettorato, piuttosto che su un progetto (ed un programma) per la città. Che la battaglia sia incentrata sui nomi, sulle persone, piuttosto che sulle idee. Con un ribaltamento di senso spaventoso – e pure ormai talmente ordinario da non stupirci più – si punta sul carisma personale invece che sull’interesse generale, sull’uomo (o la donna) capace di sedurre l’elettore piuttosto che su un’idea di città capace di convincerlo. É questo il quadro che si prospetta. La scelta, dunque, è allo stato ristretta tra la padella e la brace.
C’è, in Spagna, un movimento che si definisce Podemos (possiamo). E che, al di là di tutto, testimonia la capacità reattiva del popolo spagnolo, il suo non rassegnarsi all’esistente. C’è qualcuno che dice: prendiamo in mano il nostro destino, possiamo.
Qui invece continuiamo ad affidarci. C’è sempre un caro leader a cui ci affezioniamo ed a cui affidiamo il nostro futuro. Si chiami Berlusconi, Grillo o Renzi poco cambia (davvero molto poco…). Ma non è che siamo antropologicamente diversi dagli spagnoli, non è che non possiamo. Semplicemente, non vogliamo. Perchè è più comodo, e ci consente poi di sottrarci dalle responsabilità. Al peggio, ci riscattiamo con un Piazzale Loreto.
L’anima di questa città – tutta intera, quella più popolare e quella borghese – è stata interpretata meglio di chiunque altro da Eduardo. Se ne celebrano i trent’anni dalla morte in questi giorni. Ma davvero il suo lascito si esaurisce tra due opposti, tra la speranza inattiva de “adda passà a nuttata” ed il rinunciatario j’accuse di “iatevenne!”? Se così fosse, vuol dire che questa è una città impotente, in cui ciascuno sceglie per sé – che sia l’attesa o la fuga.
Ma siamo proprio sicuri, che non possiamo? Nemmeno per quattro giornate?…

Napoli, 6 novembre 2014