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Dalla lanterna di Diogene al gelato di Francesco

di Luigi Antonio Gambuti

Ri-cominciamo. Per la pausa estiva eravamo scesi dalla giostra…”lasciando la compagnia di saltimbanchi e mestieranti, di tutti coloro che da bravi imprenditori lucrano sui disagi e sulle miserie di coloro i quali, loro malgrado, vi sono sospinti dalla sorte”. Riprendiamo il viaggio per “osservare dal di dentro il rutilante tira e molla dell’ imbecillità dell’uomo eletta e canovaccio della vita”.

Così avevamo chiuso, così riapriamo,convinti che nulla è cambiato, se non in peggio, della situazione data.

Scrivevamo: regole per loro; regole per giocarsi da vincenti la partita; non regole per tutti. E così è stato, con l’approvazione della “nuova” legge elettorale.

Dopo tanto clamore,tra mal di pancia e maldicenze-quante se ne sono dette e quanti solchi sono stati arati!- è saldato il patto a tre, un patto per tagliare fuori dalla competizione buona parte dell’elettorato, col rischio di riportare il paese nella nebbia, mai del tutto diradata, della tanto vituperata esperienza del ventennio, mai del tutto “cassettizzato”.

Una cosa è certa e va sottolineata.

Non facciamo conto dei personaggi che hanno marcato le distanze dai vecchi compagni di cordata-non ultimo il presidente del Senato, il che è quanto dire!-poniamo l’attenzione sulla reincarnata accentuazione delle divergenze tra il nord, determinato e ben guidato e un mezzogiorno-sud, consegnato nella consueta disponibilità di una classe dirigente che mai è riuscita – e se qualche volta lo è stato, è cosa rara- ad essere protagonista di uno sviluppo virtuoso e territorialmente ben distribuito. L’assunto è sottolineato dal segretario del partito, una volta chiamato democratico, il quale dà per scontato la resa del nord alle forze politiche dell’area destro-moderata, capeggiata dai partiti che fanno capo a Berlusconi, Salvini e la Meloni, cosa da ricchi difficile da trattare e l’invito a conquistare il consenso elettorale, come al solito e come sempre è stato, nelle desolate regioni meridionali, tenute alla fame e come tali consistenti e più sicuri bacini elettorali. Dove più facile attecchisce la promessa, dove il bisogno fa da sfondo alle speranze, dove l’elettore, tenuto nel disagio, diventa facile preda per lucrare voti “liberatorii.”

Tutti a Pietrarsa, allora. Tutti allineati sulle direttive che il gran manovratore del convoglio ha dato ai suoi osannanti interlocutori. O semplicemente spettatori, perché il verbo è verbo e chi lo pone in discussione va semplicemente “rottamato.”

Tra le tante parole, solo De Luca ha messo in onda qualcosa che, scandalosamente, ha dato da pensare.
Nel reclamare il superamento della logica della spesa storica per far calare più finanziamenti pubblici alle regioni del Mezzogiorno, ha sostenuto, udite udite, che per cambiare è necessario far fuori la logica dei cacicchi e dei capibastone e dare spazio ai curricula nella selezione dei candidati per le prossime tornate elettorali!

Si guardi attorno, caro Presidente!

Se continua così va a finire di restare solo, alla ricerca dei candidati da lanciare nella contesa della primavera prossima ventura.

Da buon professore di filosofia dovrebbe ricordare la lanterna del tenace filosofo ateniese che ancora oggi vaga in cerca di qualcuno che possa assomigliare alle sembianze d’uomo! Dell’uomo socratico, s’intende.

Troppo tardi o forse ancora no, ci viene da sperare. Se ne pentiranno un giorno coloro i quali hanno distrutto un patrimonio di ideali, un’agenda di esperienze, una dote di culture per dare sfogo alla sete di protagonismo e per marcare il territorio con la presenza mai del tutto malcelata di interessi e motivazioni lontani dai bisogni e dalle aspettative della gente?

Il partito democratico, un partito egemone qualche anno addietro, ora geme in una condizione di minorità e va in cerca di strategie per rattopparsi e accompagnarsi ai vecchi e consumati passeggeri.

A reclamare attenzione e consenso, argomenti in disuso e diseredati, per gli infelici protagonismi di personaggi ormai fuori dalla scena. Altro che curricula, caro Presidente!

Se ci riesce, conti le correnti che ammorbano l’aria di questa tarda primavera!

Serve ritrovare l’orgoglio di un protagonismo ben fondato;serve una disciplina interiore per tirar fuori le energie fondative del processo di aggregazione dei partiti che anni addietro decisero di dare vita ad un organismo moderno e più adeguato ai tempi e alle esigenze che questi prospettavano; serve l’umiltà del servire; l’onestà del sentire e la disponibilità a riconoscere i limiti e le opportunità che l’agire politico costantemente pone in discussione.

Del resto, e ciò non costituisca alibi per le inadempienze e le assenze di interventi, sono tutte le componenti della società contemporanea che devono “retro proporsi” se vogliono ritrovare le motivazioni per iniziare un itinerario di purificazione dai danni che il futuro ha prodotto ogni qualvolta s’è posto all’orizzonte.

Quel futuro che, come scrisse “Bauman”, da habitat naturale di speranze e aspettative legittime, si è trasformato in una sede di incubi. Chi e come dovrebbe intervenire per invertire la rotta e delineare un futuro possibile per uscire fuori dall’incubo e dalla condizione di barbarie primordiale in cui ci si è rifugiati?

La politica, abbiamo detto, purché ritrovi le ragioni fondative della sua presenza nel contesto sociale.

Poi la cultura, la capacità di ascoltare le spinte antropologiche che muovono intere classi sociali-i giovani,anzitutto-verso un orizzonte di certezze con la stipula di un patto sociale che garantisca il rispetto della dignità umana attraverso un più accorto equilibrio nella distribuzione delle risorse. Pochi segnali arrivano dal dibattito politico.

A chi manovra le leve del potere; a chi pensa di interpretare i segnali della contemporaneità e i dilemmi che essa pone; a chi si assume la responsabilità di governare, va fatto l’invito a ragionare sull’assunto baumiano.

A noi non resta che citare Francesco, il papa amico compagno di viaggio senza toga, senza blindature, senza tirapiedi. Da bambino, operato alle tonsille,senza anestesia, meritò un gelato consolatore per il dolore che aveva sopportato.

A noi, che quotidianamente veniamo “estirpati” di pezzi di futuro; addolorati per le promesse disattese e per l’incertezza del domani, chi offrirà il gelato consolatore?

Napoli, 4 novembre 2017