dome 24 NOVEMBRE 2024 ore 21.59
Home news europee e ambiente La battaglia di Benevento nella penna di Giovanni Battista Maria dell’Aquila

LA BATTAGLIA DI BENEVENTO NELLA PENNA DI GIOVANNI BATTISTA MARIA DELL’AQUILA

Mons. Pasquale Maria Mainolfi*

Edizioni Realtà Sannita, Benevento, 2016. Presentazione di Mario Collarile, postfazione di Mario Pedicini. 111 pagine. In cinque parti. Parte prima: “I contendenti e le famiglie coinvolte”; parte seconda: “I luoghi”; parte terza: “La battaglia”; parte quarta: “Il dopo”; parte quinta: “La famiglia dell’Aquila”. Bibliografia, ringraziamenti.

L’Autore: Giovanni Battista Maria dell’Aquila, patrizio beneventano, insegnante, giornalista, strenuo difensore del patrimonio storico, ambientale e archeologico di Benevento. Presidente dell’Associazione “Gòrgone Medusa”, componente del Comitato “Giù le mani”, collaboratore di giornali, riviste e rubriche televisive, attualmente collaboratore di “Realtà sannita”. Autore della guida dell’Arco di Traiano di Benevento in più lingue, ha ottenuto il Premio Prata 2010 quale “Ambasciatore dell’Arte” e l’emblema del “Salotto Collarile” nel 2016.

Nel 2016 si è celebrato il 750° anniversario della battaglia di Benevento, combattuta il 26 Febbraio 1266 tra il ghibellino Manfredi di Svevia e le truppe guelfe di Carlo d’Angiò per il controllo del Regno di Sicilia. Tutti sanno come andò a finire: la sconfitta del giovane Manfredi, figlio naturale dell’imperatore Federico II e nipote di Costanza d’Altavilla, “biondo (…) e bello e di gentile aspetto”, come lo descrive Dante nel c. III del Purgatorio, la sua sepoltura “in co’ del ponte presso a Benevento sotto la guardia de la grave mora”, il disseppellimento del suo cadavere e la dispersione dei suoi resti in terra sconsacrata, la definitiva sconfitta della parte ghibellina pressoché in tutta Italia con conseguenze nei delicati equilibri europei del potere.

Tra i vari e diversi scritti che hanno celebrato questo importante anniversario, questo di dell’Aquila ha certamente il pregio di aver semplificato in un certo qual modo l’intricata materia, offrendo al lettore una traccia comoda nel complicato rompicapo di conflitti, alleanze, tradimenti, rapporti, tattiche e strategie che contrapponevano da lungo tempo il papato agli Hohenstaufen. L’Autore, infatti, prima di raccontare la battaglia vera e propria, ci illustra e descrive con dovizia di particolari i protagonisti e le loro appartenenze familiari, con un riferimento speciale agli Altavilla, la nobile casata normanna cui apparteneva la nonna paterna di Manfredi e che si è imparentata più volte, nel corso del tempo, con la famiglia dell’Aquila, con la quale condivideva la comune origine in terra di Francia.

Anche il teatro della battaglia viene puntualmente descritto attraverso prospetti storici, cartine topografiche e mappe satellitari, con l’indicazione precisa dei luoghi dello scontro e dei posizionamenti dei due eserciti.

Poi, la narrazione della battaglia vera e propria, proponendo scritti di cronisti dell’epoca in lingua originale, tra cui quella, autorevolissima di Giovanni Villani, ricostruzioni di armi e divise usate nel combattimento, descrizioni di manovre e tattiche militari.

La quarta parte è dedicata al “dopo”: dell’Aquila scrive del commosso ricordo di Dante, che nel Purgatorio, III, affida all’anima di Manfredi il compito di svelare al mondo la misericordia divina (“questa faccia di Dio”), che perdona il peccatore, sebbene scomunicato e condannato quindi alla dannazione eterna, pentitosi in punto di morte (“la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”, “Per lor maladizion sì non si perde, che non possa tornar, l’etterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde”); di Corradino e della sua velleitaria impresa di vendicare Manfredi e riconquistare il regno perduto conclusasi con la sua esecuzione, ordinata da re Carlo, in piazza Mercato a Napoli; del tesoro di Manfredi, ritrovato da Carlo nel castello di Capua, e di come Carlo stesso fece costruire Castel Nuovo a Napoli, oggi noto come Maschio Angioino; della nuova situazione politica venutasi a creare in Italia dopo la vittoria dei gigli (stemma degli Angioini) sull’aquila sveva.

Infine, l’ultima parte del pregevole volume è dedicata alla famiglia dell’Aquila, in una circostanziata e puntuale ricostruzione che, ricca di riproduzioni di cartine geografiche, documenti antichi, stemmi e alberi genealogici, testimonia della parentela, illustre e millenaria, con gli Altavilla, casato da cui discendeva Manfredi (“Io son Manfredi, nepote di Costanza imperadrice”; è sempre Dante che scrive), per cui ben si comprende come l’Autore simpatizzi più o meno consapevolmente per l’eroica impresa sveva invece che per la facile vittoria angioina, costruita sugli inganni e sui tradimenti di baroni e feudatari e macchiatasi del sangue, delle rapine, delle violenze, degli scempi che segnarono i sette giorni del sacco di Benevento da parte dei soldati di Carlo, lasciati liberi di sfogare così la loro ferocia su una città più antica di Roma.
Ed è qui il senso dell’opera di Gianni dell’Aquila: nell’ aver voluto, e saputo, attualizzare un avvenimento lontano nel tempo, legandolo al calore e al palpito di una storia che ancora oggi, a settecentocinquanta anni di distanza, si rinnova e vive in chi la racconta e in chi la legge.

*Mons. Pasquale Maria Mainolfi docente di etica dell’ Università del Sannio

Napoli, 2 agosto 2017