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Da oggi siamo tutti più fantozziani.  Addio a Paolo Villaggio.
di Alessandro Capasso

“Vi assicuro che dopo la mia morte sarò glorificato,  perché Fantozzi è una grande maschera” , così  Paolo Villaggio profetizzava in un intervista del 1990,  il futuro del suo personaggio più riuscito,  il ragioniere più famoso d’Italia,  vessato da colleghi,  superiori,  dalla vita stessa.

Villaggio si è spento a 84 anni, dopo una vita costellata di successi (non solo comico, lavora anche con registi come Marco Ferreri,  Federico Fellini ed Ermanno Olmi. Nel 1992 il Leone d’Oro alla carriera,  otto anni dopo il Nastro d’Argento per Il Segreto del Bosco Vecchio e il Pardo d’Onore a Locarno).

Il personaggio di Ugo Fantozzi ha raccontato l’italiano impiegato anni 70/80,  pieno di vizi,  tic,  passioni,  immortale come un cartone animato,  ha raccontato con “comico cinismo” un’epoca,  ha innovato il vocabolario e fatto sognare la rivoluzione impiegatizia  “la corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca”.

Un dna da perdente quello di Fantozzi, opposto a quello del suo creatore,  un Paolo Villaggio che ha sempre disistimato, da gran intellettuale quale è stato, ciò che il suo ragioniere rappresentava, l’arrendevolezza alla vita,  il servilismo verso i “mega direttori”,  una vera e propria sfiga umana e italianissima.

L’eredità comica e narrativa di Villaggio è “mostruosa”, scongiurando un qualsiasi remake o riadattamento estero, senza cercare eredi (chi ha detto Checco Zalone ?), lasciamoci con la definizione che Paolo Villaggio stesso ha dato al vocabolo “fantozziano” (aggettivo davvero entrato nella dizionaristica italiana) : “[…]vuol dire che per qualche motivo tu sei povero, ma sei quasi orgoglioso di essere povero”.

Senza l’innovatore Villaggio siamo tutti più poveri,  e ancora una volta,  fantozziani : 92 minuti di applausi.

Napoli, 5 luglio 2017