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Nel nome del Re Sole
di Giulia Di Nola

Era da tempo che desideravo visitare la città di Valencia e finalmente sono riuscita nell’intento: la mia curiosità ha avuto la meglio sulla solita paura di affrontare un viaggio in aereo. Credetemi, ne è valsa la pena! In tutta Europa, la Spagna degli ultimi anni, ha saputo convertire la crisi che ha interessato la nostra Penisola, come la Grecia, in opportunità. Grazie anche alla collaborazione tra vari enti locali, le banche come le camere di commercio, si sono rimboccate le maniche e hanno consentito alla cittadina di risollevarsi conservando, al contempo, le tradizioni, l’identità storica e la lingua: il valenciano.

Su un lungo tappeto di colori, suoni e profumi, quest’ultimo, è il collante universale che lega un cittadino all’altro, sordo e non curante degli inetti inglesismi ma senza mai isolarlo o scorporarlo dal contesto antropologico in cui vive caratterizzato, tra l’altro, dalla presenza massiccia di turisti e di variegate e inserite etnie.

La città della scienza, l’oceanografico, lo zoo, ben tenuti, ospitali e ben equipaggiati, svolgono un ruolo fondamentale per l’economia locale; le altre attrattive, come il verde dei prati unito allo scorrere silenzioso del fiume principale che abbevera l’immensità degli agrumeti e a quello ecologico di mountain bike, il mare, l’azzurro del mar mediterraneo che s’interseca coi litorali africani, fanno il resto.

Un fitto reticolo di strade, composto e ordinato, dalla lontana periferia conduceva al centro di Valencia ove la festa della Madonna della gobba, che in quel periodo ricorreva, rendeva ancora più affascinante lo svolgersi lento, oserei dire senza tempo, dei valenciani. Sì, perché tutto lì si muove con grazia e angelica delizia; e tra una tapas e l’altra, la consapevolezza che tutti facciano altrettanto.

D’obbligo il confronto col nostro Bel Paese che di bellezze naturali e artistiche, bontà culinarie ne avrebbe da raccontare e vantare: non ho trovato, insomma, né ai bordi della città né al centro della stessa, a qualunque ora del giorno o della notte, nessun barbone dimenticato dal mondo, nessuna persona che insolentemente defecasse o urinasse ai piedi dei monumenti, nessun cumulo di spazzatura a infiorare questo o quell’angolo di vita.

Cosa manca, allora, a noi Italiani? Non certo l’ospitalità ma il rispetto anzitutto di noi stessi!

Napoli, 27 maggio 2017