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La Fine Di Una Lunga Stagione
di don Giulio Cirignano

                              La celebrazione liturgica del Natale e l’inizio del giubileo della misericordia ci invitano a farci pensosi circa il momento ecclesiale che stiamo attraversando. Riflessione non nuova ma meritevole di essere continuamente approfondita. Il Natale è la festa della interiorità, il Giubileo della misericordia è occasione di conversione.
Parto con una domanda, semplice ma importante. Questa: cosa poteva fare di più Papa Francesco per trarre fuori la sua Chiesa dalla cultura, dalla mentalità e dallo stile della controriforma? Da quella cultura , cioè, iniziata in maniera ottimale dal Concilio di Trento che poi è rimasta come sostanzialmente sorda dinanzi ai grandi cambiamenti dei secoli successivi? Cosa poteva fare di più?
Prima di rispondere può essere utile spendere qualche parola su quella che indichiamo come cultura della controriforma. La si può definire come una delle tante possibili sintesi dell’esperienza religiosa cristiana che nel corso dei secoli si sono succedute, caratterizzata da precisi fattori. In tutto ciò è in gioco solamente una sintesi, una modalità, non l’esperienza cristiana in quanto tale. Essa rimane, le sintesi passano. Non è il caso di soffermarsi a dettagliare i fattori di quella post-tridentina, sia quelli positivi che quelli di segno opposto. Sarebbe assai interessante farlo ma è preferibile invitare ciascuno a individuare personalmente ciò che resta di valido di quella esperienza religiosa e ciò che, invece conviene lasciare cadere. Gli storici avranno il loro daffare al riguardo. Possiamo solo dire in via sintetica che la stagione elaborata come risposta alla Riforma protestante poté avvalersi delle risorse culturali e spirituali dell’epoca, ormai lontana. Troppo lontana. Questa è la ragione che ne reclama il superamento. Filosofia, teologia, spiritualità, riferimenti etici: tutto vi fu coinvolto.. Non solo: le risorse ma anche le novità della incipiente epoca moderna, con la vastità delle scoperte scientifiche, con l’allargamento dell’orizzonte vitale e relazionale fra i popoli, lo sbocciare dell’umanesimo nella pittura, scultura, architettura, nell’arte in generale, contribuirono a rendere anacronistica quella sintesi che si solidificò in una sistema di valori trasformandosi in mentalità. Questo non significa che lo Spirito non continuasse ad abitare la sua Chiesa per suscitare ammirevoli storie di santità. Lui ha le sue strade, soffia quando e come vuole, scrive anche su righe storte.
La cultura della controriforma, tuttavia, è rimasta, come già detto, per molto tempo sostanzialmente fissa e scarsamente influenzata dai cambiamenti che avvenivano ad ogni livello, nella vita personale come in quella sociale e civile. Tutto cambiava intorno a lei, le onde della storia vi si rifrangevano come su una scogliera invalicabile.
Quella sintesi, abitata dallo Spirito ma privata del riferimento indispensabile alla Parola per le note polemiche con il mondo protestante, mise in enfasi alcuni aspetti a danno di altri non meno importanti. In relazione agli uni e agli altri, Il Concilio, mezzo secolo fa intese portare un contributo di chiarezza. Fu lo Spirito a suggerire e ad accompagnare la non facile riflessione. Chi visse con disarmata passione quella vicenda ne conserva un ricordo struggente. Le resistenze che anche allora furono messe in opera si mostrano , con il passare del tempo, in tutta la loro ridicola presunzione.
Per il nostro discorso è sufficiente questo rapido richiamo alla complessa dinamica del vivere nel tempo della proposta cristiana ed alla necessaria esigenza del suo continuo ripensamento. Riprendiamo, allora, la domanda: cosa poteva fare di più di quanto ha già fatto in questi brevi, intensi anni Papa Francesco?
Cominciamo dagli inizi .Fin dal primo momento ha insistito, con sobrietà e in novità, a definirsi solo come vescovo di Roma. Ha , poi , rifiutato di occupare l’appartamento papale in Vaticano decidendo di abitare nel più modesto ambiente di Santa Marta. Piccoli dettagli certamente ma non privi di significato. Nessuno ci aveva pensato prima. Cosa assai più importante ha tracciato da subito il progetto della Chiesa per i prossimi anni in quel sorprendente documento in cui è già detto quanto serve per camminare alla luce del Vangelo e del Concilio, la “Evangelii Gaudium”(n.1). Il gaudio evangelico messo al centro della vita e della conversione ecclesiale! Vogliamo, poi, ricordare i suoi commoventi passi ecumenici, fra tutti quello con la Tavola Valdese prima e con la comunità luterana poi? Ancora, il Sinodo sulla famiglia, da comprendere a fondo nel suo impianto metodologico e contenutistico: cosa vogliamo di più per svegliarci dal lungo sonno? Il Giubileo della misericordia non è forse un colpo di genio, suggerito dallo Spirito ma ben assecondato da Papa Francesco, per riportare la comunità ecclesiale dentro l’orizzonte del Vangelo e del Concilio? Cosa poteva fere di più, se a tutto ciò aggiungiamo il suo costante parlare pacato e rasserenante, la freschezza profetica delle sue esortazioni? In particolare va ricordata la accorata conversazione al cuore della Chiesa italiana, proposta in maniera altamente coinvolgente in Cattedrale in occasione del convegno di Firenze. Dopo quel discorso si sarà affacciata, in alto e in basso la consapevolezza dei molti, colpevoli ritardi?
Non potevamo aspettarci niente di più da Papa Francesco. E’ da noi che dobbiamo aspettarci qualcosa di più e di meglio. Questo qualcosa di più e meglio può essere complessivamente riassunto nel familiarizzarsi, finalmente e concretamente, con la categoria di popolo di Dio come soggetto primo della evangelizzazione. Il popolo di Dio nella molteplicità delle sue risorse. Il sacerdozio ministeriale a servizio al sacerdozio comune. L’uno accanto all’altro, in fraterna interazione.
Ma proprio qui si annida un grande ostacolo. Il sacerdozio ministeriale, nei suoi diversi gradi, così come si è concretizzato storicamente appare più come una ipertrofia storica che reclama di essere corretta in profondità che come limpida trasparenza della logica evangelica.. Nel linguaggio medico la ipertrofia è un rigonfiamento innaturale. Se si annida nel cuore può portare all’asfissia.
Come sarebbe bella la comunità dei discepoli del Signore morto e risorto per amore, ricca di nient’altro che di fraternità, profezia di una esistenza più ricca di umanità! Una comunità spogliata di ogni traccia di ambizione e potere, una comunità di persone non preoccupate di autocompiacersi, a imitazione del Signore che non “cercò mai di compiacere se stesso”(Rm.15,1).
Sappiamo bene che Il tarlo dell’egoismo e dell’ambizione insidierà sempre questo progetto. Non possiamo essere ingenui. Ma proprio per questo è da perseguire quella continua conversione che è caratteristica della vita cristiana: ecclesia semper reformanda.
Il Vaticano Secondo indicò i percorsi per la nuova stagione. Papa Francesco, sulla scorta dei suoi predecessori, li ha ripresi con rinnovato e lucido vigore. Non innamorarsene è condannarsi a restare nel passato. E’ rendere vana l’azione dello Spirito. E’ portarsi addosso un insopportabile sapore di vecchio.
La lunga stagione della controriforma, con tutto ciò che questa espressione significa è finita. E’ finita e non tornerà più. Inutile e dannoso è cercarne la sopravvivenza. Non solo. E’ concluso pure il lungo periodo che ci distanzia dal Concilio vissuto da alcuni quasi come ostinata elaborazione di un lutto. ’ Concluso dalle indicazioni chiare e inequivocabili che salgono dal Vangelo.
Il passo dell’uomo è più lento, meno giovanile e fresco di quello del suo Signore. Abbiamo molta strada da fare. “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is.21,11). Non lo sappiamo. Ma avvertiamo con acuta letizia quanto afferma il profeta nel passo citato: “Viene il mattino…..convertitevi, venite!” (ivi.v 12)
Ecco tracciato il percorso per ognuno, nessuno escluso. La conversione personale è quanto noi, discepoli del Vangelo, possiamo fare di meglio per prendere congedo dagli aspetti effimeri del passato e salutare con gioia la nuova stagione.

Napoli, 10 gennaio 2016